Antigone al tempo del coronavirus (di Domenico Urgesi)

Antigone? Chi era costei? Molti, oggi, di fronte all’immane tragedia sanitaria che stiamo vivendo, si sono dimenticati dell’Antigone,

la famosa tragedia di Sofocle. Riassumiamo brevemente: i principali protagonisti di quell’opera letteraria erano Antigone e Creonte. Quest’ultimo era l’aristocratico che, in un periodo di guerre civili, era stato chiamato a reggere le sorti di Tebe, una delle città più importanti della Grecia antica. Per vari motivi che, qui, non stiamo ad approfondire, Creonte emanò un editto col quale vietò la sepoltura di Polinice (fratello di Antigone) colpevole sia di tradimento verso la città, che dell’uccisione del proprio fratello Eteocle.

Ebbene, Antigone disubbidì all’editto proclamato da Creonte, in nome delle antichissime leggi non scritte (di matrice mitologica) che imponevano di seppellire i defunti, al fine di consentirne il viaggio verso l’ultima meta. Seppellì Polinice e, a sua volta, fu murata viva in una grotta. Il tragico contrasto tra le leggi scritte e quelle non scritte si concluse con il suicidio del figlio di Creonte (Emone), che era fidanzato di Antigone; e subito dopo, della moglie di Creonte (Euridice), alla notizia del suicidio del figlio.

La vicenda è, in realtà, molto più complessa di questo breve riassunto, sia dal punto di vista artistico (è pur sempre un’opera d’arte teatrale) che politico, e morale; ma non è questo che oggi interessa. Importa sottolineare che quella tragedia rappresenta molto precisamente il valore fondamentale della società greca del V sec. a.C.: il culto dei morti, che è uno dei valori fondativi della civiltà.

Ma prima ancora, forse tre secoli prima, troviamo questo valore ben espresso nell’Iliade, nell’episodio della restituzione del corpo martoriato di Ettore al padre Priamo da parte dell’ancora furibondo e vendicativo Achille. Col favore degli Dei, Priamo viene accolto pacificamente dal Pelide semidio, mentre Hermes (il messaggero di Zeus) fa calare una nebbia soporifera sull’accampamento greco. Insieme, mettendo da parte per un breve tempo le ragioni dell’odio e della guerra, i due nemici consumano infine un frugale pasto sacro in onore tanto di Patroclo quanto di Ettore. E Achille congeda Priamo promettendogli 12 giorni di tregua militare, per consentire ai nemici troiani di rendere ad Ettore le onoranze funebri. Ma qui è meglio lasciar la voce a Vincenzo Monti:

Come rifulse su la terra il raggio

Della decima aurora, lagrimando

Dal feretro levâr del valoroso

Ettore il corpo, e postolo sul rogo,

Il foco vi destâr. Riapparsa

La rosea figlia del mattin, s’accolse

Il popolo dintorno all’alta pira,

E pria con onde di purpureo vino

Tutte estinser le brage. Indi per tutto

Queto il foco, i fratelli e i fidi amici

Pieni il volto di pianto e sospirosi

Raccolsero le bianche ossa, e composte

In urna d’oro le coprîr d’un molle

Cremisino. Ciò fatto, in cava buca

Le posero, e di spesse e grandi pietre

Un lastrico vi féro, e prestamente

Il tumulo elevâr. 

Eccole, le leggi non scritte alle quali Antigone non può rinunciare, a costo della propria vita. Esse saranno poi accolte dalla civiltà romana prima, e da quella cristiana dopo, fino all’anno corrente 2020, passando attraverso il laico Ugo Foscolo dei Sepolcri.

Anche il concittadino mesagnese Diego Ferdinando, nella sua inedita opera (Messapographia, 1655), la cui stampa è momentaneamente sospesa a causa del virus, dedica qualche pagina al tema. Ne anticipiamo un brano, con cui egli ci rammenta alcune usanze rituali ormai scomparse da tempo, nelle quali spicca il rispetto parentale per i defunti:

“… Quei Vasi di terracotta, trovati nei sepolcri, sembrano volerci dire che lì venissero celebrate le “parentalie”, cioè dei Banchetti, che abitualmente si svolgevano nei pressi delle sepolture dei parenti, o delle proprie, e venivano anche chiamati “Parentali” quei giorni, in cui solitamente si celebrava un solenne banchetto vicino ai Sepolcri dei Morti. Furono così definite poiché i figli offrivano questo genere di funzione nei confronti dei Genitori, secondo la testimonianza di San Girolamo nel [Commento] a Geremia. Si crede, come sostiene Ovidio nel libro 2 dei Fasti, che quest’usanza in passato abbia avuto origine da Enea. […] vi era l’Usanza presso gli Antichi di officiare il banchetto vicino al tumulo, poiché si credeva che le Anime, facendo ritorno dagli Inferi, cenassero e bevessero con loro, come Luciano asserisce nei Dialoghi dei Morti”.

Ciò che è sottolineato, dal Ferdinando, è l’accompagnamento del defunto nell’aldilà da parte dei suoi cari, perché il compito dei vivi era quello di consolare i morti. Attraverso Diego Ferdinando, riscopriamo le radici più profonde del “consolo”, il pasto funebre oggi desueto, che in dialetto mesagnese suona “cunzulu”. L’imperativo morale della pagana Antigone è risuonato per secoli nel rituale cristiano. Ma il coronavirus, oggi, è più forte di Antigone.

Siamo, ad oggi, ad oltre 10.000 vittime tranciate dal coronavirus; molte di esse non hanno avuto alcuna onoranza, nessun accompagnamento, non dagli amici, non dai parenti, né forse avranno un tumulo a ricordo. Lo straziante corteo dei camion militari ci ha fatto vedere l’ultimo anonimo viaggio di persone sconfitte dal virus; poco importa che sia il viaggio verso gli Inferi o il ritorno alla casa del Padre, oppure il ritorno al mondo inanimato dal quale siamo venuti. A quelle persone è mancato il conforto dell’ultimo sguardo parentale, quello dei propri cari.

Che sia oggi, 29 marzo 2020, il primo giorno del ricordo delle vittime, non famose come il Troiano Ettore, né quanto il Tebano Polinice, ma illustri per ciascuno di coloro che le hanno perdute; ad ognuno ci uniamo: sit tibi terra levis; leggera ti sia la terra (che ti ricopre).

Aderiamo al silenzio proposto per oggi, 29 marzo, dal poeta Franco Arminio.

E che la smettano – alcuni – almeno per oggi, di cantare e suonare, come pazzi sull’orlo di un burrone!

Domenico Urgesi, (Presidente della Società Storica di Terra d’Otranto)

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