L’Eskimo me lo ricordo … (di Marcello Ignone)
Cronologicamente questa breve memoria comprende un periodo, tra la fine dei “mitici” anni Sessanta e i primi anni Settanta,
durante il quale arrivò a Mesagne l’eco della protesta e dei cambiamenti già in atto da tempo nel resto del mondo occidentale avanzato.
Nello specifico la memoria riguarda principalmente un capo d’abbigliamento ancora oggi non del tutto tramontato pur se rivisitato dalle mode. Si tratta dell’eskimo, tra i protagonisti della protesta giovanile e capo di vestiario introdotto dai cambiamenti e dalle mode di allora.
Va precisato che il ricordo non nasce da nostalgie e meno che mai da pentimenti; è figlio delle esperienze che ci hanno permesso di essere chi siamo.
Esperienze condivise da molti dei giovani mesagnesi che in quel periodo bivaccavano attorno al “Cin Cin” bar ed al prospiciente viale della villa comunale. Luogo di “otium”, animate discussioni, sofferte decisioni e rivoluzioni finite immancabilmente… a pasta fatta in casa e polpette.
In quel particolare periodo le abitudini, gli stili, i gusti e le esperienze giovanili traevano linfa dalla contestazione studentesca ed operaia. L’abbigliamento, diverso e non conformista, talvolta rasentava l’estrosità, da riferire comunque al periodo e al contesto.
Sicuramente eravamo estrosi per i nostri genitori, soprattutto per i padri, che non erano meno desiderosi di noi (o almeno lo erano stati da giovani) di lasciarsi alle spalle le secolari tradizioni della “civiltà contadina” che di civile nel nostro meridione aveva solo il nome, a copertura di una realtà fatta di differenze sociali, disoccupazione, emigrazione, ingiustizie e superstizione.
Con i nostri modi di vestire e di essere (si pensi ai capelli lunghi e alle barbe dei giovani uomini e ai capelli corti delle giovani donne dall’aspetto volutamente androgino) volevamo provocare, creando imbarazzo in una società ancora immutata o comunque in forte ritardo rispetto al resto del mondo progredito.
Oggi i giovani provocano e creano imbarazzo con i pantaloni a vita bassa, le magliette corte e l’ombelico scoperto, i piercing e i tatuaggi. È semplicemente comunicazione giovanile, del tutto simile a quella dei nostri tempi. L’unica differenza sta forse nel fatto che la nostra provocazione aveva un’eccessiva caratterizzazione politica. Allora, una parte dei giovani credeva veramente di poter cambiare il mondo.
La stagione della contestazione, fatta di discussioni sotto la villa comunale, di partecipazione ai cineforum del prof. Ferraro, di incontri nelle sezioni giovanili dei partiti, di occupazioni e scioperi, ha lasciato un segno profondo su tutti noi che abbiamo frequentato le scuole superiori e l’università proprio allora.
In quel periodo affondano le radici politico-culturali di quasi tutti i rappresentanti della classe dirigente mesagnese degli ultimi trent’anni, gli stessi che hanno dato un forte impulso al cosiddetto “rinascimento” mesagnese di fine secolo scorso.
Sul piano del bisogno comunicativo i giovani di oggi sono identici a quelli di ieri. Il bisogno di relazionarsi e di comunicare nasce all’incirca tra la fine della scuola media e l’inizio della scuola superiore ed è un bisogno prepotente che si deve in qualche modo scaricare. È a questo punto che possono esserci delle estrosità. Ma i capelli colorati di oggi o i capelli lunghi di ieri, i pantaloni a bassa vita di oggi o i pantaloni alla Celentano di ieri, appartengono allo stesso bisogno giovanile di comunicare. Ed anche l’eskimo era un modo di comunicare e relazionarsi di una particolare categoria di giovani in un determinato periodo e contesto.
L’eskimo me lo ricordo, lo portavo quando andavo al liceo scientifico a Francavilla Fontana e poi, per qualche anno ancora, all’università. Era pratico ma non amavo il suo colore verde scuro. Era scelta politica o solo moda? Non lo so, forse entrambe le cose o semplicemente perché era pratico e costava poco. L’eskimo era onnipresente, lo si incontrava dappertutto, a scuola, in treno e in autobus (quelli dei pendolari), in piazza, in fabbrica, nella villa comunale.
Forse per un certo tempo e per qualcuno è stato la divisa di una fede politica, per me è più giusto dire che è stato un modo di rapportarsi con il mondo. Sicuramente era anonimo, forse a causa del colore, ed egalitario ed è per mimetizzarsi che lo indossavano sia gli studenti figli di papà (non erano così rari a Mesagne) che gli studenti figli di povera gente (eravamo la maggioranza, figli del boom demografico degli anni Cinquanta). Non era infrequente vederlo addosso anche a qualche giovane lavoratore che aveva frequentato appena le scuole dell’obbligo, per poi andare ad “imparare un mestiere”, come allora si diceva.
In origine il mitico ed impegnato eskimo era un povero giaccone di taglio militare, imbottitura in lana e cappuccio. Era molto simile al giaccone usato dagli Americani nella guerra di Corea. Era l’ideale per le manifestazioni, le occupazioni scolastiche, gli scioperi, i picchetti, i servizi d’ordine, i volantinaggi, la vendita di giornali e l’affissione di manifesti. L’eskimo aveva ampie tasche dalle quali sporgeva quasi sempre la copia di un giornale politico (l’Unità, l’Avanti, Nuova Generazione, Rinascita, Lotta Continua, il Manifesto) o un fascio di volantini o un libro impegnato.
Da notare un fatto curioso: non di rado il giornale politico era piegato da alcuni in modo tale che il titolo fosse chiaramente evidente a tutti.
L’eskimo aveva soprattutto la funzione, per la quale in realtà era nato, di proteggere dal freddo, dal momento che le sedi politiche, e maggiormente quelle dei gruppi giovanili, erano fredde e al massimo erano riscaldate da piccole stufe; gelidi erano anche i luoghi in cui si tenevano le assemblee, quando non si tenevano all’aperto.
Il circolo “P. Togliatti”, sede della FGCI (l’organizzazione giovanile del PCI) di Mesagne, era in piazza S. Anna dei Greci: due stanze fatiscenti e fredde al primo piano.
Accessori allora di moda, legati all’eskimo, erano la sciarpa (lunghissima, rossa, simile a quella dei partigiani), talvolta un foulard ed un basco. Non molto usati i passamontagna.
Ricordo ancora la faccia di mio padre e quella dei miei insegnanti di liceo: l’eskimo non piaceva proprio! Era il capo d’abbigliamento rivoluzionario per eccellenza, ma a mio avviso caricato di significati eccessivi. Francesco Guccini gli ha addirittura dedicato una canzone. Ne ricordo alcuni frammenti (il titolo è, appunto, “Eskimo”):
Portavo allora un eskimo…
dettato solo dalla povertà
non era la rivolta permanente…
…dei soldi in tasca niente…
… ma io già urlavo che Dio era morto,
contro il sistema anch'io mi ribellavo,
sognando Bob Dylan…
… a vent’anni si è stupidi davvero
quante balle si ha in testa a quell’età.
Non c’era solo l’eskimo in quel periodo. Si indossavano giacche, giubbotti militari (famoso a Mesagne il mio giubbotto militare russo) e giacconi da marinaio, tutti rigorosamente dall’aspetto molto vissuto e mai di colore nero, per ovvie (e stupide) ragioni. I giacconi erano di panno, con ampi colletti e bottoni dorati, altra cosa dei proletari alamari dell’eskimo.
In quel periodo l’abbigliamento dei giovani mesagnesi divenne in genere più spigliato. Si affermarono i blue jeans, sino ad allora usati solo da pochi e per lavoro, perché pratici, robusti e di bassissimo costo. Rapportando i prezzi di allora ad oggi e considerando l’equivalente lira/euro, si andava da 1, massimo 2 euro, per i jeans comprati al mercato o alle “robe americane” sino a 4 o 5 euro per le migliori marche, come i mitici Roy Rogers con cerniera alle tasche. Da notare che l’abbigliamento costoso era di norma evitato e tra i giovani “proletari per scelta” si gareggiava nello spendere il meno possibile; gli altri, i proletari veri, non avevano bisogno di gareggiare…
La ragione è ovvia: l’abbigliamento doveva essere il più possibile vissuto e… proletario. Sotto questo aspetto, l’eskimo aveva un pregio: copriva jeans e maglioni di qualunque marca e prezzo.
Va detto che non tutti i giovani mesagnesi si uniformarono alle mode imperanti e lo fecero o per scelta politica (è il caso dei giovani extraparlamentari di sinistra e di destra) o per emarginazione culturale e sociale. Tra le ragazze resisteva ancora la minigonna, ma l’uso era limitato ai mesi più caldi. Prendeva piede la gonna lunga a fiori e si era ormai affermato l’uso dei pantaloni.
Il vento della contestazione, pur sfiorando appena Mesagne, aveva portato dei cambiamenti nel nostro modo di vestirci e quasi tutti, noi giovani mesagnesi, cominciammo a vestirci da… giovani.
Nel vestire, tenevamo alla praticità (economicità, robustezza, libertà di movimento), all’uguaglianza sociale (mimetismo delle differenze sociali e sessuali), all’identificazione socio-culturale (miti giovanili, Che Guevara su tutti).
È chiaro, quindi, che la contestazione fu tradotta, come sempre accade, in chiave simbolica e l’abbigliamento rappresentò sia la voglia di trasgredire che di appartenere ed essere identificati. L’eskimo (e in parte anche i jeans) indicò una scelta di campo ma anche una mimetizzazione delle perduranti differenze di classe.
Dice Guccini nella canzone citata, “l’incoscienza…” alla fine la “paghi tutta, e a prezzi d’inflazione / quella che chiaman la maturità”. Anche per me arrivò il momento, tra la maturità e l’università, in cui l’eskimo, non potendo più mimetizzare e coprire differenze ed ingiustizie, si svuotò del suo significato aggiunto e ritornò ad essere un semplice capo d’abbigliamento.
I giovani scelgono dei simboli e ne fanno uno stile di vita; questo accade e questo è accaduto. L’eskimo è stato per qualche tempo simbolo di un impulso ingenuo di libertà e giustizia.