Nuovo Teatro Verdi, l’attesa e la fiducia
Il Nuovo Teatro Verdi di Brindisi ha aperto il 2021 con il concerto tradizionale dedicato alle atmosfere viennesi,
il rituale degli auguri in musica che si ripete ogni anno sul palcoscenico del politeama brindisino. Anche lo scorso primo gennaio, malgrado il “gelo” calato sulle scene a causa della pandemia da Covid, la Fondazione ha mantenuto l’appuntamento spostando il concerto in tv e in streaming con ottimi dati di ascolto. Un segno che da una parte testimonia il gradimento per la modalità della fruizione, dall’altra è sintomatico dell’attenzione che il teatro e la musica conservano nonostante la sosta obbligata dello spettacolo dal vivo. Se «Concerto per il Nuovo Anno» è metonimia per valzer viennesi, polke, marce e musiche da film, la programmazione del Verdi attende segnali di allentamento dei vincoli per ricomporre la sua partitura, con parte della scorsa stagione artistica e della rassegna «Brindisi in Scena» da recuperare.
«Il nostro auspicio - ha detto il direttore artistico, Carmelo Grassi - è di recuperare gli spettacoli di Brindisi in Scena in primavera, con prevedibili limiti di partecipazione e di sistemazione del pubblico nei posti di platea, e ripartire in autunno come abbiamo sempre fatto, lasciandoci alle spalle un’esperienza che mai avremmo immaginato, con una ferita profonda inferta al mondo della cultura. Che non è fatto solo della messa in scena o in opera, quindi del suo emisfero visibile, ma nasconde un rovescio fatto di persone che lavorano, di un indotto che non può, almeno stavolta, passare inosservato. Il fondale della scena è un po’ un secondo sipario, dietro il quale esiste e si muove un’altra parte dello spettacolo. Invisibile ma altrettanto importante. Intendo tutti i lavoratori discontinui, che per il teatro sono le mascherine, gli elettricisti, i macchinisti, i datori luci, i facchini. Un universo in estrema sofferenza, lo abbiamo più volte detto e ricordato, anche perché non è sempre identificabile e censibile».
Teatri e operatori cercano di fronteggiare la crisi digitalizzando produzioni, laboratori e progetti lanciando in streaming su portali e social i lavori, documentando così vita e vitalità di un settore che prova a rispondere all’asfissia generata dalla emergenza pandemica. Lo spettacolo dal vivo attraversa un’autentica “crisi in termini”, in quanto il teatro è la modalità di espressione artistica che, forse più di ogni altra, necessita della reale presenza dei fruitori, in opposizione a ogni tipo di virtualità possibile. «Il teatro è dal vivo per definizione - ha sottolineato Grassi - e in mancanza della sua originale modalità, è bene che si manifesti in forme alternative che assicurino la continuità della scena. Una prova di resistenza, coinvolgimento, creazione malgrado le difficoltà. Il teatro è chiuso ma tornerà a regalare meraviglia, a inventare realtà, a indagare l’uomo e la sua complessità, come ha fatto per secoli senza passare di moda. Lo streaming è una sorta di intervallo, di sipario d’attesa, ma noi non ci stancheremo di aspettare il pubblico in sala».
La pandemia, con il suo drammatico portato di sofferenza e di stravolgimento delle vite, ha sollecitato qualche riflessione sul mondo della scena: mai come oggi si parla di teatro in tv e in rete, basti pensare al riuscitissimo format di Stefano Massini «Ricomincio da Rai 3», una finestra sul mondo dello spettacolo dal vivo composta di quattro prime serate evento. La tv e il teatro si sono cercati, hanno provato a ricomporre un dialogo possibile dopo le felici lune di miele del passato: la prima volta fu il 3 gennaio 1954. Alle 21.45 in punto sul primo Canale della Rai prese scena l’atto unico di Goldoni «L’osteria della posta», con Isa Barzizza. In quella tv in bianco e nero l’intento era ambizioso: trasmettere spettacoli teatrali, e ce ne furono tanti, con assoluta regolarità il martedì e il venerdì, e con un dichiarato intento formativo. Educare il pubblico al bello. Da Gassman a Salerno, da Buazzelli a Brignone, il teatro entrava nelle case con straordinaria normalità.
La pandemia ha risollevato la questione, la tv l’ha affrontata dividendo l’imbarazzo con il mondo della Rete, che ha messo a disposizione progetti di assoluto interesse come il nascente ITsART, il palcoscenico virtuale dello spettacolo voluto dal ministro Franceschini, i delivery teatrali, la «Zona Rossa» del Bellini di Napoli, o ancora come «Indovina chi viene a (s)cena», format quest’ultimo ideato dal Teatro Pubblico Pugliese, cui aderisce anche il Comune di Brindisi, una stagione di racconti-spettacolo originali messi online, un grande convivio che unisce a ora di cena attori, maestranze e pubblico nel segno dei territori, della memoria, dei personaggi pubblici e delle tradizioni enogastronomiche pugliesi. Minuscolo ma distinto segnale di “teatro immersivo”, per molti il futuro del teatro ma già capace di rinnovare l’interesse dei giovani per le arti performative, nel quale lo spettatore è chiamato a confrontarsi nel gioco della finzione e della realtà condividendo e facendo parte del processo narrativo dello spettacolo.