Apparenze e inapparenze (di Vito De Guido)
Non sono un virologo, un epidemiologo, un governante, tanto meno uno dei tanti opinionisti
che impazzano nel mondo della comunicazione, sovente indegnamente.
Noi italiani per tradizione sappiamo benissimo che all’occorrenza diventiamo popolo di direttori tecnici della nazionale di calcio, analisti politici, sociologi, psicologi e via discorrendo.
Sono un semplice cittadino italiano che sta vivendo questa tempesta inquietante nel rispetto delle regole che le Istituzioni hanno imposto per Decreto a noi tutti.
E il sentimento delle istituzioni, così vivo ancora nei padri, continua indefettibilmente a operare nelle nostre speranze. La reazione di un’alta coscienza individuale è la sola cosa che possiamo opporre, suggerita da un forte senso di responsabilità.
Al chiuso della mia dimora, il silenzio, i ritmi più lenti della giornata, inducono ancor più alla riflessione profonda, alla meditazione, attorniato come sono dai ricordi indelebili della mia vita vissuta che continuo a rispolverare come ancora di salvezza; sono in libertà vigilata, ma grazie a Dio ancora in libertà di pensiero!
Non sempre la presenza riesce a dare tutta la misura di un pensiero intenso e acuto, sebbene i lunghi contatti possano, fuori di ogni proposito, fornire l’occasione di scambi non superficiali. La interiorità non conosce limiti né ripetizioni espressive, trovando sempre tanti delicati motivi di linguaggio e di sentimento.
In questa atmosfera quasi rarefatta, mi è di grande aiuto uscire in giardino e scoprire che la natura ancora ci offre i mutamenti della primavera incipiente, donandoci nuove gemme, nuovi fiori che esibiscono i loro colori, risveglio mirabile che aiuta a ri-vivere.
Ma in tutto questo c’è il disincanto della comunicazione televisiva che, al netto della doverosa informazione, provvede costantemente a riservarci improbabili messaggi che ci vengono propinati dai cosiddetti volti più o meno popolari del mondo dello spettacolo, dello sport, della cultura, in merito alla campagna di sensibilizzazione “Io resto a casa”; direttamente dalle loro residenze privilegiate ci propinano consigli per occupare i nostri tempi di “reclusione forzosa”: c’è chi ci propone la lettura di un buon libro indicandoci autore, titolo e casa editrice, c’è chi ci propone di suonare uno strumento musicale o di ascoltare buona musica, c’è chi ci consiglia di riscoprire vecchi giochi di società, oppure di usare le reti sociali virtuali per condividere informazioni ed esperienze, c’è chi ci consiglia di riscoprire i propri talenti culinari, e tanti altri consigli per arricchire la sagra delle opportunità, non comprendendo impropriamente che l’Italia è così eterogenea nelle proprie estrazioni sociali e culturali da non poter recepire in toto questi “autorevoli” suggerimenti.
Da ultimo ho ascoltato in tv la comunicazione di una notissima atleta pluriolimpionica che ha deciso di mettere all’asta i propri trofei olimpici e non solo, per ricavarne denaro da destinare all’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo; ora, mi chiedo: non sarebbe più opportuno che la campionessa in questione tenga per sè i trofei e i potenziali acquirenti di questa asta donino i corrispettivi delle eventuali vendite direttamente all’ospedale di Bergamo? In questa situazione che senso ha, con tutto il rispetto, entrare in possesso di un pur prestigioso trofeo? Di più: al di là della visibilità, non sarebbe più opportuno che ciascuno, essendo nelle possibilità, faccia le donazioni nel rispetto dell’anonimato più dignitoso? La solidarietà va espressa con il più rigoroso disinteresse, senza fini occulti che finiscono per delegittimare il suo significato profondo.
Ritengo dal profondo del cuore, che tutti questi messaggi siano altamente lesivi e irriverenti verso i tre milioni di famiglie in Italia che sono in condizioni di povertà, corrispondenti a nove milioni di individui che soffrono maggiormente in questa angosciante situazione; lo ritengo irrispettoso verso l’altissimo numero di italiani che hanno perso la propria vita a causa di questa incredibile pandemia; verso i tanti medici, i tanti operatori sanitari e i tanti volontari che operano o hanno immolato la propria esistenza per aiutare il prossimo sofferente.
Lasciamoci alle spalle il triste mondo delle apparenze che ruota attorno all’effimero, e proponiamoci tutti di vivere il “dopo covid-19” in piena umiltà e consapevolezza dei più profondi valori della vita.