La guerra e il futuro della nostra agricoltura (di Giovanni Galeone)

La guerra in Ucraina, oltre al grande impatto sulla sicurezza energetica, ha messo sul tappeto anche il tema della sicurezza alimentare

e del riposizionamento delle politiche agricole. I dati sono incontrovertibili: Russia e Ucraina sono rispettivamente il terzo e il sesto produttore mondiale di grano, coprendo da sole circa il 30% delle esportazioni globali del grano stesso. Il blocco totale di tali esportazioni, nel caso ucraino, e la sua parziale riduzione, nel caso russo, hanno portato ad un incremento, dall’inizio dell’anno, di circa il 35% dei prezzi del grano. I due paesi insieme rappresentano inoltre il 20% delle forniture globali di mais per l’allevamento animale e ben l’80% delle esportazioni di olio di girasole.

Tra importazioni diminuite e aumenti dei prezzi, potremo avere scarsità di grano, di farina e di pane, ma anche di carne e olio di cucina, e la situazione potrebbe diventare drammatica per i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente per i quali Russia e Ucraina pesano oltre il 60% dell’import di grano. In Egitto, primo importatore mondiale di grano, acquistato per oltre l’80% da Russia e Ucraina, una cessazione totale delle importazioni da questi due paesi belligeranti potrebbe ridurre alla fame decine di milioni di egiziani. Anche la Turchia, colpita da un’inflazione senza precedenti, che ha superato il 50% a febbraio, è estremamente dipendente dal grano russo-ucraino e non a caso si è impegnata direttamente per favorire quanto prima un cessate il fuoco.

L’unione Europea, in risposta alle difficoltà di approvvigionamento dei cereali ha autorizzato la messa a coltura di 200.00 ha in deroga al greening (la misura comunitaria di sostegno che obbliga alla diversificazione delle colture, al mantenimento delle superfici a prato e alla disponibilità in azienda di aree di interesse ecologico, ossia terreni a riposo, aree forestali, colture azotofissatrici, etc.). La misura europea dà la possibilità di mettere a coltura 100.000 ha in Puglia lasciati incolti in questi anni, restituendo ai nostri territori una capacità produttiva che si era perduta nel tempo. La superficie coltivabile nelle province salentine potrebbe incrementarsi di molto e potrebbe essere una risposta alla situazione di vero e proprio abbandono di terreni agricoli seminativi dovuto a sfiducia e alla mancanza di politiche di sostegno.

L’altro macigno, forse sottovalutato e che rischia di bloccare le produzioni agricole è la disponibilità dei fertilizzanti; con la guerra, le sanzioni occidentali e le ritorsioni russe, il mercato dei fertilizzanti sta andando verso una crisi di proporzioni inedite: crollano le forniture e aumentano i prezzi, dinamica che era già in atto in quanto la produzione dei concimi rientra tra le produzioni più energivore. La Russia è il primo esportatore di concimi al mondo con 50 milioni di tonnellate, grandi produttori di potassio e urea sono anche la Bielorussia e l’Ucraina.

Mettendo da parte suggestioni biodinamiche e bucoliche senza alcun fondamento scientifico, in mancanza di fertilizzazioni le produzioni calano sia in quantità che in qualità, e i prezzi aumentano. Prima della guerra in Ucraina, la Fao ha certificato che la popolazione sottonutrita è attestata sugli 800 milioni, cifra destinata a crescere e non solo nei paesi sottosviluppati, anche in Italia. I dati Istat certificano in Italia il 7,5% delle famiglie in povertà assoluta, pari a circa 5,6 milioni di individui (9,4% del totale).

Per rispondere alla grave emergenza, servirebbe una sostanziale ricalibratura delle politiche comunitarie in quanto il concetto di agricoltura sostenibile non può fondarsi solo sulla visione ambientale e sociale, trascurando l’aspetto produttivo specie in questo frangente. Oggi l’agricoltura può contare su nuove e perfezionate tecnologie che vanno dall’intelligenza artificiale, ai nuovi materiali, al miglioramento genetico e l’agricoltura di precisione è in grado di utilizzare i mezzi produttivi nella esatta misura in cui servono, evitando o limitando al massimo le conseguenze indesiderate.

Ecco la necessità di un vero e proprio Piano straordinario che mobiliti maggiori fondi per incrementare le superfici produttive rispondendo alle emergenze in corso e puntare sull’innovazione in agricoltura. E in sede locale accelerare per superare i ritardi sul Piano Straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia. Tra recupero di terreni incolti e rigenerazione post Xylella, per il territorio salentino potrebbe essere una svolta produttiva e paesaggistica di non poco conto.

Giovanni Galeone

Per offrirti il miglior servizio possibile questo sito utilizza cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego in conformità della nostra Cookie Policy.