Epifanio Ferdinando nacque il 2 novembre di 450 anni fa (di Domenico Urgesi)
A 450 anni dalla nascita, a che serve ricordare Epifanio Ferdinando?
È una domanda che appena 10 anni fa non mi sarei posta, era inutile: era scontato l’interesse per i nostri antenati illustri. Oggi, mi pare che quell’interesse sia molto scemato. Oggi, a me pare evidente che siamo pienamente immersi nell’età della dimenticanza. Mi riferisco ad un processo storico incentrato sulla comunicazione di massa, profondamente trasformata dai nuovi strumenti informatici. Si tratta di un argomento che andrebbe sviluppato più estesamente, ma qui mi preme soltanto rilevare che le piattaforme cosiddette social hanno contribuito enormemente alla semplificazione della comunicazione, perché pongono l’accento sull’immediato, ossia sul nuovo, che supera continuamente ciò che fino ad un minuto prima era nuovo e che un minuto dopo diventa vecchio. E così, sommersi dal nuovo, perdiamo di vista il contorno, il contesto, e le radici dell’argomento che, di volta in volta, viene discusso.
Il risultato di questo processo è un analfabetismo di ritorno (sociale e storico), che tocca tutte le fasce di età e tutti gli strati sociali; e che rischia di mettere in forse le stesse basi del vivere in questa società. Ciascuno si sente portatore di una propria verità, quasi in ogni settore, da quello sportivo a quello medico, passando per quello religioso: ognuno di noi si sente il più grande allenatore, il più competente medico, e il prete di sé stesso. Che bisogno c’è, in questa situazione, di ricordarmi delle tradizioni popolari? Delle tradizioni civiche? Di quelle religiose? Quasi zero. Ecco perché dico età della dimenticanza. Quando tutto è così provvisorio, che cosa possiamo ritenere importante da tramandare ai nostri successori?
Alla fine del secolo scorso, avevamo già intravisto questo pericolo per la società: un pericolo mortale. E cominciammo a fare, seppure sporadicamente, manutenzione della memoria. Finché, agli inizi di questo secolo, vari operatori culturali (tra cui i Presidi e gli insegnanti delle scuole mesagnesi, l’Assessore alla cultura, alcune Associazioni), inventammo le ricorrenze storiche. La shoah, le foibe, il 25 aprile, il 2 giugno, il IV novembre, eccetera, diventarono il fulcro dell’attività culturale dell’Amm.ne Comunale di Mesagne. Sbaglio nel dire che quella consapevolezza strategica è, poi, scemata?
Premessa questa osservazione di carattere generale, vengo adesso alla domanda iniziale. Perché ricordare Epifanio Ferdinando? Per puro spirito di erudizione? Per pura celebrazione di carattere campanilistico? Se fosse così, sarebbe squallido e di corto respiro: si considererebbe Epifanio un estraneo, come uno dei nostri lontani parenti vissuti 450 anni fa, che non hanno più alcuna influenza nel nostro vivere presente. E invece, a mio parere, questo personaggio và ricordato perché le radici della cosiddetta mesagnesità affondano anche (non solo) nell’opera di Epifanio.
E, quindi, vediamolo da vicino (con l’avvertenza che qualche notizia non sempre è suffragata da sufficienti prove, perché si sono smarrite le tracce documentali).
Epifanio Ferdinando nacque a Mesagne il 2 novembre 1569 e vi morì il 5 dicembre 1638. In codesto periodo, ricordiamo molto sinteticamente, il Mezzogiorno d’Italia era dominato dagli spagnoli, in tutta Europa imperversava il conflitto culturale e militare tra luterani e cattolici, nel Mediterraneo si contrapponevano due grandi potenze, quali la Spagna e l’impero Turco. Vi era una potenza minore, che però dominava l’adriatico, ossia la repubblica di Venezia; e piccole Signorie, alla continua ricerca di alleanze che le rafforzassero. Nella maturità di Epifanio, le città della Puglia erano sottomesse a tanti (e spesso feroci) Signorotti; Mesagne apparteneva alla piccola Signoria degli Albricci.
Epifanio, dopo i primi insegnamenti ricevuti dal canonico mesagnese Francesco Riccio, completò gli studi superiori sotto la guida del medico-filosofo brindisino Gian Maria Moricino; poi andò a studiare a Napoli, dove si laureò in Filosofia e Medicina nel 1594.
Tornato nel 1595 a Mesagne, fu nominato medico condotto della città; nel 1605 fu eletto sindaco di Mesagne e si fece promotore dell'apertura della Porta Nuova, necessaria per mettere m comunicazione il centro abitato (attuale centro storico) con il Borgo Nuovo sorto nelle vicinanze del Convento dei Domenicani.
Nel 1607 pronosticò un'incombente epidemia di peste. Anche per questa previsione, divenne ben presto un medico rinomato e cominciò a pubblicare i suoi studi. Nel 1611 pubblicò a Venezia Theoremata medica et philosophica, presso Tommaso Baglioni, il libraio che nel 1621 darà alle stampe l’opera più famosa, Centum Historiae seu casi medici. Nella prima parte di quest'opera, egli si poneva i seguenti problemi, che ancora oggi la Filosofia della scienza si pone. È la medicina una scienza? Oppure è un’arte? Oppure è altro ancora? Come si vede, sono questioni tutt'altro che superate! Nella seconda e nella terza parte dell'opera egli sviluppò la trattazione della fisiologia, della psicologia e della farmacologia, come si usava nei manuali medici di allora.
Appena un anno dopo, nel 1612, a Napoli, presso G. Battista Gargano e Lucretio Nucci, diede alle stampe l'opera De vita proroganda seu iuventute conservanza et senectute retardanda, dedicata al papa Paolo V. Secondo la medicina del Seicento, in quest’opera si insiste molto sulla dieta, sulla salubrità dell'ambiente, sull'importanza dell'attività fisica e del riposo. Come scriveva il compianto prof. Andrea Russo, «ben pochi sono però i medicamenti consigliati, per lo più quelli volti a favorire la digestione». Il Ferdinando prescriveva molto il suo "elettuario" ovvero il preparato erboristico da lui inventato, come dire la sua “formula medicinale”. A titolo di curiosità, diamo qui la formula di uno dei medicamenti consigliati per la digestione, ossia il "Vinum aromaticum Arnaldi" così come è stato trascritto dal citato prof. Russo: «cariophillorum, nucis moschatae, passularum ana D. 3 bulliant in sacculo in libris vinis optime quantum sufficit>>. Da bere – traduce Russo – un'oncia al mattino ed alla sera prima dei pasti, in unione dell'acqua del Tevere con infusione di rametti di cipresso o di loto». Non è sorprendente che tali temi fanno parte di una vasta branca della medicina attuale?
In quegli anni, intanto, Epifanio Ferdinando era diventato il medico personale di Giovanni Antonio Albricci, principe di Avetrana, marchese di Salice e Signore di Mesagne, al quale dedicò un'opera rimasta manoscritta (De coelo Messapiensi) nella quale vantava il clima secco di Mesagne, in virtù del quale invitava l'Albricci a trasferirsi in questa città.
Nel 1616 seguì la principessa Giulia Farnese, vedova dell'Albricci, in un lungo viaggio che lo portò a Roma, alla corte del Papa Paolo V, e poi a Parma. Si recò quindi a Padova dove – le storie patrie raccontano – gli fu proposta una cattedra di medicina, che il Ferdinando avrebbe rifiutato per non spezzare i legami con Mesagne. Quindi si recò a Milano dove – si racconta – avrebbe stretto amicizia col famoso medico Ludovico Settala.
Tornato a Mesagne, si rimise agli studi, che lo portarono alla pubblicazione, nel 1621, della sua più famosa opera, Centum historiae seu observationes et casus medici. In essa descrisse ben cento casi medici da lui curati tra il 1596 ed il 1613, facendone per ognuno una vera e propria dissertazione scientifica, secondo la metodologia della medicina filosofica del tempo. Imbevuto di aristotelismo, tuttavia il Ferdinando si pone sul crinale della moderna metodologia scientifica.
E’ da notare come, in alcuni casi da lui descritti, i rimedi del Ferdinando sono stati ritenuti validi ancora oggi; né possiamo trascurare l'eco delle formule mediche del Ferdinando nella medicina popolare.
In un campo, addirittura, il Ferdinando ha fatto scuola, quello del tarantolismo, Infatti, il caso del De morsu tarantulae (caso n. 81) fu alla base del trattato di Giorgio Baglivi "De tarantula”. L'opera Centum historiae, nel Settecento, è citata da medici svedesi che si occuparono del tarantolismo.
Nel 1626, a Napoli, presso Domenico Maccarano, diede alle stampe l’Aureus de peste libellus, un breve ma succoso compendio storico di tutte le epidemie di peste fiorite fino a quell'anno, in cui indicò i principali modi di combatterla.
Lasciò inediti moltissimi opuscoli, sull'allevamento delle api, sul magnetismo, sui terremoti e sull'eruzione del Vesuvio del 1631 (che aveva avuto come conseguenza una pioggia di cenere sul Salento), sulla peste anginosa, sul morbo gallico, un'aggiunta ai Theoremata Medica, ecc.
Il suo manoscritto forse più importante e gravido di conseguenze storiografiche fu l’Antiqua Messapographia seu Historia Messapiae, di cui non si è salvato l’originale, ma una trascrizione è conservata presso la Biblioteca "De Leo” di Brindisi. Essa fu tradotta in italiano da Antonio Mavaro sul finire del Settecento.
Ebbene, l’opera circolò ai suoi tempi, pur non essendo stata mai pubblicata; si usava farne delle copie, per i parenti e gli amici, che poi venivano tramandate. Nella Messapografia, Epifanio sostenne che Mesagne era stata una delle principali città dei Messapi, addirittura la loro capitale. Era una convinzione già presente nella metà, più o meno, del Cinquecento, poiché risulta che nei documenti ufficiali, a partire da quelli notarili, a Mesagne veniva dato il nome di Messapia. Prima di allora, Mesagne veniva denominata come Meianum, Megianum, Miannum, ecc. Epifanio portò a compimento quella concezione, che fu sviluppata da suo figlio Diego, poi da molti altri personaggi, fino ad Antonio Profilo, che pubblicò una propria Messapografia, tra il 1870 e il 1875, nell’epoca del dominio Savoiardo.
Quella concezione era errata, come hanno messo in evidenza le ricerche archeologiche, bibliografiche, archivistiche condotte nel Novecento da illustri studiosi, che qui sarebbe improbo nominare tutti. Resta, però, il fatto che tra ‘500 e ‘600 (il tempo, lo voglio sottolineare, delle piccole signorie feudali in Puglia e nel Salento), studiosi del calibro di Antonio De Ferrariis (di Galatone), di Quinto Mario Corrado (di Oria), di Girolamo Marciano (di Leverano), si ingegnarono a nobilitare le radici antichissime delle città di Terra d’Otranto. Il nostro Epifanio, sulla loro scia, si incaricò di trasmettere ai posteri quelle che secondo la classe dominante mesagnese dei suoi tempi, erano le radici antichissime ed eccelse di Mesagne. I posteri, consapevoli che si trattava di difendere il proprio Campanile dalle mire feudali, e poi da quelle del potere centrale Savoiardo, ne accolsero grati il lascito.
Infine, è utile ricordare queste cose, anche se sono superate? Qualcuno potrebbe pensare: «…ma a che servono, se sono superate? Distruggete tutto, Centum historiae, Messapographia, sono soltanto una palla al piede!». Potrebbero addirittura considerare “rivoluzionario” questo gesto. Ma sarebbe solo una barbarie.
Per parlare, discutere di Epifanio Ferdinando, basterebbe soltanto il fatto di collocare questo personaggio nelle dinamiche politiche e sociali del suo tempo. Per farci riflettere sulla diversità (e somiglianza) delle dinamiche attuali. E farci comprendere meglio il tempo presente.
Domenico URGESI
(Presidente della Società Storica di Terra d’Otranto)
Riferimenti bibliografici
- A. Russo, Epifanio Ferdinando da Mesagne (1569‑1638) e la sua opera, in Atti del XXIV Congresso Nazionale di Storia della Medicina (Taranto‑Bari 25‑28 settembre 1969), Roma 1970, p. 424.
- I saggi di Roberto Alfonsetti, Giuseppe Armocida, Giovanna Bascià, Domenico Calò, Giacomo Carito, Lorenzo Carlino, Maria Cervellera, Raffaele Colonna, Luisa Cosi, Elio Distante, Mauro Di Giandomenico, Gino Di Mitri, Nunzia Ditonno-Santina Lamusta, David Gentilcore, Gianni Iacovelli, Gianfranco Ignone, Eugenio Imbriani, Rosario Jurlaro, Giuseppe Maddalena, Enzo Poci, M. Luisa Portulano-Scoditti in
AA.VV., Epifanio Ferdinando: medico e storico del Seicento: Atti del Convegno di studi (Mesagne, 28-29 Maggio 1999), a cura di Mario Marti e Domenico Urgesi; Nardò, Besa Editrice, [2001].
- Per le opere mediche, si vedano gli scritti di Elio Distante e Maria Luisa Portulano-Scoditti, Epifanio Ferdinando: Le Centum Historiae e la medicina del suo tempo, Mesagne, 2000; (Epifanio Ferdinando) La peste; prefazione, traduzione e note di E. Distante e M. Portulano-Scoditti, [Mesagne] 2001;
(Epifanio Ferdinando) De vita proroganda, seu Iuventute conservanda et senectute retardanda: to makrobion, traduzione ed edizione anastatica dell'opera a cura di M. Luisa Portulano-Scoditti, A. Elio Distante; presentazione di Loris Premuda, [Mesagne], Sulla rotta del sole, [2004].
- Per l'elenco completo dei manoscritti e per ulteriori approfondimenti, si veda A. Profilo, Vie, piazze, vichi e corti di Mesagne, Ostuni 1894, ristampa anastatica a cura di D. Urgesi, Fasano: Schena editore, 1993, alle pp. 242‑256 e note aggiuntive.