Diego Ferdinando e il Santo Patrono Eleuterio. Quarta parte (di Domenico Urgesi)
[Pubblichiamo altri brani estratti dalla Introduzione di D. Urgesi all’opera di Diego Ferdinando, Messapografia ovvero Historia di Mesagne [1655]
= Messapographia sive Historia Messapiae, Lecce, Società Storica di Terra d’Otranto, 2020. Il volume è in vendita nelle principali librerie di Mesagne].
[…]
Diego Ferdinando e il Patronato di S. Eleuterio
Come abbiamo visto precedentemente, la mesagnesità di Diego è sostanzialmente riassumibile nei suoi due obiettivi storiografici: ─dimostrare che Mesagne fosse stata Messapia capitale dei Messapi; ─dimostrare altresì una forte preminenza cristiana di Messapia-Mesagne, in quanto sede del martirio di S. Eleuterio…
Tali impostazioni storiografiche risultano oggi plasticamente erronee; ma non erano assolutamente errate per Diego, e neanche per i suoi contemporanei, se è vero che nei documenti notarili ed ecclesiastici del suo tempo, Mesagne veniva indicata come Messapia (e ciò, in verità, fin dalla metà circa del ‘500). E Messapia veniva, pure, indicata la città nella epigrafe incisa sul frontone del primo ordine della Chiesa Matrice riedificata, che reca la data del 1653: IN HONOREM SANCTORUM OMNIUM COLLAPSUM MESSAPIA RESTITUIT MDCLIII.
E le statue di S. Eleuterio, con Anzia e Corebo, erano e sono scolpite sul portale maggiore di detta chiesa (ma con un Eleuterio barbato, diversamente dall’iconografia dei primi martiri cristiani). Se, oggi, l’apologia di S. Eleuterio non ha più alcun senso, non era così nella mentalità (1655) dell’autore mesagnese; ma non era così, evidentemente, anche per i fedeli mesagnesi. Messapia e il suo Patrono (S. Eleuterio) erano strettamente vincolati a costituire la base identitaria dei mesagnesi, come avvenuto in molte altre città salentine [Spedicato 2008; Id 2009]. Erano così vincolati, che le statue dei tre Santi furono poste sul portale maggiore, affianco alla epigrafe inneggiante a Messapia, col Santo Eleuterio centrale e imponente, nonostante che la nuova chiesa, appena riedificata, fosse stata intitolata ad Ognissanti, mentre prima era intitolata ai tre Santi, come dice lo stesso Diego in questo ms., e come sarà poi ricordato (nel 1744) dall’Arciprete Moranza (vedi appresso).
Sul culto mesagnese di S. Eleuterio vi sono precedenti studi, ai quali rinviamo [Antonucci, Lanzoni, Scoditti, Urgesi]. Ma l’insistenza (finora ignorata) di Diego, nella sua opera storiografica, sul presunto martirio mesagnese di S. Eleuterio apre nuovi squarci. Il legame che Diego stabilisce tra la Città ed il “suo” martire sembra ricondurre all’importanza della “parentela” col santo martire (tipica di molte città meridionali), dalla quale deriverebbe una concittadinanza (ossia una parentela col sacro) [Campennì], che da sola sarebbe bastata a dare sicurezza e preminenza alla città di Mesagne. Ma in tale insistenza si può leggere anche l’assenza (o l’indifferenza) in Diego del dibattito post-tridentino sulla necessità di dare certezza ai santi locali e al loro martirio, con tutte le revisioni che ciò comportava: temi fondamentali del contrasto tra la chiesa cattolica e quella protestante. Manca pure, in Diego, qualsiasi enfasi alle emergenze di devozione mariana, ossia ai ritrovamenti di immagini sacre della Vergine col Bambino, specie quella mesagnese della Madonna di Mater Domini. Come manca alcun riferimento al miracolo del quadro della Madonna del Carmelo, dipinto dal Palvisino che fu costretto da una forza sovrumana (così narrava l’autorevole leggenda) a lasciarlo nella chiesa del Carmine; né si fa cenno al fatto che nel 1651 la Madonna del Carmine era stata eletta a patrona della Città.
Da alcune carte nell’Archivio Capitolare di Mesagne, anzi, possiamo forse capire le motivazioni più profonde alla base della lunga dissertazione su S. Eleuterio. Sappiamo che Diego, divenuto sacerdote dopo la morte della consorte, fu accolto nel Capitolo nel 1648 [Profilo]. Mentre la nuova chiesa era in costruzione (essendo crollata il 31 gennaio 1649), fu perorata – su iniziativa della Civica Università – l’attribuzione effettiva del patronato alla Madonna del Carmine. Cosicché il 30 aprile 1651, il Capitolo della Chiesa Collegiata, «come in virtù del decreto et Bolla di Papa Urbano di felice memoria», preso atto che la Civica Università di Mesagne aveva «pigliato ed accettato ad Avvocata et Protettrice la gloriosa Vergine Santa Maria del Carmine acciò a suo tempo se ne celebri et solennizzi la festa in conformità di quello che s’ordina nelli detti Decreti pontifici», diede il proprio «consenso a quanto da detta Università era stato conchiuso […] nemine discrepante [corsivo nostro]» [A.C.M.].
La citata “Bolla di Papa Urbano” non può essere altro che un atto di papa Urbano VIII, che era deceduto nel 1644, e quindi abbastanza precedente al momento in cui (1651) la Civica Università, e poi il Capitolo, decidono sul nuovo patronato mariano. Peraltro, rispetto ad altre Conclusioni Capitolari, questa sembra piuttosto sbrigativa, e il Capitolo, dal numero dei partecipanti – per essere un evento eccezionale – non sembra neanche molto affollato: solo una trentina sui circa 50 titolari. Sembrerebbe quasi che i religiosi capitolari non fossero molto entusiasti. Comunque, tra i Preti, Canonici e Presbiteri partecipanti a detta riunione del Capitolo mancava proprio Diego Ferdinando. Sorge il dubbio che la sua assenza non fosse casuale; che, cioè, Diego non condividesse l’operazione e non avesse partecipato per “motivi di opportunità”. E che, molto plausibilmente, in quegli stessi anni Diego stesse scrivendo la Historia Messapiae, anche con l’intento di contrastare storiograficamente i nuovi orientamenti.
Tale dubbio è corroborato da un’altra Conclusione capitolare, in cui risulta che, nel mese di aprile del 1660, nel Capitolo (presenti, questa volta, oltre 50 religiosi) si discusse, fra l’altro, una precedente proposta di Diego, che fu accolta:
[il R.do Bartolomeo Leonardo Sasso…] Inoltre propone che il Dr. Fisico D. Diego Ferdinando per rinovare la venerazione de’ Nostri Santi Eleuterio, Corebbo et Antea ne havea fatto fare un Quadro Grande, e desiderava che detto R.do capitolo gli concedesse una cappella per collocarlo, offerendo ducati 100 di capitale a detto Capitolo con obligo di messe e desiderava ancora che l’istesso R.do Capitolo insieme con l’Università comparissero nella Sagra Congregazione in Roma per ottenere che detti santi ci siano concessi per Compadroni con la Beatissima vergine del Carmine e da tutti parimente fu concluso che citra preiudicium dell’altre concessioni di cappelle che si faranno per essere detto Sig. D. Diego benemerito di Capitali si concedesse detta Cappella [--- ---] se gli darà l’assenzo di Mons. Ill.mo Arcivescovo e che per l’avvenire non s’intenda con ciò fatto pregiudizio nelle concessioni che si faranno con sì poca somma e gli fu concessa la Cappella all’incontro di quella dov’è collocato il Quadro del Sacro Monte che è la 3a à man dritta in ordine nell’entrare dalla Porta Maggiore della Chiesa et andare al Presbiterio e che si supplicasse in Roma per ottenere la detta Compadronanza a spese del medesimo Sig. D. Diego.
Con questa decisione, dunque, fu accolta l’istanza di Diego di dedicare un altare a S. Eleuterio, come anche quella di chiedere alla sacra Congregazione dei Riti che Eleuterio, Antea e Corebo fossero elevati a Compatroni della Città, insieme con la Madonna del Carmine. Curiosamente, però, – sia detto per inciso – una precedente Conclusione Capitolare del 1658 ci informa che il Capitolo aveva accettato anche la nuova proposta dell’Università di proporre S. Oronzo quale protettore di Mesagne. E, a questo proposito non si può non rilevare la perfetta somiglianza tra l’iconografia del santo Eleuterio scolpito e posto sul portale della chiesa ed il Sant’Oronzo dipinto su di una tela che oggi è posta nel secondo altare situato sul lato destro della navata centrale, entrando dalla porta maggiore; e che questa tela era considerata, fino a qualche decennio fa, il “quadro di Sant’Eleuterio”; il che fa pensare che, nel tempo passato, si sia ingenerata qualche confusione, le cui modalità restano tutt’oggi da chiarire.
Quanto all’istanza di Diego, non sappiamo se, e come, si sviluppò la perorazione della Compadronanza, ma l’altare di S. Eleuterio fu effettivamente realizzato, come risulta dalla Santa Visita svolta dall’Arcivescovo di Brindisi Francesco d’Estrada, che lo ispezionò il 18 ottobre 1660. Esso risulta pure nell’elenco degli altari dichiarati dall’Arciprete Antonio Moranza nel 1744, nella sua relazione consegnata all’Arcivescovo Antonino Sersale durante la Santa Visita [Greco 2001]:
[…] L’altare di S. Eleuterio martire è della famiglia Ferdinandi, oggi ne tiene possesso il di loro erede il reverendo D. Diego cantore Baccone che ha il pensiero di provederlo di sacre suppellettili.
All’inizio della relazione, il Moranza aveva dichiarato:
[…] nel secondo secolo della chiesa nascente venne per disposizione divina Eleuterio consegnato vescovo di Macedonia da papa Aniceto Siro, che resse la chiesa nell’anno 167 della redenzione del mondo e spiegando il santo vangelo e gli adorabili misteri di nostra fede a questo popolo che viveva negli errori del gentilesimo, ed autenticandoli collo spargimento del proprio sangue, dopo lunghi e stentosi patimenti e di cataste di fuoco e di voracità dei leoni, lo convertì a Cristo insieme con Corebo prefetto di Adriano imperatore. Onde abbiamo nel martirologio: Messaneae, id est Messapiae (come si legge ne’ martirologi commentati) Natalia Sanctorum Martirum Eleuterij episcopi Illirici et Antheae matris eius. Ben convennero adunque le prime memorie di cristiana pietà consegrarsi da questo publico coll’erezione del sacro tempio ad onore di Eleuterio, di Antea sua madre e di Corebo, tutti e tre qua martirizzati.
[…] Il primo santo adunque titolare di questa chiesa e protettore fu il glorioso martire S. Eleuterio il di cui solenne giorno si celebrava con tutta la magnifica pompa a aprile, ed era giorno festivo come si ha nel sinodo di monsignor Falces arcivescovo di Brindisi. Nell’ultimo rifacimento poi di detta chiesa, non so per qual motivo si dedicò ad onore di tutti i Santi. Dal 1651 fu eletta per universal reggimento protettrice e patrona di Mesagne la beatissima vergine sotto il titolo del Carmelo, ottenutone il beneplacito dalla Sagra Congregazione de Riti […]
Persisteva ancora, quindi, a metà ‘700, la convinzione del martirio mesagnese dei tre santi; e si nota, nelle parole del Moranza, una certa simpatia per il vecchio Patrono. Sono pochi indizi, ma probabilmente, non fu facile per la comunità mesagnese la traslazione del patronato da S. Eleuterio a quello della Madonna del Carmelo; forse su questa vicenda non è stata detta l’ultima parola.
Tirando le somme, possiamo affermare che, per Diego Ferdinando, la magnificenza di Mesagne è soprattutto fondata sia sulle antiche (ma pretese) glorie messapiche che su quelle, religiose, dei proto-martiri Eleuterio, Antia e Corebo. Diego ritrova tali glorie nelle fonti letterarie, nei monumenti, nei documenti; i quali tutti attestano, nella sua concezione, che la magnificenza di Mesagne risaliva a ben prima della vendita della Terra di Misagne ai baroni (Beltrano nel 1522, Albricci nel 1591, De Angelis nel 1646). Sembra proprio questo il filo conduttore di tutta l’opera, sebbene non esplicitamente dichiarato.
Resta ancora da capire perché la Historia Messapiae, pur avendo avuto una fortuna immensa, sia poi rimasta inedita. Quasi certamente ciò avvenne per la morte di Diego; ma, considerato il favore che le tesi di Diego riscuotevano, perché mai gli eredi non ne fecero tesoro? E perché nessun altro la fece propria (magari in altre forme), visto che essa non era conosciuta soltanto tra le mura di casa Ferdinando, ma circolava manoscritta? Qual era il livello del dibattito fra i ceti dominanti a Mesagne? Sorgono vari dubbi. Che essi fossero timorosi nei confronti dei nuovi feudatari? Che fossero appagati dal fatto di vedere, comunque, la nobiltà “messapica” scolpita nei monumenti e negli atti notarili? Che il martirio negato di S. Eleuterio e il nuovo patronato Mariano fossero stati presto digeriti? Sono domande alle quali oggi non è facile rispondere inoppugnabilmente; ma proprio codesti quesiti testimoniano la fertilità dello studio delle fonti. E ne risulta con evidenza la necessità di ricercare e studiare le fonti storiche sul secondo Seicento e sul primo Settecento mesagnese. Oggi ci possiamo porre delle domande di senso compiuto; e possiamo indirizzare la ricerca storica verso traguardi più precisi. In conclusione, questa Historia Messapiae è una vera e propria miniera; scavandola ne possono venir fuori sassi, scorie, ma anche molti gioielli (e sono tanti). Su di essi ci soffermeremo prossimamente.
(continua)
Riferimenti bibliografici
- Antonucci = G. Antonucci, Il martirio di S. Eleuterio, in Curiosità storiche mesagnesi, Bergamo 1929.
- A. C. M. = Archivio Capitolare di Mesagne, Conclusioni Capitolari, ad annum.
- Campennì = F. Campennì, Le storie di città: lignaggio e territorio, in Il libro e la piazza. Le storie locali dei Regni di Napoli e di Sicilia in età moderna, Manduria, Lacaita, 2004.
- Greco = Luigi Greco, Storia di Mesagne in età barocca, vol. III: L’architettura sacra nella storia e nell’arte, Fasano, Schena, 2001.
- Lanzoni = F. Lanzoni, Le diocesi d’Italia al principio del secolo VII (an. 604), vol. I, Faenza 1927.
- Profilo = A. Profilo, Vie, piazze, vichi e corti di Mesagne: ragione della loro nuova denominazione, Fasano, Schena, 1993, (rist. an. dell’ed. Ostuni, Tamborrino, 1894).
- Scoditti = L. Scoditti, S. Eleuterio e Mesagne (datt.), 1957.
- Spedicato 2008 = M. Spedicato, L’identità plurima: i santi patroni nel Salento moderno e contemporaneo, in «L’Idomeneo» n. 10 (2008).
- Spedicato 2009 = M. Spedicato, Santi patroni e identità civiche nel Salento moderno e contemporaneo, Galatina 2009.
- Urgesi = D. Urgesi, Una correzione all’iconografia mesagnese: Eleuterio, Anzia e Corebo non furono martirizzati a Mesagne, in Studi Salentini, LXX (1993).
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