La poesia di Antonio Carparelli (di Marcello Ignone)
Prima di proporre una poesia di Antonio (Tonino per gli amici) Carparelli,
mi corre quasi l’obbligo di riflettere insieme a voi, io per primo, su che cosa sia la poesia. La definizione sembra scontata, ma non lo è. Evito di citare grandi critici e grandi poeti, penso a De Sanctis, a Croce, a Leopardi, a Montale, senza nulla togliere ai grandi esempi di un passato ancora più lontano, ad esempio Petrarca, o ai tanti stranieri, ad esempio la Dickinson.
La poesia, sia sotto l’aspetto del significante che del significato (rispettivamente forma e sostanza, per intenderci), altro non è che la capacità di esprimere con parole delle idee e dei sentimenti, dando loro un contenuto, allo scopo di commuovere il lettore, cercando di suscitare il lui emozioni, magari provocando una profonda riflessione o eccitandogli la fantasia. Tuttti gli uomini, se solo lo volessero, potrebbero essere poeti, mentre altra cosa è comunicare per mezzo di poesie, scriverle, fondendo insieme arte e tecnica metrica.
Se il poeta riesce a comunicare, grazie a questa fusione, il suo messaggio, sia esso realistico o verosimile o educativo o dilettevole o estetico, oggettivo o soggettivo, suscitando emozioni, suggestioni e partecipazione nel lettore colpito nella sua immaginazione e nei suoi sentimenti, allora il poeta potrà dire di aver raggiunto il risultato che si era prefisso, dal momento che non si scrive per se stesso e non si recita una poesia a se stessi; al limite si può, in modo solitario, partecipare della poesia di un paesaggio, di un’opera d’arte, di un brano musicale, ma diverso è il piano comunicativo.
Nell’era dell’informazione digitale, non è facile, a differenza di quanto si creda, fare poesia, dire qualcosa in più o di diverso. Per un poeta è addirittura difficile pure aggiungere qualcosa di diverso, sia a livello semantico che formale.
È difficile fare poesia in Italia perché troppo facilmente scatta il paragone con i grandi poeti che, per fortuna, il nostro paese ha avuto; naturalmente, anche a Mesagne accade la stessa cosa. Le cosiddette “scuole poetiche” non fanno bene alla poesia!
Fare poesia oggi, e farla bene, si può, a patto di calarsi nella realtà viva, nella carne della società; ma bisogna avere l’obiettivo di salvaguardare il senso poetico della vita e delle cose che ci circondano. E questo non è per nulla scontato, considerato che ogni cosa di per sé non è poetica, ma sono i poeti che rendono poetiche le cose, arrivando addirittura a creare veri archetipi. Un ulivo non è poetico di per sé, ma lo diventa quando più poeti lo utilizzano fino a renderlo un archetipo.
Detto questo, solo adesso possiamo cogliere l’operazione che compie Antonio Carparelli in questa sua raccolta di poesie (Messapia. Misciagni anticu).
È un viaggio nel nostro centro storico, ma i soggetti dei suoi versi non sono monumenti storici, beni culturali maggiori o minori , ad eccezione delle due poesie poste in apertura e in chiusura, meglio dire in ingresso e in uscita dal centro storico.
La poesia che apre questa raccolta e che proponiamo (Misciagni antica mascìa) ci fa entrare in Mesagne e motiva il viaggio del poeta all’interno del suo nucleo antico, dove, una volta che il poeta vi è entrato, troviamo una esortazione mista di nostalgia e di denuncia, quella della seconda poesia (Furori ti populu), per un mondo che un tempo era vivo e che può ancora esserlo se solo lo si volesse. La poesia di ringraziamento, quella che chiude il viaggio, è, insieme, segno di stanchezza e di speranza.
In mezzo a queste due poesie ci sono tutte le attività commerciali dell’epoca del viaggio, alcune vecchie, vere icone della nostra mesagnesità, altre nuove, segno di continuità e speranza di nuova aggregazione sociale e successo economico.
Perché una simile scelta? Perché gli imprenditori, i negozianti, gli esercizi commerciali ed artigianali consolidati nel tempo sono parte del nostro immaginario collettivo e, nessuno lo può negare, si prestano molto bene a “fare poesia”, perché ormai archetipi del nostro sentire, parte del nostro vissuto; gli altri possono diventarlo, è solo questione di tempo e di affezione. In questo ultimo caso, le poesie prodotte da Antonio Carparelli per ognuno di loro, velocizzano quel processo di sedimentazione nella memoria collettiva che è alla base del nostro comune sentire, del nostro essere mesagnesi.
Una breve considerazione merita l’uso del dialetto che non è affatto scontato. La scelta è, a mio avviso, in parte dovuta alla volontà, da parte del poeta, di esprimersi in modo autentico, vitale, cosa possibile solo con la sua lingua madre, appunto il dialetto mesagnese; in parte, è un omaggio a tutta una lunga tradizione poetica dialettale mesagnese, che sarebbe ora di scoprire e rendere fruibile a tutti.
Misciagni antica mascìa (febbraio 2007) di Antonio Carparelli
Sicondu li libbri
a mimoria ca’ sia
št’anticu paisi
quattru porti tinia.
Cunturnatu an giru
ti ‘nnu crandi canali,
la “Villa”, via “Brindisi”,
li “Orturi” e via “lavari”.
Ddo’ štai lu tiatru
‘nnu crandi fussatu
ddo tutti li femmini
sciunu pi llavari,
cuddu era lu poštu
pi llu bucatu
ca’ a casa senz’acqua
com’erana a fari?
Lu lemiti intra
ti tre suli riuni
S.Anna, S. Cosumu
e San Ciprianu.
Crištiani attivi
‘nzignaunu alli vagnuni
e tutti si taunu
cu’ carbu ‘nna manu.
Quiddi erunu tiempi
ca’ no’ nc’era suštanza,
picca si buscava
cu’ turicturi ti panza.
Fori ti li porti
nc’era tanta campagna
cu’ frottuli antichi
vammaci e papagna.
Quandu fori s’assia
iera tinì lu pinzieri
ca’ quandu era scuru
to’ ori ti notti sunava,
e a ci no ssi prisintava
ca’ era trasiri,
la notti, dda fori,
cussì la passava.
All’annu 1500 nasciu
lu bburriu vecchiu,
ncochhia allu canali
ca’ brillava ‘nnu specchiu.
Ti la porta picciula
nfinna alla cintrali
criscia lu paisi
e ncignammu a largari.
All’annu 1600 nasciu
lu burriu nuevu,
‘ntra llu paisi
nci foi ‘nnu rrivuetu,
li signuri ricchi
tutti dda si spuštara
e cuddu rioni
cussì mpupulara.
Poi chianu-chianu
tutti l’atri riuni
si llargau lu paisi
cu l’atri cuntrati,
aprera porta crandi,
aprera porta picciula,
aprera porta nova e porta snt’anna,
cussì ndi ‘nfacciaummu
a tutti li štrati.