La dotta polemica su la "Fucazza chena" ossia: la sagra, le parole, l’ignoranza e l’ipse dixit
Nella meno autorevole delle enciclopedie - peraltro la più usata perché facilmente consultabile e utilizzabile con il “copia e incolla”
– leggiamo questa voce: Ipse dixit. La locuzione Ipse dixit, tradotta letteralmente, significa l'ha detto egli stesso. Di fatto viene per lo più intesa e usata nel senso che, avendolo detto egli stesso, vale a dire una persona famosa e autorevole, non si può più discutere. Il detto compare nel De natura deorum (I, 5, 10) di Marco Tullio Cicerone, il quale, parlando dei pitagorici, ricorda come fossero soliti citare la loro somma autorità, Pitagora, con la frase Ipse dixit, per poi criticare tale formula in quanto elimina la capacità di giudizio dello studente”. Ed a proposito di una prossima manifestazione e della sua intitolazione, fa specie che si chieda la sostituzione del titolo della manifestazione quale correzione ad una dolosa ignoranza. Il prof. Ignone cita il suo dizionario – ipse dixit – e avrebbe fatto meglio nel suo furore didattico a spiegare come il gruppo delle parole latine “pl” che precede una vocale si trasformi nel dialetto in “ch”. Es. Plus – cchiù, plenus-chinu, etc.
Egli del resto sa che il problema non è nell’aver scritto “chena” invece di “chiena” perché conosce bene il problema della trascrizione di una lingua sostanzialmente parlata come è il dialetto. Nessuno scandalo quindi e nessuna ignoranza – e non c’è nemmeno dolo – se si è scritto “chena”. A tal proposito, proprio come gli studenti del “copia e incolla sopra citati”, mi permetto di ricopiare un’illuminante paginetta (elettronica) tratta da http://tamerici-romina.blogspot.com/2016/05/regole-dittongo-ie.html (la quale non credo invochi l’ipse dixit):
«Continua oggi il nostro viaggio nella corretta pronuncia delle parole. Il mese scorso abbiamo visto un caso di due omografi (pèsca e pésca) mentre questo mese ci occuperemo di una regola, quella relativa al dittongo ie. Questa rubrica infatti alternerà casi particolari a regole. L'elenco completo dei post lo trovate nel post introduttivo, oppure potete vedere i vari appuntamenti sotto l'etichetta Come si dice?
Il dittongo ie
Prima di parlare della pronuncia del dittongo ie forse è il caso di fare una breve premessa: che cos'è un dittongo?
Il dittongo è un gruppo di due vocali consecutive all'interno di una stessa sillaba. Una delle due vocali è sempre o una i o una u.
- Nei dittonghi ascendenti la i o la u si trovano in prima posizione (e sono dette semiconsonanti). È il caso di ia, ie, io, iu, ua, ue, ui, uo.
- Nei dittonghi discendenti la i o la u si trovano in seconda posizione (e sono dette semivocali). È il caso di ai, ei, oi, ui, au, eu.
Pertanto, il dittongo ie di cui ci occupiamo oggi è un dittongo ascendente in cui la i è una semiconsonante.
Chi studia dizione sa bene che le regole sono poche e le eccezioni troppe, quindi quando si trova una regola che funziona quasi sempre è una grande festa! E questo è proprio il caso del dittongo ie! Infatti, esso quando è accentato si pronuncia quasi sempre con la e aperta (è).
Es. ièri, piède, dièci, fièra, pièno…
Per me questi non sono accenti naturali, nel senso che quando parlo nella mia quotidianità non pronuncio così queste parole, però questa regola mi aiuta a ricordarmene quando mi serve parlare in dizione corretta.
Le eccezioni
Sfortunatamente ogni regola ha le sue eccezioni e nell'insidioso mondo dell'ortofonia e della dizione questo è ancora più vero.
La regola, infatti, non va rispettata e la pronuncia della e è chiusa in alcuni casi in cui il dittongo si trova in un suffisso per il quale è prevista una regola diversa! Ebbene sì, l'esistenza di altre regole porta questa ad avere eccezioni. Vediamo alcuni casi:
- Il suffisso per le terminazioni etniche -ése si pronuncia con la e chiusa e questo avviene anche in caso di dittongo (es. ateniése, pugliése…).
- Il suffisso per i diminutivi -étto/-étta si pronuncia con la e chiusa e questo avviene anche in caso di dittongo (es. fogliétto, magliétta…).
- Il suffisso -iézza si pronuncia con la e chiusa nonostante ci sia un dittongo (es. ampiézza).
Ci sono poi le cosiddette parole isolate che sono il terrore di ogni studente di dizione perché l'unico modo per non sbagliarle è studiarle a memoria poiché non seguono una regola particolare. Per quanto riguarda il dittongo ie è il caso di chiérico e bigliétto.»
Nessuna superbia dell’ignorante, o meglio: la superbia dell’ignorante andrebbe applicata “cum grano salis” ed orientandola in diverso modo, magari punendo anche l’ipse dixit.
Chi dimentica la storia è destinato a riviverla, diciamo spesso. Ed è così. Se ignoriamo la storia dobbiamo riviverla. Ed allora semplicemente ricordiamo che la “sagra ti la fucazza chena” (si “chena”) fu inventata e realizzata dagli scout del gruppo “Agesci Mesagne 1” e dal suo esponente più in vista, il compianto dott. Mino Falcone, che appunto “giocava” con il termine “chena” scritto così perché– ridevano a tavola lui e don Angelo Argentiero di questo fatto, perché sapevano che si trattava di una trascrizione fonetica ed ognuno aveva orecchie per sentire più o meno accentuato il dittongo di cui sopra – se un italiano va a Londa e deve trascrivere la parola più usata in Inghilterra scriverebbe “bas” invece di bus – diceva - ed aprendo più o meno la bocca in maniera larga o stretta vengono fuori parola incredibilmente scritte. Del resto, proprio l’altro giorno un italo-brasiliano in un bar del centro diceva al figlio che il fazzoletto di carta era “spurco”, perché la “o” se l’era letteralmente mangiata. E la sagra nacque con questi precisi impegni: le mamme di ogni ragazzo del gruppo realizzavano delle focacce – meglio se ripiena con la cipolla – e altri piatti della nostra cucina contadina perché in piazza Sant’Anna - Orsini del Balzo se no si arrabbiano – si vendessero quei piatti e si finanziasse l’attività del gruppo. Piacque l’iniziativa, si andò sempre più ingrandendo, occupando le altre piazzette del centro storico e si unirono anche qualche chilo di carne arrosto e il gruppo musicale rigorosamente di musica salentina: sono venti anche i tanburellisti di Torrepaduli. Si fecero anche le magliette celebrative e ci si accorse che il tutto finito dell’anno prima determinava scelte diverse: le focacce non potevano farle più le mamme dei ragazzi. La sagra delle fucazza chena era bell’è compiuta. Poi gli scout hanno sentito di non farcela – i passaggi giuridici non li conosciamo – ma il “passaggio morale” è evidente: nella locandina c’è la numerazione dell’annata, ma non c’è il simbolo degli scout. E allora concludiamo senza pretesa di ipse dixit: se l’amministrazione decide per la continuazione di un patrimonio acquisito alla collettività fa benissimo anzi deve confermare la dizione “Sagra ti la fucazza chena”, se invece – come pure si nota – la sagra adesso è altro, riparta dal numero 1 o 2: scriva “sagra ti la fucazza chiena”, accontentando il prof. Ignone e rinunciando alla madre o matrigna che l’ha generata.
Nel ricordo di Mino Falcone
Uno scout nel cuore senza cerimonie passaggio