Rosanna Scopelliti a 31 anni dalla morte del padre Antonino.

Ho appena finito di ascoltare il ricordo che la Camera dei Deputati ha voluto tributare a papà oggi.

Credo sia la prima volta che accade il 9 agosto e ha un significato simbolico importante. Grazie a chi ha voluto che accadesse, grazie a tutti per le belle parole quasi mai scontate.

Trentuno anni sono troppi.

Sono da sempre convinta che ogni cosa abbia una data di scadenza. Resta lì, apposta da qualche parte in attesa di consumarsi. Ci scruta con consapevolezza e pazienza finché non arriva il suo momento.

E non sai mai quale sia la causa scatenante o il motivo per cui sia proprio quell’anno, mese o giorno lì. A un certo punto accade. Scade. E basta.

“Eh ma io non lo sapevo, dov’era?”

“Sul retro. Nascosta come i minuti di cottura della pasta”

“Ah”. E finisce.

Ci pensavo stamattina mentre immaginavo un messaggio da condividere con le persone che ogni anno ci sono vicine in questa ricorrenza. Che scelgono di stringersi intorno alla nostra comunità per commemorare il sacrifico di Antonino Scopelliti. Ed ecco che è successo: la scadenza si è insinuata tra i ricordi delle parole dette ogni anno con tono diverso e voci diverse da trentuno anni, si è insinuata nei gesti, nei rituali che si susseguono, laconici, ogni nove agosto.

La stele, l’emozione, le parole a volte anche pesanti lanciate a strapiombo sul mare. Tutti intorno alla memoria di Antonino Scopelliti. Tutti in un copione che si perpetua tra dolore e rabbia. Siamo così abituati alla memoria che abolirei anche il cerimoniale, ognuno saprebbe esattamente dove andare, cosa dire, come fare. Io per prima nella costante lotta tra emozione e razionalità.

Ebbene questa cosa. Questa cosa qui, con tutte le sue strette di mano e pacche sulla spalla, oggi, per quanto mi riguarda, trova la sua data di scadenza. Non sono più disponibile a vivere il copione del familiare “in attesa” della stella cometa della verità. Non raccoglierò strette di mano che non siano accompagnate dall’impegno, concreto, per la verità. Mi spiace, ma non posso sopportare che il delitto Scopelliti resti un caso irrisolto. Non posso più accontentarmi della fiducia nel tempo che verrà. Non posso più sentirmi chiedere di essere paziente. Perché la giustizia ritardata è ciò che recide il rapporto di fiducia vero e vivo tra Stato e cittadini: crisi della Giustizia che è quindi crisi dello Stato, lo scriveva papà in un articolo del 1975.

Lo dico con profondo rispetto per la Magistratura e con immutata stima e gratitudine verso il procuratore Lombardo per aver riaperto il caso. Io comprendo che ci siano molte emergenze, comprendo che ci siano casi “caldi” e da prima pagina, spesso sono quelli che due su tre poi vengono ridimensionati fino a diventare trafiletti da bordo pagina in cui senza particolari scuse si comunica l’estraneità ai fatti del presunto mostro. Però posso assicurare che ristabilire la verità e dare pace alla memoria di un magistrato ucciso più di trenta anni fa sarebbe ugualmente importante per rinsaldare il rapporto di fiducia di cui parlavo.

Ricominciate allora. Ricominciate da zero. Ricominciate da qui, da chi, ancora vivo, può parlare. Ricominciate e non fermatevi perché non ci sarà un altro 9 agosto. La morte di mio padre tornerà a essere un fatto intimo personale familiare della comunità che ha amato mio padre, fino a quando non ci avranno dimostrato di fare sul serio nella ricerca della verità.

Qualche settimana fa, ricordavo ieri in una bella iniziativa a Campo Calabro, la Signora Boccassini, raccontava alla platea Lametina, città in cui veniva ucciso il giudice Ferlaino, che in Calabria le mafie non avevano mai colpito i magistrati. La signora Boccassini si rallegrava della fortuna dei magistrati calabresi. La signora Boccassini ha lavorato con Antonino Scopelliti a Milano. Papà era un suo collega. Papà è stato ucciso. La signora Boccassini non è stata nemmeno minimamente interrotta o corretta nel suo intervento da nessuno degli astanti. La signora Boccassini, non è stata redarguita da nessun collega. Nessun collega della signora. Da nessun collega di Antonino Scopelliti.

Ancora una volta, nello spirito per cui le vittime restano esclusiva responsabilità dei familiari e di pochi amici, il lutto e l’indignazione è dovuta partire da noi. Ringrazio chi ha poi voluto riprendere questo sfogo, rilanciarlo sul piano nazionale e tentare di farlo arrivare alla diretta interessata.

Anche per questo oggi la pazienza è finita. Non l’affetto o la comprensione o il rispetto, ma la pazienza sì.

Non ci sarà un altro anno di strette di mano. Non con me. Non con la comunità che ha amato Antonino Scopelliti. È una questione di dignità. Ognuno ha la propria. Ognuno la difende. E non sono più ammessi passi indietro. Lo Stato oggi più che mai deve saper essere forte e coeso. Le Istituzioni responsabili. La memoria viva.

E la Giustizia garantita. In tempi accettabili, dovremmo pretendere come cittadini.

La mia famiglia questo, dopo trentuno anni, non lo può più pretendere. Ma non è un buon motivo per non fare giustizia.

9 agosto 2022

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