37 anni fa assassinato Carlo Alberto Dalla Chiesa (Fernando Orsini)
Il 3 settembre di 37 anni fa, in un agguato nel centro di Palermo, la mafia trucidava il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa,
mandato dallo Stato quattro mesi prima in Sicilia per combattere e dare una forte risposta al potere criminale di "Cosa nostra".
Insieme a lui veniva assassinata la seconda moglie, Emmanuela Setti Carraro, e dopo una settimana d'agonia decedeva anche l'agente di scorta Domenico Russo.
Il generale Dalla Chiesa può essere ricordato in tanti modi: come un uomo solo contro la mafia, come un uomo lasciato solo da uno Stato i cui vertici avrebbero intessuto rapporti di varia natura con i boss mafiosi, come un uomo che in pochi mesi aveva radicalmente innovato nei metodi di contrasto alle cosche, come un servitore dello Stato, già simbolo vincente della lotta al terrorismo.
A me piace però ricordarlo con alcuni messaggi che ci ha lasciato, rivolti in più occasioni ai ragazzi delle scuole visitate durante la sua breve permanenza a Palermo.
Nell'intensissimo libro dedicato al padre "Carlo Alberto Dalla Chiesa - Un papà con gli alamari", presentato ieri in Questura a Palermo, la figlia Simona ricorda che durante gli incontri con gli studenti, il padre amava incitarli a rendersi responsabili del proprio destino: «...la cosa più bella che possiate fare è conquistarla la vita, non adagiandosi sulle parentesi di comodo, non adagiandovi sulla mediocrità della raccomandazione... Cercate di comprendere che la vita è fatta di lotta, [...] e solo attraverso la rinuncia e il sacrificio potrete raggiungere quanto è di vostra intima soddisfazione: quella di essere, quella di divenire».
Ed ancora: «Io non vengo a farvi la predica, vi vengo a dire che fuori c'è pericolo, vi vengo ad avvisare che se voi riuscirete con le vostre mani, con le vostre unghie, con i vostri denti ad arrampicarvi da soli, senza raccomandazione, senza il posto comodo, nella vita di domani avrete finalmente diritto di sentirvi cittadini liberi».
Messaggi che, letti oggi a distanza di 37 anni, commuovono ed attestano la grandezza di un uomo e di un padre di famiglia, forse prima ancora di un alto e fedele servitore dello Stato, anche se, ricorda sempre Simona dalla Chiesa, non mancarono - poi abbiamo saputo da quali ambienti provenissero - critiche e battute tese a quel suo modo di fare, frasi del tipo: «invece di pensare ad arrestare i mafiosi perde tempo andando a parlare nelle scuole...»). Con i ragazzi delle scuole palermitane che, proprio ieri - come scrive stamattina Salvo Palazzolo sull’edizione di Palermo de “La Repubblica” - si sono ritrovati, a 37 anni di distanza e con non poca commozione (all’epoca erano studenti quindicenni del Liceo Scientifico Gonzaga) presso la Prefettura di Palermo innanzi al busto del generale.
Ecco, questo era [anche] il generale e prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, servitore di uno Stato che 37 anni fa quasi nulla fece per evitargli una morte annunciata.
Come annota Andrea Galli nella corposa e bella biografia di qualche anno fa, "Dalla Chiesa - Storia del generale dei carabinieri che sconfisse il terrorismo e morì a Palermo ucciso dalla mafia", per la strage di via Carini (oggi via Dalla Chiesa) sono stati condannati all'ergastolo mandanti ed esecutori materiali. Ma poi amaramente si chiede: «...mancano però quelli morali. Ma c'è ancora tempo e ci sono ancora in vita testimoni per dire quello che non è stato detto»?
Lo ricorda lo stesso Galli, lo abbiamo letto e visto più volte in qualche film: dopo la strage i mafiosi brindarono. Non furono gli unici. Non solo in Sicilia.
Fernando Orsini
(Fonte Facebook)