Scomparso Raffaele La Capria. A Mesagne l'opera d'esordio. (Giovanni Galeone)
E’ scomparso a Roma, alla soglia dei 100 anni che avrebbe compiuto ad ottobre, lo scrittore Raffaele La Capria.
Napoletano, amico e coetaneo tra gli altri di Giorgio Napolitano e Francesco Compagna, del regista Francesco Rosi con quale firmò la sceneggiatura del film “Le mani sulla città”, scrisse la sua prima opera durante la guerra, a Mesagne, presso Castello Acquaro. Nell’aprile del 1943, egli, neanche ventunenne, giovane universitario militare, giunse a Mesagne da Caserta. Faceva parte del 52° Battaglione d’Istruzione, denominato “Distruzione” da La Capria e compagni, perché si sentivano distrutti man mano che i giorni passavano. Il Battaglione fu dislocato nella zona nord della campagna mesagnese, in località Castello Acquaro, proprietà della famiglia Granafei. La zona fu definita Zona d’Operazioni anche se era distante molte miglia dalle linee nemiche, perché nel brindisino era ritenuto imminente un lancio di paracadutisti anglo-americani. L’attesa di un nemico che non arrivava trasformava la zona d’operazioni in un “Deserto dei Tartari”, in un completo isolamento con una vita totalmente involontaria, tanto che al giovane Raffaele sembrava quasi di non esistere più. Solo le lunghe e sfibranti marce di addestramento per le polverose strade della pianura assolata, con le armi sulle spalle, davano la sensazione a Raffaele di esserci, ma era un modo di essere del tutto insoddisfacente. Assieme a lui si trovava Antonio Ghirelli che sarà capo ufficio stampa di Sandro Pertini al Quirinale e direttore del “Corriere dello Sport”. I due la sera, dopo il silenzio, traducevano a lume di candela, “I nutrimenti terrestri” dello scrittore francese André Gide, Premio Nobel per la letteratura. Un giorno durante la quotidiana marcia di addestramento, La Capria tirò fuori un libricino di racconti di Cechov e si mise a leggerlo camminando come un prete col breviario; il colonnello interruppe la marcia, improvvisò un discorso sulla propaganda disfattista e le scritture sovversive e prima del rancio requisì tutti gli zaini, molti libri finirono in un falò. Nell’uliveto in cui erano attendati, La Capria, per uscire dal senso di vuoto determinato da quella vita sospesa, si rifugiò sotto la tenda della fureria, tavolo improvvisato, carta e penna disponibili, e nelle ore di raccoglimento scriveva. Nacque così “Una lettera del ‘43”, ritenuta l’opera di esordio di Raffele La Capria; scriverà l’autore nello scritto: “Mi viene da ridere. Non tanto se penso perché scrivo tutto questo, ma dove lo sto scrivendo…mentre infuria una orribile guerra alla quale partecipo, mio malgrado, come caporal maggiore. Ma stasera mi trovo qui, nell’incerta luce, a scrivere sul tavolo concessomi dal furiere, della differenza, nientedimeno, tra uomo e personaggio, e di altre sciocchezze del genere che però mi competono più della cinghia della mitragliatrice.” Il giovane La Capria che giunse a Mesagne, studente di Giurisprudenza, facoltà a cui si iscrisse per accontentare il padre e ottenere il rinvio della chiamata alle armi fino al ’43, aveva 2 grandi passioni, il mare che ritornerà frequentemente nella sua produzione (specchio riflettente ed universo da scoprire) e la letteratura; era già ricco degli studi liceali e delle letture di Baudelaire, Rimbaud, dei grandi scrittori russi e francesi, del realismo italiano e aveva da poco scoperto la letteratura americana. Con quel pedigree, nel contesto di guerra dell’epoca, egli redigette lo scritto mesagnese che fu il suo primo scritto letterario, ma sarà dato alle stampe oltre 30 anni dopo, nel 1974, inserito in False partenze, edito da Bompiani. Nel frattempo aveva già pubblicato “Un giorno d’impazienza” nel 1952, “Ferito a morte” nel 1961 con cui vinse il Premio Strega. Ma di cosa parla il testo mesagnese del ’43 e quale valore assume nella produzione complessiva dell’autore? Per Silvio Perrella, critico letterario ed autore della prefazione del “Meridiano delle Opere di La Capria” - 2003 – Mondadori, “lo scritto mesagnese è all’origine dell’infinito work in progress e l’autore lo ha sempre portato con sé, fondendolo nelle altre sue opere, trasformandolo secondo la curvatura che il tempo via via imprimeva alla sua scrittura.” Testo breve quindi, ma di importanza fondamentale nello sviluppo del pensiero dello scrittore. Scrive ancora Perrella :“Sotto la tenda, a lume di candela, un ragazzo di vent’anni faceva la sua prima falsa partenza letteraria. Nella lettera emerge la distinzione tra uomo e personaggio, un uomo sarebbe chi s’appoggia su certezze e valori che gli altri possono condividere e un personaggio no, deve in ogni momento inventarsi chi è. Se l’uomo è in tutto quello che è e che fa, il personaggio non è mai tutto in quello che è e che fa, “tra coloro che intendono la vita come un romanzo di formazione e quelli per cui vivere significa essere visibili ora, s’apre un abisso che nessun abbraccio può colmare” (Auden). Il ragazzo che scrive non vorrebbe essere né uomo, né personaggio, in linea di massima lui sarebbe un personaggio, ma che sa che gli uomini dopotutto, non stanno facendo una gran bella figura in quel momento, a volte sembrano irreali e più dei personaggi. Se non avesse una ragazza a cui pensare, gli sembrerebbe di essere “un piccolo pianeta sospeso in un giro solitario che si ripete sempre uguale”. Ecco all’origine, due delle figure principali dell’immaginazione lacapriana: la circolarità e lo sdoppiamento, insieme al tema fecondo della fatica di diventare adulti.
Con “False partenze” nel ’74 si inaugura la saggistica di La Capria, perché il titolo “False partenze”? Perché racconta l’autore, “per tante ragioni indipendenti dalla mia volontà, cominciai col piede sbagliato e in tempi di miseria politica, quando non era facile stabilire il confine tra vero e falso.” Falsa partenza significa ricominciare da capo, infatti alla prima seguirà una seconda e diversa edizione di “False partenze” (1995), esso rappresenta il documento del primo apprendistato di scrittore, l’introduzione generale alla sua opera, ma il titolo sarà ancora ripreso e variato in “Cinquant’anni di false partenze ovvero l’apprendista scrittore” nel 2002, vale a dire che le false partenze, non solo subite, ma anche cercate, sono diventate il suo metodo compositivo: il metodo dell’esordio continuativo e dell’incessante ripensamento.
La Capria rimarrà nel territorio mesagnese diversi mesi; dopo lo sbarco alleato si presenterà a Brindisi al Comando, dichiarando di sapere l’inglese, così da diventare interprete; in realtà conosceva poco la lingua e spesso gli ordini erano più suoi che degli americani. Verso Natale, poi, riuscirà a ritornare a Napoli e da lì si dispiegherà una straordinaria esperienza letteraria.
Giovanni Galeone
Foto: Raffaele LA Capria con la moglie Ilaria Occhini.