La bellezza dell’Amore (di Carmelo Colelli).

Avevo superato i sessant’anni da un bel pò, mi trovai a passare da lì quasi per caso, lei era seduta al tavolino del bar,

quello in fondo alla strada con la veranda, quello del grande giardino, da lì si può ammirare tutta la vallata, la distesa degli ulivi da un lato, i vigneti dall’altro, in fondo il mare.

Era intenta nei suoi pensieri, sul tavolino la tazzina col caffè e un libro, amava leggere, un soffio leggero di vento le scompigliò i bei capelli, non la vedevo da cinquant’anni.

Era bella, proprio come la ricordavo, anzi ancora più bella.

Veniva giù in paese solo d’estate, viveva a Milano, io, invece, era da molto tempo che non tornavo, quel giorno volli girare dappertutto, rivedere i luoghi che frequentavo da ragazzo.

Con i miei amici eravamo soliti incontrarci tutte le sere d’estate in quel bar, le partite infinite al calciobalilla, le canzoni al jukebox, le liti, le riappacificazioni, i discorsi rivoluzionari, per cambiare il mondo, fino all’alba, i primi approcci con le ragazze.

Mi avvicinai, alzò lo sguardo, fissò i suoi occhi nei miei, mi rispecchiai, come un tempo, in due occhi, azzurri, belli, profondi, dolcissimi, mi fissava incuriosita.

Ciao Anna, le dissi, mentre pronunciavo il suo nome, il mio cuore batteva forte, continuava a fissarmi, il suo viso, in un attimo avvampò.

La conoscevo da sempre, da piccola giocava sempre con una bambola, seduta sul gradino vicino casa.

Molte volte mi fermavo ad osservarla, mentre parlava dolcemente alla sua bambolina, la stendeva, la accarezzava, la copriva, le cantava una ninna nanna, la lasciava dormire, la riprendeva, la portava al petto e la coccolava, sembrava una piccola mamma.

Mi guardava sempre più dolcemente, sorpresa, meravigliata, scrutava il mio viso, fissava i miei occhi, batteva velocemente il mio cuore.

La invitai ad andare in giardino, conoscevo bene la strada, mi venne vicino, come facevamo un tempo, ci incamminammo, senza dire una parola, attendeva le mie parole.

Ogni angolo di quel giardino ci apparteneva, era ricco dei nostri ricordi.

Ero un fiume in piena, le raccontai di quando andavamo a scuola, lei col grembiulino bianco, il cestino della merenda in una mano e sulle spalle la piccola cartella.

Eventi e storie si susseguivano con descrizioni perfette dei tempi, dei luoghi, delle persone, lei ascoltava e riviveva i ricordi.

Ci fermammo sotto l’albero del gelso, era il nostro angolo riparato, mi guardò, la guardai, il fruscio delle foglie parlava per noi, le cicale riempivano il silenzio, i cinguettii degli uccelli regalavano una dolce musica, eravamo vicinissimi, in silenzio continuava a guardarmi, i suoi occhi luccicavano come i miei, parlavano al mio cuore.

Non riusciva a pronunciare il mio nome, rossa in viso, emozionata, sorpresa, contenta, come tanti anni fa, due lacrime scesero sul suo bel viso: “Antonio! Amore mio! Non sei cambiato.” mi disse e pianse.

L’abbracciai, avrei voluto baciarla, avremmo voluto baciarci, non lo facemmo, poggiò il suo capo sulla mia spalla e rimanemmo così.

Tornammo a quegli anni quando eravamo innamorati, quando al mattino facevamo le corse per prendere il treno delle sette e venti, l’unico che ci permetteva di essere puntuali a scuola, ci cercavamo sul marciapiede della stazione, salivano nello stesso vagone, quello con i sedili di legno, per stare vicini, giunti in città facevamo un tratto di strada insieme poi con un veloce bacio ci davamo appuntamento all’uscita di scuola, frequentava il liceo io l’istituto tecnico.

Ricordai ad alta voce quanto era bella con i libri sotto il braccio, circondata dalle sue amiche, sempre più emozionati ricordammo il primo incrocio di sguardi, le prime parole scambiate, il primo bacio sotto l’albero del gelso.

Eravamo innamorati, facevamo mille progetti, lei si sarebbe iscritta a Matematica, io invece volevo diventare Architetto, sognavamo una famiglia, un lavoro, ci vedevamo impegnati nel sociale al servizio della comunità, volevamo cambiare il mondo.

I nostri sogni furono interrotti da una scelta fatta dal padre, lui, come tanti altri uomini del nostro paese si era trasferito al nord per lavoro, era andato a Milano, era lì già da tre anni, aveva un buon lavoro ed aveva deciso di trasferire lì tutta la famiglia.

Anna cercò di ribellarsi, cercò di convincere il padre a farla rimanere in paese dai nonni, non fu possibile, soffrì molto, soffrii anche io.

Ci scrivevamo lettere quasi ogni giorno, dopo qualche anno, anche io fui costretto a lasciare il paese, non riuscimmo più vederci, le lettere cominciarono a non bastare più, il loro arrivo non leniva il dolore lo accentuava.

Anna aveva ancora la testa poggiata sulla mia spalla quando ricordammo le parole della sua ultima lettera:

“Ti amo tanto, sei importante per me, ti amerò per sempre, nulla potrà mai distruggere il nostro amore, puro, vero, intenso … ora però per il nostro bene dobbiamo interrompere qualsiasi comunicazione, non ti chiedo di promettermi di amarmi sempre perché sono certa lo farai. Promettimi solo di continuare a studiare e di portare avanti tutti gli altri nostri progetti, come farò io. Ti amo. Anna.”

La sua lettera l’avevo conservata nel cuore, ricordavo benissimo la piccola macchia sul foglio vicino al nome, l’alone di una lacrima.

Le dissi: “ti ho sempre amata” rispose: “ho sofferto tanto, ti amo ancora” ci tenemmo stretti, pronti a baciarci, ci guardammo intensamente negli occhi, non lo facemmo.

Mi guardò ancora negli occhi e mi disse: “Sono contenta che i nostri sogni si siano in parte realizzati”

Eravamo contenti e ancora innamorati come due ragazzini.

Mano nella mano siamo tornati alla veranda, ci siamo riabbracciati ancora una volta, un tenero bacio sulla guancia e poi ci siamo salutati sicuri che non ci saremmo rivisti ma avremmo continuato ad amarci per sempre: lei nella sua Milano io nella mia Africa.

La bellezza dell’amore non finisce mai.

Carmelo Colelli

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