Quali sono i motivi tecnici, energetici ed economici che non consentono una decarbonizzazione dell’Ilva di Taranto (Pasquale Cavaliere)

Allo stato attuale, nello stabilimento ArceloMittal di Taranto si producono poco meno di 5 milioni di tonnellate di acciaio

all’anno. A regime ( nel caso in cui si metta in funzione l’Altoforno 5 e si vada ai massimi livelli di produttività) si stima una produzione annua di 9 milioni di tonnellate all’anno. Tenendo in considerazione gli scenari prospettati (Riduzione diretta a gas e riduzione ad idrogeno) bisogna costruire 5 moduli per DRI di grossa taglia (2 milioni di tonnellate anno cadauno) i quali necessiterebbero di 2.5 Giga calorie di gas per tonnellata di preridotto che equivale ad un totale di circa 3.000.000.000 di m3 di gas/anno. La conversione a gas porta ad un aumento di almeno 20 centesimi al chilo di acciaio prodotto (l’aumento è tutto imputabile costo del gas). Un modulo da 2 milioni di tonnellate/anno ha un costo di circa 750 milioni ed un periodo di installazione e messa in esercizio di circa 30 mesi. Ciò mette già fuori mercato l’intera produzione quindi spostando il problema su altri campi. Il processo produce comunque CO2 che va stoccata e utilizzata quindi bisogna attrezzare l’impianto di raccolta con tecnologie di conversione dell’anidride carbonica quali sintesi in etanolo o metanolo o altri composti utilizzabili successivamente come combustibili o come vettori per altri processi industriali. Ciò comunque produce ulteriori costi e ulteriori pianificazioni in termini di layout impianto e valutazioni energetiche.

A tutto ciò vanno aggiunti i forni elettrici a valle dei reattori di preriduzione per la produzione dell’acciaio fuso di composizione adatta agli utilizzi successivi.

A tal l’analisi non può non tener conto delle cosiddette emissioni indirette dovute all’aumento di necessità di energia elettrica che va comunque prodotta e che causa inquinamento.

Parlando di riduzione a idrogeno, stime molto affidabili condotte tra gli altri dalla Commissione Europea stima che sarà industrializzabile intorno al 2030, la si può quindi tranquillamente considerare come una potenziale soluzione a medio termine. Inoltre l’idrogeno va prodotto in loco oppure stoccato e trasportato (con elevatissimi rischi tenuto soprattutto in considerazione il volume di gas che bisogna trattare). Ad oggi una prima soluzione è stata realizzata da Thyssenkrupp che produce idrogeno dalla elettrolisi dell’acqua. Per valutare la fattibilità si attendono dati sulle densità di energia necessarie per l’elettrolisi quindi non mi azzardo a fare alcuna previsione.

Quali possono essere invece gli interventi da effettuare e se possibile ipotizzare una stima di costi in base ad altre esperienze.

A giudizio di chi scrive la migliore soluzione che possa far convergere le esigenze industriali, ambientali è sociali è il mixing e la convergenza di diverse soluzioni tecnologiche che possono tutte contribuire ad arginare e/o a risolvere il problema nel breve, nel medio e nel lungo periodo.

Per chiarezza tentiamo di analizzare il problema settore per settore, la copertura parchi minerari e la copertura dei nastri che trasportano carbone e minerali di ferro dal porto all’area dello stabilimento sicuramente arginerà in maniera notevole, se non addirittura risolverà completamente il problema della dispersione di polveri durante i windy day. Tale soluzione è già in atto e si ritiene possa essere portata a termine nel breve periodo.

Per ciò che riguarda lo stabilimento di Taranto ritengo che la cockeria abbia necessità di interventi notevoli, come soluzioni penso all’utilizzo di tipologie di forni quali il Coke Dry Quenching, il Coke Stabilization Quenching o il Coal Stamp Charging Battery insieme a moderni sistemi di controllo e gestione dell’impianto che possono portare a una riduzione delle emissioni sino a circa 400 kg di CO2 per tonnellata di coke e un risparmio energetico superiore al 20%.

Allo stato attuale, tali soluzioni permettono di risolvere il problema di gestione delle acque reflue della cockeria che rappresenta un aspetto cruciale dell’intero sistema ed è un tema poco discusso forse perché l’acqua non va in cielo e quindi nessuno la fotografa così come accade per i fumi dei camini………………..

Per ciò che riguarda gli altoforni la letteratura tecnica e scientifica si è da sempre sbizzarrita nell’indicazione di diverse soluzioni. Tra le tante mi sento di evidenziare le soluzioni più significative proveniente da diversi studi effettuati dalle acciaierie, istituti di ricerca e università giapponesi (che tra l’altro hanno lo stesso problema italiano di criticità nell’approvvigionamento energetico) quali l’utilizzo di ossigeno nella combustione accanto all’utilizzo di gas proveniente dalla cockeria o dal ricircolo dei fumi d’altoforno stessi. I sistemi più efficienti sono quelli accoppiati con impianti di cattura ed utilizzo della CO2 come sopra descritti. Già il solo ricircolo dei gas di scarico porta ad una riduzione delle emissioni di CO2 di oltre il 20%.

Le tecnologie di cattura e stoccaggio o cattura e utilizzo della CO2 possono condurre a soluzioni di grande efficacia con costi nell’ordine delle decine di euro per tonnellata di gas trattato.

Ampia letteratura inoltre è concentrata sull’utilizzo di biomasse piuttosto che sull’utilizzo parziale di agglomerati compositi ferro-carbone, molto promettenti per un ulteriore contributo nella direzione cercata.

Sicuramente l’installazione di un modulo di preriduzione che possa servire da service per gli altoforni esistenti contribuirebbe alla riduzione di CO2 degli altoforni stessi oltre ad avere alcuni vantaggi in termini qualitativi dei materiali prodotti.

Anche nel caso degli altoforni il monitoraggio, controllo e ottimizzazione della marcia con sensoristica avanzata e con gestione da parte di tecnologie quali le reti neurali portano sicuramente ad aumenti della produttività con riduzione dell’impatto ambientale.

Lo stesso vale per i forni convertitori deve tecnologie di monitoraggio continuo delle condizioni di processo portano a notevoli miglioramenti produttivi ed energetici.

Tutto ciò è largamente sottolineato nella Strategic Research Agenda (SRA) pubblicato nel settembre dello scorso anno dalla European Steel Technology Platform – ESTEP. Nel documento si caldeggia largamente l’intesa pubblico-privato per trovare soluzioni efficienti energeticamente sottolineando nuovamente che questo è l’aspetto cruciale di tutta la vicenda.     

Con questi eventuali interventi, quali e di quanto si potrebbe abbatterebbero le emissioni

Se si persegue l’intento di integrare l’esistente con le soluzioni più efficaci settore per settore si può tranquillamente giungere a livelli di emissione perfettamente in linea con le normative vigenti insieme ad un bilancio energetico estremamente conveniente.

Il problema energetico è cruciale, non si può prescindere dallo scenario internazionale. Entro il 2040, la International Energy Agency prevede un aumento della domanda di energia primaria superiore a 1 TW (Tera watt). Da qui al 2040 è come aggiungere un’altra Cina e un’altra India nello scacchiere planetario.

Capitolo diossina: quali sono i passi da fare ancora su Taranto

Questo è stato un tema molto caldo alcuni anni addietro. Diossine e furani provengono dall’impianto di agglomerazione dei minerali di ferro. Notevoli sono state in passato le soluzioni adottate per l’impianto tarantino (precipitatori elettrostatici e quant’altro) giungendo (a quanto sembra dai dati disponibili) a raggiungere livelli di emissioni al di sotto di quelli indicati dalla normativa vigente (0.4 ng I-TEQ/Nm3). Recentissimamente la normativa europea ha dimezzato tale livello portandolo a 0.2 ng I-TEQ/Nm3 . Tali livelli possono essere tranquillamente raggiunti con sforzi limitati attraverso l’adozione di sistemi di ricircolo del gas sul letto di agglomerazione, precipitatori elettrostatici e ottimizzazione delle condizioni di combustione. Tali sistemi conducono a livelli di emissione di diossine e furani minori di 0.1 0.4 ng I-TEQ/Nm3 , livelli di SOx ridotti del 99.9% ed NOx fino all’80%. I costi degli impianti (ex-novo) sono abbordabilissimi con tempi di payback nell’ordine di 1-3 anni.

Per essere economicamente sostenibile, a quanto dovrebbe essere quotato il gas per utilizzo in siderurgia italiana.

-Meno della metà per cominciare a poter fare un conto economico che abbia senso. Nei paesi con grande disponibilità di tale materia prima, ove la gran parte di impianti di preriduzione è allocata il costo del gas naturale è notevolmente inferiore alla metà del prezzo attuale italiano. Qui il panorama internazionale è veramente imprevedibile, si stima che solo per la Cina la richiesta di gas naturale raddoppierà nei prossimi 5 anni (fonte Reuters), giungendo a 270 miliardi di metri cubi anno (10 TAP in più) contribuendo a incrementare il prezzo di tale materia prima.

Ricordiamo che il comparto è già in forte difficoltà, Il Prof. Teodori (Università di Brescia) ha più volte evidenziato come vi sia una preoccupante perdita di marginalità. Questo conduce a dover ponderare ancora maggiormente eventuali cambiamenti di scenario. L’acciaio è un materiale a bassa redditività, la convenienza produttiva sta nel basso costo delle materie prime e nella capacità di muovere ingenti volumi su brevi distanze. Se si vuole cambiare impostazione produttiva bisogna cambiare completamente paradigma. Quindi andare dal cosiddetto clean steel al green steel e allo smart steel, ma questo è tutto un altro campo (Che sarei felice di approfondire in altre occasioni).   

Le stime di jindal prevedevano nel piano circa 2 milioni di tonnellate senza carbone: sarebbe fattibile?

Se per senza carbone intende 2 milioni di tonnellate/anno di preridotto come ho detto prima assolutamente si. Tra l’altro 2 milioni è poco più del 20% della produzione totale. Dal momento che la quantità di preridotto che si può usare nell’altoforno si aggira intorno al 15% ciò consentirebbe di avere un beneficio immediato (riduzione della CO2 del 20-25%) con una soluzione industrialmente ed economicamente appetibile (fatto salvo l’approvvigionamento di gas naturale e la sostenibilità dei costi).

Una soluzione elaborata dalla Nippon Steel & Sumikin Engineering insieme a Tenova e Danieli integra la gasificazione del carbone con il reattore di preriduzione e l’Altoforno. L’utilizzo del gasificatore a monte del reattore di preriduzione consente di aumentare l’efficienza energetica globale tra il 5 e il 10% e di ridurre l’utilizzo di gas naturale (abbattendo i costi). La soluzione è quella di utilizzare il preridotto ad alto contenuto di Carbonio come carica per l’altoforno di tecnologia ottimizzata ove l’ottimizzazione dei flussi di materiale, attraverso la migliore gestione della carica in ingresso, consente di migliorare la combustione all’interno. Tale configurazione conduce a: una riduzione dell’utilizzo di Coke pari al 16%; Un aumento di produttività del 14%; Una riduzione dei costi di esercizio annua tra 54 e 90 milioni; Una riduzione di 1.6 milioni di tonnellate/anno di CO2.

Il ciclo di vita di un impianto degli anni 60 quando potrebbe terminare? E cosa succederebbe dopo?

Vede qui mi trovo in difficoltà a rispondere, tale ciclo di vita dipende dalle operazioni di manutenzione ed ammodernamento che si effettuano nel tempo. Non conosco tale aspetto per l’impianto di Taranto e soprattutto penso che settore per settore le cose siano differenti, come ho detto prima sull’agglomerazione si è intervenuti sensibilmente mentre per altri impianti non ci si trova nelle stesse condizioni.

Bisogna sperare ed auspicare che i tecnici nella nuova gestione intervengano pesantemente nella pianificazione manutentiva e nell’ammodernamento delle aree che necessitano di interventi radicali. Non credo che si sia effettuata tutta l’operazione di acquisto senza una seria valutazione pluridecennale.

    

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