Francesco Muscogiuri: l’illustre mesagnese oscurato. Brevi note a margine (di Domenico Urgesi)
(seconda puntata)
5 - Dicevamo che il calzolaio Giuseppe De Vincentis, benché fosse stato il più votato Consigliere Comunale nel 1898 con 516 voti, rinunciò a proporsi come Sindaco, come i suoi sostenitori avrebbero voluto. Ricordiamo, anzitutto, che il Sindaco non era eletto direttamente, ma dai consiglieri; e De Vincentis faceva parte della lista moderata maggioritaria. Ma, soprattutto, ricordiamo che allora il Sindaco non era retribuito. La vicenda è stata narrata con gustosa ed interessante dovizia di particolari da Angelo Sconosciuto nel n. 2/2019 del periodico locale “Memorie mesagnesi”, al quale rinviamo per ulteriori approfondimenti.
Alla fine dell’Ottocento, dunque, il ruolo di comando era appannaggio della classe borghese, rappresentata a Mesagne (ma in tutto il Sud) dai notabili: possidenti, avvocati, preti, medici. Essi si sentivano depositari della “verità”, e del dovere di esercitare il potere; e a loro il popolo delegò i compiti di comando. Fu così anche per i successivi 50 anni almeno. I notabili si assunsero il compito di rispondere alla crisi economica, sociale e politica che iniziò alla fine dell’Ottocento, che continuò con l’avventura della guerra di Libia nel 1911, e culminò nella prima guerra mondiale.
Non trovando soluzione, quella crisi poi sfociò nel culto di un “uomo forte”, incarnato prima dal D’Annunzio, e sfociato infine nell’avventura totalitaria del fascismo. Artefici e organizzatori della deriva anti-democratica furono i ceti economici e culturali di cui anche Muscogiuri e Profilo (pur nelle loro differenze) erano espressione. Sarebbe molto interessante che qualche “fresco” ricercatore si impegnasse a studiare, con rigoroso metodo storico, l’evoluzione dei ceti sociali mesagnesi tra la fine dell’Ottocento e la seconda Guerra mondiale, come è stato fatto per molte città, anche vicine a Mesagne. Purtroppo, manca una tale indagine; sappiamo soltanto, da scarne notizie di stampa, che l’asse portante del fascismo mesagnese era imperniato attorno ai maggiori possidenti agrari, agli avvocati di estrazione agraria, a qualche maestro dannunziano.
6-Come per il resto dell’Italia fascista, tuttavia, è possibile affermare che la direzione della storia fu imposta dalle classi dominanti, che seppero orientare le masse popolari verso obiettivi più confacenti ai loro stessi interessi che a quelli dei subalterni. La crisi del cinquantennio iniziato alla fine dell’Ottocento fu una risposta verticistica all’avvento della seconda rivoluzione industriale e della società di massa. E fu una risposta che, nel tipo di comando, non fu molto diversa da quella che vide la luce in Russia: là le masse furono condotte in una rivoluzione industriale da un gruppo di intellettuali molto ben preparati, capeggiati da Lenin e Trotski, nella cui concezione il Partito-intellettuale aveva il compito di orientare le masse popolari.
7-Fare un parallelo tra un periodo storico come quello appena tratteggiato e quello attuale, caratterizzato dalla quarta rivoluzione industriale, quella della comunicazione e dell’informatica, sarebbe del tutto fuorviante. Tuttavia, se pensiamo che una parte consistente dell’attuale crisi nasce, alla fine del Novecento, dalla sfiducia nei ceti dirigenti e nella loro capacità di risolvere alla crisi economica, sociale e politica (proprio come un secolo fa), ritroviamo i germi che portarono alla speranza di un “uomo forte”.
Oggi tale sfiducia è rappresentata dalla mancanza di fiducia nelle èlites, ossia nei ceti dirigenti, nei partiti, perfino nella scienza, ossia in tutto quello che rappresenta una “delega” a qualcun altro. Perfino la religione è diventata (o sta diventando sempre più) un “fatto personale”, non delegato alla chiesa ufficiale. E pensare che nel 1869, quando Muscogiuri aveva 18 anni, il Concilio Vaticano I proclamò l’infallibilità del Papa. E pensare che oggi ci sono vescovi e cardinali i quali diffondono proclami contro il magistero di Papa Francesco.
8-Il nostro Muscogiuri (11 gennaio 1851 – 3 dicembre 1919), molto religioso, si formò all’insegna dei valori cattolici, e ne seguì il magistero anche nella vita politica amministrativa. Fu un benefattore, donò ai mesagnesi molte delle sue proprietà, istituì una borsa di studio per le famiglie bisognose. Ma era terrorizzato dall’avvento del Socialismo, come testimoniano i suoi discorsi alle Società di Mutuo Soccorso.
Nel 1893, l'Acquedotto Pugliese non esisteva ancora e nel dicembre dello stesso anno con Delibera n. 84, Francesco Muscogiuri (letterato ed anche sindaco di Mesagne) propose la costruzione di 3 cisterne pubbliche. Questo perché la maggior parte della popolazione non aveva acqua nella propria casa.
Le tre cisterne furono costruite nelle vicinanze di tre chiese, e di preciso: una dietro la chiesa di S. Maria (largo Celestini), un'altra in Piazza Orsini del Balzo (dietro la chiesa Matrice), e la terza in Piazza Alessandro Romano (antistante la chiesa dei Domenicani).
Le cisterne raccoglievano l'acqua piovana dalle terrazze delle chiese e tale acqua poi veniva prelevata tramite secchi o pompe a mano. Si dava quindi la possibilità di utilizzare l'acqua di queste cisterne, soprattutto durante l'estate e solo per un paio d'ore al mattino ed al pomeriggio. Questo avveniva sotto la stretta sorveglianza di una guardia municipale, per evitare spreco di acqua.
Delle tre cisterne è arrivata fino a noi solo quella dietro la chiesa di S. Maria, ancora esistente anche se non più utilizzata; delle altre non si conosce con esattezza il punto in cui erano allocate.
Forse bisognerebbe riflettere sulle persone che, come Muscogiuri, hanno dato molto ai mesagnesi; e al quale bisognerebbe restituire l’onore offeso dalla “Damnatio memoriae” di avergli tolto l’intitolazione del liceo. Bisognerebbe ricordare persone come don Bibbi, il medico Annibale Cavaliere. O come l’antifascista Eugenio Santacesaria, che dovette fuggire da Mesagne per essersi opposto alle angherie dei notabili fascisti. Non sono da ricordare nel “Viale dei personaggi illustri”, istituito con la Delibera n.234 del 2018? Molti altri se ne potrebbero aggiungere, in una specie di rosario civile, da sgranellare nelle più opportune occasioni.
9-100 anni fa, dunque, i notabili e i ceti dominanti, svolgevano la funzione di leader, ossia di “conduttori”: davano essi la linea da seguire, avendo una loro visione della società e del futuro. Le masse avevano bisogno di un “Duce”. Oggi, i ceti dominanti, non sono leader, ma follower: seguono la massa, che spesso e volentieri si orienta su dei valori imposti dai mezzi di comunicazione, dalla moda, dal sistema di produzione fondato sull’egoismo, su valori di competizione esagerati. Viviamo in una società agonistica, non collaborativa. Ne abbiamo contezza, a volte inconsapevole, non appena saliamo in macchina ed entriamo nella baraonda del traffico veicolare. Ma ce ne accorgiamo di più quando decidiamo di fare una camminata a piedi.
I ceti dominanti dei tempi di Muscogiuri erano delegati dai ceti subalterni ad orientare la società; i ceti dominanti di oggi non si rendono conto che quell’epoca è finita: devono lasciare il passo alle nuove masse, facendo sorgere nuove élites. E non bisogna perdere tempo, prima che nuovi D’Annunzio, e nuovi Mussolini ne approfittino.
Se i vecchi ceti dominanti saranno pienamente consapevoli di nuove masse proletarie che premono sulla scena pubblica; e sapranno fargli assumere i valori del bene pubblico, allora queste nuove masse diventeranno il sale del rinnovamento delle élites. Altrimenti, queste nuove masse proletarie, saranno soltanto una massa informe, in cui ciascuno cercherà di approfittare per quanto possibile di ogni vantaggio a scopo personale, come i “furbetti del quartierino” di berlusconiana memoria. Con la possibilità, anche, di una continua rivolta contro tutti e tutto, un po’ come sta accadendo in Francia, a Hong Kong, in Iran, ecc.
Ma i vecchi ceti dominanti hanno lasciato una eredità confacente alle esigenze della quarta rivoluzione industriale? Sembra di no. E questo potrebbe essere il frutto avvelenato della fine dei partiti, e dei corpi intermedi che erano stati capaci di essere veicoli di partecipazione e promozione sociale, nonché di consolidamento democratico e culturale.
Bisogna rendersi conto che c’è una forte richiesta di democrazia diretta, in cui ciascuno vuol contare, ma ha l’impressione di contare veramente poco, e che le scelte decisive vengano fatte da “poteri occulti”, siano essi finanziari, o politici, o “misteriosi”. Nello stesso tempo, le nuove masse (fatte in larga parte dal piccolo ceto medio) sono proletarizzate sia sotto l’aspetto economico che sotto quello culturale. I nuovi media producono, nello stesso tempo, arroganza e smarrimento.
La speranza nell’uomo forte, come l’ultimo rapporto Censis ha messo in evidenza, nasce anche da questo paradosso. La scommessa vera, oggi, è quella di fare un salto nella democrazia diretta, quella delle riunioni di base, di quartiere, mettendo nelle mani del Popolo le decisioni fondamentali. Fermo restando l’indispensabilità di strutture tecniche competenti e preparate.
I notabili di 100 anni fa non potevano fare questa semplice rivoluzione. Oggi, che la Società è molto più complessa, siamo allo stesso punto?
(Domenico Urgesi – Società Storica di Terra d’Otranto)