La lezione di Pietro Grasso sul nostro Sud e la mafia (di Enrica Sconosciuto)

Pietro Grasso: ex magistrato, politico e presidente del Senato della Repubblica durante la XVII legislatura racconta la sua storia,

profondamente legata al territorio siculo, nella pubblicazione “Liberi Tutti-Lettera a un ragazzo che non vuole morire di mafia”.

Nasce a Licata nel 1945 ed è da subito immerso nell’ambiente poco felice di una Sicilia che vedeva all’orizzonte l'affermarsi di Cosa Nostra. Proprio per questo motivo, ci spiega l'ex presidente del Senato, decise sin da piccolo che avrebbe intrapreso la carriera di magistrato per poter metaforicamente dire nella vita reale “Liberi Tutti” proprio come faceva giocando a nascondino da bambino. L’intento primario quindi era fare giustizia e dare un messaggio chiaro: “La mafia non deve sostituirsi allo Stato”. A tal proposito racconta il rapporto tra i giovani e la mafia. O meglio la crisi del rapporto tra giovani e lavoro che persiste e il ruolo che in questo rapporto hanno le organizzazioni mafiose, prima guardando al territorio siciliano e poi ampliando l'orizzonte su più ampia scala. Per esemplificare queste complesse dinamiche si rifà a un episodio accadutogli durante uno dei suoi primi interrogatori ad un boss pentito scrivendo: "Nella pausa di un interrogatorio chiesi a un boss mafioso quando, secondo lui, sarebbe finita la mafia. Non mi rispose in maniera diretta, ma con una sorta di parabola. Mi raccontò che un giorno un ragazzo andò da lui quasi in lacrime perché non aveva soldi per comprare il latte alla sua bambina di otto mesi, che piangeva per la fame. Lui lo mandò, a suo nome, presso un cantiere di un imprenditore amico il quale, dato che stava costruendo un palazzo con i suoi soldi, non gli poteva dire di no. Naturalmente avrebbe lavorato a nero, sarebbe stato pagato meno del dovuto, non avrebbe avuto né contribuiti provvidenziali, né assicurazione per gli infortuni. Dopo qualche giorno il giovane tornò e gli disse: "Grazie! La bambina adesso ha un colorito roseo, è sazia e dorme sonni tranquilli, cosa posso fare per voi?” Lui gli chiese la sua carta d’identità. Il ragazzo obbedì, sapendo che il documento sarebbe servito per coprire la latitanza di un boss, per affittare un appartamento o per acquistare un’autovettura a suo nome è che, se scoperto, avrebbe rischiato anni di carcere per averlo aiutato a sottrarsi alla giustizia. “Allora cosa significa?” chiesi alla fine del racconto. Il pentito mi rispose:” Vede, dottore, finché quel ragazzo si rivolgerà a me e non allo Stato, la mafia non finirà”.

C’è chi in passato, a proposito di episodi simili a questo, ha affermato che, in fondo, la mafia non è poi “così male” in quanto può, a lungo andare, rappresentare un fattore dell’economia che investe in attività produttive. In realtà non può essere questo tipo di investimento illecito a far fiorire l’economia di un paese in costante sviluppo e mutamento, causando un fermo economico dell’area in cui il fenomeno si verifica. Questa politica economica malsana per molto tempo in auge nelle aree del Sud Italia ha favorito lo sviluppo “sano” - o più o meno sano - delle aree del Centro-Nord che tendono ancora oggi e sempre di più a prosciugare le nostre terre della “loro energia lavorativa e della loro fantasia” - come dice lo stesso Grasso - ossia dei giovani.

D’altronde si sa - e si è sempre saputo - che tanto Cosa Nostra in Sicilia, quanto qualsiasi altra associazione di stampo mafioso, non necessariamente nascono dal sottosviluppo ma hanno “tutto l’interesse a mantenerlo” e Pietro Grasso, ancora oggi all’età di 74 anni, svolge il suo impegno politico per combatterlo. O come si era imposto da bambino: per fare giustizia.

Enrica Sconosciuto

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