L’8 Gennaio di 500 anni fa, i Carmelitani ebbero la Chiesa di San Michele a Mesagne (di Domenico Urgesi).
Il 1520, come scriveva Diego Ferdinando nella Historia Messapiae, fu un anno speciale per Mesagne.
La città messapica era governata da Luigi Carroz de Villaragut, che era plenipotenziario di Carlo V, dal quale aveva avuto l’incarico di preparare l’alienazione del feudo di Mesagne dai possedimenti reali. In altre parole, si trattava di vendere il feudo (con tutti i diritti, giuridici ed economici) a dei privati. Carlo V aveva bisogno di molto denaro per le sue operazioni militari condotte in tutta Europa ed oltremare; perciò, attivò una politica finanziaria di vendita a finanzieri-imprenditori specialmente genovesi (quali i Doria, gli Spinola, etc), cortigiani, o propri generali, di varie città demaniali, tra cui – per esempio – anche Francavilla Fontana ai genovesi Imperiale.
Per prima cosa, il Carroz si adoperò molto per tranquillizzare la piccola cittadina; e proprio nel 1520 riuscì ad appacificare – dopo che vi erano state annose ed aspre contese – i due ceti dei nobili e dei popolani, con uno Istrumento di Concordia di importanza memorabile, come scriveva ancora nel 1655 il citato Diego Ferdinando. Il documento in questione, che è conservato presso la Biblioteca Comunale di Mesagne, rappresenta una formidabile testimonianza dell’identità religiosa e civile dei Mesagnesi in epoca spagnola.
Nello stesso periodo, con atto notarile del 16 agosto 1520, il Cappellano frate Antonio Russo aveva rinunciato a tutti i benefici (non solo ecclesiastici, ma anche economici) che aveva sulla chiesa di S. Michele Arcangelo di Mesagne, e aveva deciso di donarli ai Carmelitani, in persona del Provinciale della Puglia, frate Giovanni Battista de Marenonibus da Milano. Poiché da molti anni la chiesa era abbandonata, tanto che non vi venivano celebrati con regolarità i riti religiosi, anche tra i maggiorenti del paese si era fatta strada l’idea di affidare la chiesa di S. Michele ai padri Carmelitani, che venivano così ad aggiungersi ai Celestini, ai Francescani e ai Domenicani.
Pertanto, nello stesso 16 agosto 1520, subito dopo l’elezione avvenuta il giorno prima, il Sindaco Giacomo de Resta e gli eletti (equivalenti ai nostri consiglieri comunali) dell’Universitas (il Consiglio Comunale) accettarono la venuta dei Carmelitani a Mesagne e, alla presenza dei superiori dell’Ordine Carmelitano, il citato Provinciale Giovanni Battista de Marenonibus e il priore del convento di Bari (frate Giuliano de Layta), si impegnarono a concedere ai frati, per dieci anni, il dazio sulla vendita del pane. Però, poiché la chiesa faceva parte di un’abbazia di pertinenza regia, l’ultima parola spettava al possessore del Regno di Napoli, che era l’imperatore Carlo V. Le pratiche amministrative necessarie furono affidate ai Carmelitani, che ebbero l’assenso in pochi mesi.
Infatti, l’otto gennaio 1521 il viceré Ramon de Cardona comunicò l’assenso dato dall’imperatore; la chiesa di S. Angelo terminava di essere abbazia regia e diventava chiesa carmelitana.
Tuttavia, la questione andò poi per le lunghe, poiché della consegna effettiva il notaio Giovan Donato de Melioribus alias Megliore ne parla ancora nell’ottobre del 1530, mentre il consenso dell’Arcivescovo Geronimo Aleandro fu dato il 22 marzo del 1531. Sempre il Megliore ci informa che il primo priore carmelitano fu il brindisino Nicola Prescia; la stessa cosa riferisce Cataldantonio Mannarino nella sua frammentaria Storia di Mesagne, aggiungendo che al Prescia succedette il teologo mesagnese Francesco Vita, sul quale Antonio Profilo aggiunge che partecipò al concilio di Trento e che fu Provinciale della Provincia Carmelitana della Puglia.
Questo, qui riassunto in breve, ci dicono alcuni atti rogati dal notaio Giovan Donato de Melioribus alias Megliore.
La chiesa di S. Angelo, pervenuta finalmente in possesso dei Carmelitani, ebbe vari restauri (grazie anche alle donazioni ricevute dalla famiglia Maia), ma la sua struttura architettonica rimase sostanzialmente la stessa, salvo l’allestimento degli altari barocchi nella metà del Seicento e le modifiche eseguite nella seconda metà dell’Ottocento.
Subito dopo il loro insediamento, i religiosi pensarono di dotare la chiesa di un quadro raffigurante la Madonna del Carmelo; chiamarono perciò, in data ignota, ma presumibilmente attorno al 1540, il pittore Francesco Palvisino da Putignano, che lo realizzò in poco tempo. Forse aveva un modello, come la Madonna di Costantinopoli dipinta nella cattedrale di Acquaviva delle Fonti; ma forse fu quest’ultima ad essere dipinta dopo la Madonna del Carmine di Mesagne; mancano documenti risolutivi. Comunque sia, il Palvisino, pretendendo una somma più alta rispetto a quella già concordata con i religiosi, pensò di portarsi via il quadro ligneo che aveva realizzato. Tuttavia, per un prodigio sovrumano, come narra la tradizione religiosa, egli non riuscì a varcare la soglia della chiesa dalla quale voleva uscire con la tavola dipinta. Come narra la leggenda, ci riuscì soltanto quando lasciò il quadro all’interno della chiesa.
Ad onor di cronaca, la vendita di Mesagne fu perfezionata nel 1522: il feudo fu ceduto ad Alfonso Beltramo, condottiero al servizio di Carlo V, per un prezzo di favore di appena 28.000 ducati. Così dice Diego Ferdinando, il quale si spiega in questo modo il fatto che nel 1591, nella vendita di Mesagne alla famiglia del mercante lombardo Giovanni Antonio Albricci, lo stesso feudo era stato apprezzato molto di più: 105.000 ducati. I Beltrano dominarono Mesagne, quindi, per quasi 70 anni, nel primo periodo del Viceregno spagnolo nel Mezzogiorno; e furono i primi attori del neo-feudalesimo mesagnese.
(Domenico Urgesi)