Morire ad otto anni. (Maria Cariello)

Ho cercato ricordi di me a otto anni.

Ero una bambina, giocavo con Barbie, con i Lego ed al mare dipingevo le pigne.

Quando mi fermavo a dormire dalla nonna, lei, dopo i compiti, mi sbucciava una mela. La domenica noi bambini, giocavamo con Pippo, il siamese dagli occhi blu.

Mio padre era un dottore ed io a otto anni, pensavo che mi avrebbe protetto dal mondo, per sempre.

 

Da due anni andavo a scuola e la geografia mi piaceva molto.

Io, ero come le altre bambine che hanno solo otto anni.

Dieci giorni fa, una bambina di otto anni è morta, per emorragia interna la prima notte di nozze, le sue.

Suo marito, che orrore questa parola pensando a Lei, è libero, perché lui l'aveva comprata.

Penso alla madre della bambina, ventenne e provo sollievo nel non avere figli.

Nessuna tolleranza per queste “tradizioni”, che provocano, analfabetismo, isolamento, violenze domestiche, malattie.

Nessuna. Ma nello Yemen un giorno, come in India oggi, non sarà la condanna a morte, che cambierà le cose, ma l'istruzione e l'educazione al rispetto per la dignità della persona, per la sua libertà.

In fondo in Italia, non mi pare che gli ergastoli o le pene c.d. severe (esistono?) costituiscano un deterrente per le violenze, i femminicidi, i maltrattamenti.

Educazione, la parola chiave è questa, ma educazione nella scuola pubblica, istituzione da difendere con i manganelli, deputata alla formazione degli adulti di domani.

Le politiche di questi anni ci hanno restituito un sistema scolastico depresso, con classi sovraffollate, insegnanti malpagati, oggetto di campagne denigratorie e con un sistema di regole di accesso alla professione incerto.

E non è un caso. Perché cultura e conoscenza, nella centralità del sistema di formazione pubblica, creano cittadini liberi e consapevoli.

Quando la scuola pubblica è cosa forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura.

(...) Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata.

Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci).

Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private.

Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private.

Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio.

Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.

Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.

Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina.

L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto:

- rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.

- attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.

- dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!

[…] Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? » un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica”.

Correva l’11 febbraio 1950.

(Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN)).




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