Sud: ripartire dagli errori per rientrare nel futuro (di Giovanni Galeone).
Dove, quando e perché abbiamo sbagliato noi meridionali?
Se dai tumultuosi cambiamenti degli ultimi trent’anni è uscito un Sud ancora più debole, decomposto, rassegnato, e con la prospettiva di una ravvicinata desertificazione umana e produttiva, qualcosa abbiamo sbagliato, anzi molto.
È un libro lucido e senza sconti “Le colpe del Sud” scritto dal direttore del Nuovo Quotidiano di Puglia Claudio Scamardella, da qualche mese in libreria per Manni Editori che sarà presentato venerdì 10 gennaio alle ore 18,00 presso l’Associazione Di Vittorio di Mesagne. L’autore ne discuterà con Francesco Fistetti, notista politico e professore emerito all’Università di Bari.
Se il titolo può trarre in inganno va detto subito che l’autore non concede nulla alla retorica nordista del Sud parassitario che vive a spese del Nord, né all’autonomia differenziata, e sostiene le battaglie per un’equa distribuzione delle risorse pubbliche (17.000 € per abitante al Nord contro i 13.000 € al sud) e per correggere le iniquità dovute al vergognoso criterio della spesa storica che penalizza i livelli essenziali delle prestazioni nel meridione.
Ma nessuna autoassoluzione perché il fallimento delle politiche pubbliche nel Sud non è dovuto solo alla quantità delle risorse disponibili, ma soprattutto alla scarsa qualità della spesa e a quel maligno circolo vizioso tra società decomposta e disordine politico che tiene prigioniero il Mezzogiorno. Così abbiamo finito per tradire noi stessi e rischiamo di consegnarci, a capo chino e a mani alzate, a chi ci ha umiliati, offesi e accusati delle peggior nefandezze.
Il punto è che la vecchia questione meridionale si è esaurita trent’anni anni fa, assorbita nell’alveo della questione mediterranea e diventando la questione meridionali con la i finale, che può essere affrontata e risolta innanzitutto dai meridionali.
Invece di ricercare la missione strategica che il Sud poteva (ma ancora potrebbe) esercitare in nome e per conto dell’intero paese nel mondo nuovo del terzo millennio, ci siamo attardati in un rivendicazionismo passivo e di difesa alimentando un sudismo deleterio che ha provocato guasti e arretramenti.
Le colpe più che del Nord sono delle nostre classi dirigenti, della cultura e delle élite intellettuali meridionali e di un popolo da troppi secoli ostaggio dell’indifferenza e del populismo, di una società civile complice dello sfascio e non vittima della politica.
Stiamo tuttora sprecando le straordinarie opportunità offerte dai nuovi scenari geopolitici e geoeconomici che stanno collocando il Mediterraneo al centro degli imponenti traffici tra l’Europa e l’Estremo Oriente e fra l’Europa e l’Africa. La Puglia è la regione che potrebbe trarne i maggiori vantaggi, ma per fare un esempio della nostra insipienza il mancato dragaggio dei fondali del porto di Taranto ha provocato l’abbandono di 2 giganti asiatici del trasporto marittimo che si sono spostati al Pireo che oggi movimenta più merci di tutti i per porti del Nord Italia.
Le allucinanti vicende della Xylella, della Tap e dell’Ilva, temi sensibili e di rilievo nazionale, ma soprattutto di facile manipolazione nella formazione del sentimento pubblico hanno dimostrato le disastrose conseguenze a cui un territorio va incontro quando la politica e le istituzioni rincorrono tutte le piazze reali e digitali, del ribellismo, parlando il linguaggio del consenso, anziché il linguaggio della verità, ricercando la popolarità anche se in contrasto con l’etica della responsabilità.
E sul Salento che ha saputo imporsi come terra di vacanze, glamour, relax l’autore invita a non cedere all’ottimismo patinato da cartolina, il territorio vive una fase di cambiamento il cui approdo non è scontato, meglio non lasciarsi sedurre solo dalle luci e dal divertimentificio estivo, il Salento resta una terra di crisi e sofferenze, di bisogni e diritti ancora negati e dove la lacerazione degli affetti, con la divisione tra genitori e figli che emigrano senza più tornare, non accenna a diminuire. La spirale decremento demografico-fuga dei giovani-invecchiamento rischia di consegnarci, nel breve periodo, una terra spopolata, un luogo per soli anziani o per turisti. È necessario che le classi dirigenti locali assumano una maggiore responsabilità rispetto alle sfide dello sviluppo, mettendo in rete progetti e competenze per imporre un federalismo dal basso che superi e ridisegni un nuovo assetto istituzionale che superi un neocentralismo regionalista che finora ha dato risultati tutt’altro che esaltanti.
Giovanni Galeone
8 gennaio 2020