La Messapographia di Diego Ferdinando… (di Domenico Urgesi)

La compianta signora Maria Profilo (che molti ricorderanno come “Donna Maria”) era una nipote

in linea diretta dello storiografo Antonio Profilo fu Tommaso. Era cliente, ed amica d’infanzia, di mia suocera (Pina Stefàno) che aveva un negozietto di abbigliamento in Piazza IV Novembre. La conobbi lì, più di quaranta anni fa. Poi, il mio interesse per gli argomenti storici, e specie per la storia di Mesagne, mi portò a chiederle notizie e documenti della sua famiglia. Lei mi accolse con enorme benevolenza, e mise a mia disposizione le carte attinenti al nonno; mi servirono per tracciare il profilo biografico e bibliografico del capostipite della storiografia mesagnese degli ultimi 150 anni.

Pubblicai quella biografia nell’introduzione alla nuova edizione (commentata) di Vie, piazze, vichi e corti di Mesagne: ragione della nuova loro denominazione, stampata nel 1993, a 100 anni dalla prima edizione. Antonio Profilo aveva pubblicato questo libro a compimento della sua opera di costruzione dell’identità storica mesagnese, iniziata già in epoca borbonica sulle pagine del periodico «Poliorama Pittoresco» e culminata negli anni 1871-75, in epoca savoiarda, con i due volumetti intitolati Messapografia ovvero Memorie Istoriche di Mesagne in provincia di Lecce.

Fu in occasione di quella ricerca che Maria Profilo mi fece vedere un volume scritto a mano, in lingua latina e greca, con una grafia sottile e quasi illeggibile; con orgoglio, Ella me lo presentò come la Messapografia del Ferdinando. Lo consultai a più riprese, a casa sua; ne tradussi e pubblicai qualche brano; finché, in occasione dello studio che svolsi sul Castello mesagnese (in «Studi Salentini» 1997), donna Maria si convinse: «Prendi, tienilo tu, –disse– prendilo, tu puoi studiarlo come si deve».

Mi era stato subito chiaro che questo manoscritto era uscito dalla penna di Diego Ferdinando (vissuto tra 1611-1662), non di suo padre Epifanio. Come è stato confermato dallo studio filologico critico (Urgesi e Scalera), ma anche grafologico (G. Giordano), la mano è proprio quella di Diego Ferdinando, ovvero non è una copia o trascrizione postuma. Esistono in giro delle copie, ma non sono completamente fedeli all’originale. Quest’Opera autografa è costituita da n.241 carte cucite a formare un libro rilegato in pergamena + n.17 carte sciolte, per un totale di 516 pagine. Si trattava di interpretarne la grafia, trascriverlo integralmente e, infine, tradurlo fedelmente senza tradire lo spirito e la lettera del suo Autore.

Questo gravoso lavoro è stato completato nel 2020, con l’apporto prezioso di Francesco Scalera, ed ha visto la luce nella collana Fonti e documenti della Società Storica di Terra d’Otranto, col titolo Messapografia ovvero Historia di Mesagne [1655] / Messapographia sive Historia Messapiae (vi è trascritto il testo latino con la traduzione a fronte, l’apparato critico-filologico e la perizia grafica già menzionati).

Da un confronto sommario tra quest’Opera manoscritta e i due volumetti di Antonio Profilo citati sopra, risulta evidente il debito di quest’ultimo nei confronti di Diego Ferdinando. Non è questo il luogo per una discussione critica sulla fortuna storiografica del Profilo, che ci allontanerebbe dal tema odierno (e comunque, già in quella introduzione del 1993 tracciavo alcune linee interpretative), anche se i due temi sono strettamente legati. Qui è opportuno soltanto ribadire che Diego Ferdinando è l’autore che ha espresso nella maniera più compiuta quello che suo padre Epifanio aveva solo iniziato a definire: “Mesagne come fondata da Messapo, quindi capitale e centro della Messapia”. Oltre un terzo delle 516 pagine sono dedicate a sviluppare questo tema. Ma Diego introduce un tema nuovo, rispetto a suo padre: il martirio di S. Eleuterio; e lo sviluppa in un altro terzo del manoscritto. Secondo Diego, conforme al Martirologio compilato dal cardinale Cesare Baronio nel 1620, Eleuterio era stato martirizzato a Mesagne; come pure sua madre Anzia e il pagano (convertito) Corebo. Quindi questa città aveva elevato S. Eleuterio a suo patrono; e aveva posto le statue dei tre martiri sul portale maggiore della chiesa matrice.

Queste le linee portanti dell’Opera di Diego. Il quale però non era il solo a pensarla così: Mesagne era denominata Messapia già nei documenti del ‘500; e l’idea persisterà fino al ’900. Così pure su S. Eleuterio, nonostante le correzioni al Baronio fatte nel Martirologio riformato da papa Urbano VIII nel 1630, ancora nel ‘700 molti preti erano convinti della tesi di Diego Ferdinando. Oggi (secolo XXI), la ricerca storica, archeologica, ecc., ci fanno vedere queste cose in maniera diversa; ma le idee dominanti per qualche secolo sono state quelle di Diego. E non si può non tenerne conto. Ci aiuta a capire perché sul frontone della chiesa matrice ricorre il nome Messapia, perché sul portale di questa chiesa ci sono quelle tre statue, ma anche… tante altre cose. Tra cui, ad esempio, come si concilia il mito del pagano Messapo – personaggio di origine divina – preteso fondatore di Mesagne col martire cristiano Eleuterio.

Bene; finito il lavoro, stampato il testo, che fare del manoscritto? Bisognava considerare che questo testo è uno dei due scritti autografi più antichi sulla storia di Mesagne (l’altro è costituito dai frammenti della Storia –1596– del Mannarino, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli). Esclusa l’idea di tenermelo gelosamente nella biblioteca di famiglia, privando altri studiosi di trarne beneficio, col rischio che andasse poi disperso chissà dove, si trattava di scegliere l’Ente al quale affidare questa preziosa Opera. Consigliandomi anche con l’erede unico di Maria Profilo (l’amico Gianni Aquaro), la scelta è caduta sull’Archivio Capitolare di Mesagne: esiste da oltre 500 anni, è stato sempre ben custodito, oggi è allocato presso una prestigiosa sede che ne permette la consultazione pubblica, Don Gianluca Carriero ne è il custode vigile... Dunque, il luogo non poteva essere che questo. Ne sono più che convinto.

Mi auguro che i cittadini mesagnesi e gli studiosi (mesagnesi e non) sappiano e vogliano valorizzare nel modo più consono e appropriato quest’Opera che, per oltre 350 anni, a torto o a ragione, ha improntato – più di ogni altra – l’immagine della città di Mesagne.

Domenico Urgesi

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