E' scomparso Francesco Morgese. L'avvocatura italiana in lutto (G. Florio).
L'ultima volta che avevo avuto modo di parlarci in libertà – un anno addietro, da soli, davanti a un caffè – era accaduto perché mi aveva sollecitato a farlo:
richiesta inusitata, con preghiera di discrezione anche verso suo figlio, mio fraterno amico. La conversazione si era consumata amabilmente, per un paio di ore fitte, che mi avevano però turbato. Perchè, a differenza della miriade di occasioni – episodi, incontri, conversazioni estemporanee in cui avevo avuto la fortuna di ascoltarlo – aveva dismesso l'abito un po' istituzionale che gli stava cucito addosso come una seconda pelle e si era lasciato andare: a riflessioni private, a giudizi anche tranchant ed all'amarezza per certi atteggiamenti disdicevoli rivoltigli dall'amministrazione cittadina. Stava già tracciando, e con lucidità estrema, il bilancio della sua esistenza terrena, densa di occasioni umane, morali, professionali, accadutegli per talento, merito, considerazione pubblica.
Pochi mesi fa, a casa sua, mi fece trovare accuratamente disposte sul tavolo pile di libri antichi appartenuti alla sua famiglia, mi chiese di compulsarli, mi interrogò su quale fosse il mio preferito. Credetti – e non penso di sbagliarmi – che volesse regalarmene uno, una sorta di piccola e pregiata eredità a testimonianza della sua amicizia. Tornai a casa col cuore trafitto. Per lunghi anni ho prestato attenzione, tra i molti particolari, a un suo piccolo ma significativo comportamento, una sostanziale questione di nobiltà d'animo. Squillava il telefono e, dall'altro capo del filo, una voce esordiva: «Francesco Morgese, buona sera», mai rivendicando un titolo che tanti legulei si premurano di millantare.
Francesco Morgese – per me ieri e domani antonomasticamente «l'avvocato» - se n'è andato ieri sera dopo troppi mesi di quel calvario che non risparmia neppure le persone buone. Settantotto anni, fino a prima dei malanni portati con signorile sportività, uomo sensibile e generoso, intellettuale curioso e raffinato, galantuomo educato per natura, durante una più che cinquantennale carriera condotta in modo luminoso e specchiato è assurto a simbolo dell’avvocatura equilibrata, corretta, saggia, sapiente. Presidente dell'Ordine dal 1994 al 2000 e per due volte componente del Consiglio Nazionale Forense, è stato una fulgida figura del panorama civile mesagnese e regionale. Ben al di là della retorica dei lutti, il vuoto che si dischiude con la sua scomparsa è, prima che difficile da colmare, affilato e terribilmente doloroso.
Giuseppe Florio