Gianfrancesco Maia Materdona: un grande del Seicento (di Domenico Urgesi)
L’età barocca è piena i personaggi salentini che la scandirono e le diedero lustro.
Nell’anno che si è appena concluso, dopo aver dedicato il dovuto riconoscimento al Mannarino, è stata posta l’attenzione su Epifanio e Diego Ferdinando (padre e figlio), due giganti del ‘600 mesagnese. Non si dovrebbe, però, dimenticare un altro grande personaggio, che ha lasciato il segno sia nel campo della poesia e della prosa che in quello della religiosità. A differenza dei primi due, forse il Materdona ebbe una fama “internazionale”, dato che non si limitò nella città natale, ma svolse la sua attività letteraria prevalentemente a Roma; ed ebbe a che fare, oltre che con Napoli, con i principali capoluoghi degli staterelli in cui era divisa l’Italia. E, infine, influì fortemente sul travaglio religioso del secolo barocco.
Gianfrancesco Maia Materdona nacque a Mesagne nel 1590 da Pomponio Maia e da Ippolita Materdona, nobile tarentina.
Fin da bambino si rivelò promettente negli studi classici, che iniziò a Mesagne e continuò a Taranto, vivendo presso i nonni materni. Non ancora ventenne si trasferì a Napoli dove completò i suoi studi.
Nel 1611 fu ammesso all’Accademia degli Oziosi, assumendo lo pseudonimo di “Sonno Lento”.
Soggiornò a Napoli per 10 anni, ed ebbe quindi la possibilità di conoscere molti letterati e poeti illustri, quali Giambattista Manso, Giulio Cesare Capaccio e Giambattista Marino.
Nel 1621 lasciò Napoli per visitare Urbino, Bologna, Ferrara, Padova, Venezia e Milano. La sua formazione classicista lo spinse a stabilirsi definitivamente a Roma, dove fu ammesso nell’Accademia degli Umoristi.
Qui, nel 1624, diede alle stampe il suo primo lavoro, Le Buone Feste. Lettere. Si trattava di cento diversi modelli di corrispondenza, buoni per le varie occasioni della vita, uniti talvolta alla risposta più appropriata. Era quindi un libro molto utile, una specie di manuale, o prontuario, per scegliere la lettera più adeguata alla propria necessità. Perciò, fu ristampato varie volte, con diversi titoli, ampliamenti e dediche ai più vari mecenati; in ogni caso, il tema era quello delle Lettere di Buone Feste. Mai e poi mai, il Nostro avrebbe potuto immaginare che, dopo 400 anni, ce ne saremmo usciti con un sms, o un tweet.
Nel 1628 a Modena pubblicò Alcuni sonetti boscherecci; nello stesso anno a Bologna pubblicò l’opera Cento sonetti amorosi.
Nel 1629 a Venezia pubblicò le Rime (poi ristampate con altri editori), che comprendono quasi tutti i sonetti già pubblicati; ma ad essi, sono aggiunte altre due parti: la prima è costituita da vari sonetti dedicati a “Personaggi, Musici, Pittori, e Poeti”; la seconda contiene “argomenti morali e sacri”. Quest’opera fu poi ancora ampliata e ristampata a Milano (1632) col titolo Rime Nuove. Nello stesso anno 1632 uscì a Napoli una nuova edizione delle Rime.
Nel 1631, per celebrare il trattato di pace tra i grandi d’Europa (Francia, Spagna, Austria) ed i Savoia, pubblicò l’operetta La pace stabilita in Cherasco.
Nel 1633 tornò a Mesagne, dove fu ospitato dal principe Giannantonio Albricci. Nel 1637 tornò di nuovo a Roma, dove i suoi componimenti, allegri e spensierati, di argomento piuttosto edonistico, erano molto apprezzati. Il Maia Materdona, però, rifuggiva dagli eccessi dello “sfrenato sensualismo che caratterizzò buona parte della lirica amorosa del Seicento”. Ma proprio nel 1637, ebbe una profonda crisi religiosa che lo spinse a bruciare tutte le sue opere libertine e a ritirarsi in un convento.
Nel 1638 fu ordinato sacerdote.
Nel 1649, dopo alcuni sonetti di carattere religioso, pubblicò L’utile spavento del peccatore, una specie di manuale di conversione, un libro di ben 1065 pagine. Nelle prime 930 pagine, egli esamina una gran mole di peccati e le corrispondenti azioni utili a redimersi. Qual è lo spavento utile alla redenzione? Per lui, è lo spavento ragionato, non il timore del dolore fisico o quello indotto dalla capacità del predicatore di impressionare gli ascoltatori. Con tale opera non solo il Nostro espresse una vera e propria repulsa della sua vita precedente, ma propose i suoi ragionamenti come modello di persuasione ad abbandonare l’edonismo e a vivere cristianamente, lontano dalle tentazioni mondane. Il manuale fu tanto apprezzato, da essere adottato dai predicatori, soprattutto dai Gesuiti, ed ebbe numerose ristampe fino ai primi decenni del ‘700.
Il Materdona si spense nel 1650, a Roma.
Dalla critica letteraria è definito: poeta marinista, ossia seguace di G. B. Marino; poeta secentista, ossia interprete del gusto barocco; poeta petrarchista, ossia seguace di Francesco Petrarca. Non c’è dubbio che questi aspetti convivano nelle sue opere letterarie.
Dalla storiografia religiosa è definito: paladino del combattimento spirituale interiore.
I suoi sonetti più famosi sono: A una zanzara, Alla sua patria (Mesagne), Alla cagnetta Mattarella.
Per ulteriori approfondimenti, si possono consultare le seguenti opere (le elenco in ordine cronologico):
-Antonio Profilo, Vie, piazze, vichi e corti di Mesagne, Ostuni 1894, n. ed. Fasano, Schena, 1993.
-Wanda De Nunzio-Schilardi, La “Vita” di Gianfrancesco Maia Materdona nell’inedito di Ortensio De Leo, in Annali della facoltà di magistero dell'Università di Bari, XIII (1973-74), pp. 87-116.
-Gianfrancesco Maia Materdona, Opere, (a cura di Gino Rizzo), Lecce, Milella, 1989.
-Giorgio Forni, «Per gareggiar con Crisostomo e con Bernardo». L’Utile spavento del peccatore di Gian Francesco Maia Materdona, in Prediche e predicatori nel Seicento, a cura di Maria Luisa Doglio, Carlo Delcorno, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 77-109.
(Domenico Urgesi - Società Storica di Terra d’Otranto)
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