Diego Ferdinando e la sua mesagnesità: la vuttisciana (di Domenico Urgesi)
[Continuiamo (quinta puntata) a pubblicare brani estratti dalla Introduzione di D. Urgesi all’opera di Diego Ferdinando,
Messapografia ovvero Historia di Mesagne [1655] = Messapographia sive Historia Messapiae, Lecce, Società Storica di Terra d’Otranto, 2020. Il volume è in vendita nelle principali librerie di Mesagne].
Abbiamo visto l’importanza di S. Eleuterio per Diego Ferdinando: per lui era stato uno dei primi martiri, aveva introdotto il Cristianesimo a Mesagne, era stato il primo Patrono della Città.
Perciò, da un cattolico così solido e fervente, considerato perfino “teologo”, non ci si potrebbe aspettare un’altrettanto notevole considerazione per divinità pagane come Giano. Eppure, il romano dio bifronte viene evocato dal Ferdinando a più riprese, sia come antenato del mitico fondatore Messapo, sia come esempio di laboriosità. Ed è, in particolare quest’ultima, la caratteristica che Diego riscontra in uno dei pochi termini dialettali da lui utilizzati nel suo manoscritto: vuttisciana.
Anzitutto, Diego sostiene che Messapo Sicionio (il mitico fondatore di Mesagne) era un discendente di Giano e che le numerose monete con la testa di Giano Bifronte, trovate nei campi mesagnesi, erano il segno del culto religioso che era tributato a questa divinità pagana prima dell’avvento di Cristo.
Vediamo cosa conclude Diego, dopo una lunga dissertazione: «Da ciò si ritiene giusto spiegare la ragione di quella parola, di cui ci serviamo non solo in Messapia [Mesagne], ma in tutta la Regione; vale a dire il giorno in cui non ci asteniamo per nulla dalle attività, poiché Giano, sia che fosse istruito da Saturno che accolse come ospite, oppure che fosse animato dal suo stesso genio e dalla [sua] saggezza, fu promotore dell’[attività] di piantare e seminare, e coltivare i campi, ed insegnò gli altri lavori per il vantaggio degli uomini, e per la coltivazione della terra. Perciò il giorno, in cui si fanno tutte queste cose, veniva chiamato Vuttisciana, vale a dire, “giorno di Giano”, o “ritratto [la personificazione] di Giano” [Vultus Iani, scrive Diego]».
Io non sono un dialettologo, e nemmeno un glottologo; perciò lascio agli specialisti il compito di stabilire la fondatezza del ragionamento; ma non vi sembra suggestivo?
Non contento di tutto questo, il Ferdinando aggiunge che i mesagnesi erano così fedeli a Giano, che lo rappresentarono sul primo stemma della città:
«Si aggiunga che al Sole si possono attribuire tutte quelle cose che sopra sono state dichiarate in merito a Giano; infatti, alcuni pensano che egli sia lo stesso del Sole; e per questa ragione, lo chiamarono Quadrifronte». […] «Inoltre, si vedrà l’effigie del Sole posta tra le spighe di frumento e scolpita su una pietra quadrata in una delle torri che, dal lato Meridionale, racchiudono le mura della nostra Città; e le spighe, poste sotto il Sole da entrambe le parti, che sono ritenute tra gli antichi simboli di Messapia [Mesagne], vogliono significare che anticamente i Messapi adoravano il Sole».
Ah! trovarla quella benedetta pietra! Chissà se c’è ancora, sul muro dell’antica torre inglobata, forse, in qualche antica casa della “porta piccola”!?
Certo, non poteva sfuggire al Ferdinando che lo stemma della città di Messapia, già ai suoi tempi, era costituito da due spighe di grano che sorgono da una palma; e che la palma era dotata di numerosissimi rami (quasi come i raggi del sole). Era forse, il nostro Diego, un visionario?
Non ancora appagato, il nostro storico infine conclude, ricordando (come una comune conoscenza dei suoi tempi) che anticamente c’era, a Mesagne, anche un tempio dedicato a Giano, ovvero al Sole. In realtà era quello che oggi è attestato col nome di tempietto paleocristiano di S. Lorenzo martire.
Diego era sicuramente un cattolico fervente, come sappiamo; anzi, forse sarà stato anche un fanatico clericale. Ma la sua fede non gli impediva di riconoscere ciò che era notorio agli eruditi del suo tempo. Tuttavia, c’è da chiedersi: quanto era vero ciò che era notorio? Ossia: è stata detta l’ultima parola sul tempietto di San Lorenzo?
(Domenico Urgesi)
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