Francia o Spagna, purché se magna (di Homo Videns)
Questa espressione: “o Franza o Spagna, purché se magna”, è attribuita al fiorentino Francesco Guicciardini, che fu ambasciatore presso la corte di Spagna, diplomatico e condottiero al servizio del Papato, infine grande storico.
Lo ricordiamo, qui, perché fu prima alleato della Spagna, poi della Francia, allo scopo di salvaguardare le Signorie dell’Italia, compresa la sua Firenze.
Non si sa se veramente Guicciardini abbia pronunciato questa espressione, ma è fuori discussione che questo grido (“o Franza o Spagna, purché se magna”) ha sempre contraddistinto gli italiani negli ultimi 5 secoli. Ovviamente, si sono poi aggiunti anche gli austriaci, e anche gli inglesi; e i signorotti locali continuavano ad affidarsi ora all’una ora all’altra parte, a seconda della loro convenienza.
Non che l’avesse inventata Guicciardini, questa pratica: per mille anni, ci si era affidati ai Longobardi, a Carlo Magno, ai Normanni, a Federico II, ecc. ecc. Anche per questo, fu un miracolo la rapida quanto imprevista unificazione italiana; ma, fatta l’Italia, bisognava ancora fare gli Italiani, come i più illuminati di allora (nel 1860) sapevano. Non esisteva un “popolo italiano”: non c’era una lingua comune, non una cultura comune, non un sentimento comune di nazionalità. Essi (lingua, cultura, nazione) esistevano, sì; ma solo nelle classi dominanti, egemoni. Bisognava superare l’individualismo proprio delle classi dominanti italiane, dell’inseguimento del proprio tornaconto, personale e familiare. Impresa ardua.
Ci provarono i liberali; ma i ceti dominanti perseguirono il “loro particulare”: fallirono. Ci provarono i socialisti; ma non erano preparati a fare una rivoluzione: fallirono. Allora ci provarono i fascisti (trovatemi dei nazionalisti più accesi!): fallirono anch’essi! E fu una catastrofe. Solo la Resistenza riuscì in qualche modo a mettere in primo piano, per qualche anno, i valori dell’italianità, quella “sana”: la capacità inventiva di un Leonardo, quella agricola di un Varrone, quella artistica di un Michelangelo, quella politica di un Machiavelli. E, ancora, quella giuridica di un Giustiniano; e, non ultima, quella religiosa di un San Francesco. Se ci pensiamo bene, essi sono valori universali, patrimonio dell’umanità.
Tutto questo confluì nella Costituzione repubblicana; e per qualche anno ci fu una crescita impetuosa delle classi meno abbienti, all’interno di quei valori. La tv, la scuola di massa, le parrocchie, le scuole di partito, crearono un certo senso di italianità. Ma i valori fondanti erano in realtà proiettati in una dimensione sovra-nazionale, una dimensione universale; chiedevano più spazio, più luce.
Con il boom economico, quei valori cominciarono ad appannarsi; alcuni, come Pier Paolo Pasolini (solo per fare un nome) se ne accorsero in anticipo. La contestazione giovanile ed operaia del biennio 68-69 (per semplificare) tentò di dare nuova propulsione a quei valori fondanti dell’italianità, per liberarli dalla mentalità chiusa e gretta del clericalismo religioso e partitico, ma durò troppo poco. La reazione, la strategia della tensione, infine il terrorismo, uccisero nella culla (negli anni ’70) quel nuovo tentativo di fare gli italiani. E vinse “o Franza o Spagna purché se magna”.
Negli anni ’80 tornò tutto sotto una coltre ovattata, fino all’esplosione di “mani pulite”. Lì ci fu un nuovo barlume per fare gli italiani, ma durò anch’esso troppo poco. Poi, sappiamo tutti cosa furono gli anni del berlusconismo, dei furbetti del quartierino, sotto l’ombrello del turbo-capitalismo. I valori universali furono sepolti sotto la propagazione di un modello edulcorato di società, che propugnava i valori del “particulare”, della massima concorrenza, del più fico, del più forte. Gli schermi televisivi proiettarono una telenovela continua, in cui chiunque poteva diventare un ricco, un parvenue, perfino un nuovo “Berlusconi”: “o Franza o Spagna, purché se magna”.
Ci furono vari tentativi di resistere a questo degrado. Tuttavia, pochi anni fa, quel modello fu assunto, sciaguratamente, quale cardine del governo di sinistra, quale essenza del “renzismo”, che mise sulla propria bandiera: “o Franza o Spagna purché se magna”. E non ci fu più nulla da fare. I valori universali dell’italianità furono sotterrati.
Prevalgono, dunque, oggi, gli appetiti più individualistici ed egoistici dell’identità italiana. E, immediatamente, ne veniamo investiti dalla quotidianità: pensionati che non rispettano le regole e aggrediscono i vigili urbani (che paghiamo per far rispettare le regole), genitori-bulli che malmenano insegnanti, pazienti che menano i medici, ecc., oppure poveracci che sparacchiano di qua e di là (c’è l’imbarazzo della scelta); e, cronaca di oggi, ragazzi che sfidano la morte. Ogni senso del limite è annullato.
Questo degrado non trova, però, l’attenzione che merita. Ce ne rendiamo conto se analizziamo l’informazione delle televisioni pubbliche: rai1, rai2, rai3, rai24, ecc. Si sono quasi immediatamente assuefatte alla nuova situazione, appiattite ai nuovi governanti. Se solo fino a pochi mesi prima non ci risparmiavano un solo sospiro, uno starnuto di Renzi e company, adesso non ci risparmiano un solo flato di Salvini, né un sorrisetto di Di Maio. A volte compare anche il “terzo ministro”, ma proprio quando non ne possono fare a meno.
Quello che prevale è, però, l’uomo forte del momento, quello che ha deciso di prendersi la RAI (in un modo che non dia fastidio a Berlusconi). Forse non ve ne state accorgendo, ma la Rai è già di Salvini; le reti Rai stanno già imponendo (salvo qualche rara eccezione, specie via radio) una narrazione deformata della realtà, quella che piace a Salvini. Con i valori dell’italianità questa narrazione non ha nulla a che vedere; sembra più vicina alle dittature sudamericane oppure alle demokrature di tipo orientale (scegliete voi).
Come mai, quelli che Renzi aveva messo alla Rai, ora sono diventati seguaci di Salvini? Semplice: “o Francia o Spagna, purché se magna”.
Homo Videns