Liberare il Paese dalla gabbia dei burocrati (di Angelo Guarini)

Recentemente è stato rilevato che le norme sulle gare pubbliche negli ultimi quattro anni sono cambiate ben 140 (centoquaranta) volte

e che per dare corso operativo al Decreto semplificazione servono addirittura 64(sessantaquattro)Decreti attuativi!!! Qualcuno potrebbe pensare che stiamo su “Scherzi a parte” ed invece è una significativa rappresentazione della tragica realtà, che frena o quantomeno rallenta pesantemente ogni prospettiva di sviluppo. Già nel lontano 1973 Guido Carli, nelle 'Considerazioni finali' della sua relazione come Governatore della Banca d’Italia, utilizzò l’espressione “lacci e laccioli  (coniata da Tommaso Campanella negli ‘Aforismi politici’) per sottolineare gli ostacoli di carattere burocratico allo sviluppo economico. Constatare che - a distanza di circa mezzo secolo - questa espressione è assolutamente attuale, lascia a dir poco sgomento ed irritazione .... Significa che i tanti Governi che si sono succeduti non hanno avuto la forza o la voglia o la determinazione per risolvere questa gravissima problematica. Purtroppo non sono servite neppure citazioni di casi concreti di una negatività disarmante, come quella dell’allora Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che dimostrò di avere impiegato ben otto anni per ottenere tutte le autorizzazioni necessarie alla costruzione di uno stabilimento di Mapei a Mediglia (Milano), mentre nello stesso arco di tempo l’azienda aveva realizzato e fatto decollare ben dodici stabilimenti in diversi Stati nel mondo. Altro caso concreto: l’investimento del Gruppo Rana nell’Illinois (USA). Come ha dichiarato in un’intervista Gianluca Rana, figlio di Giovanni Rana, “in sette mesi si è partiti da un capannone vuoto per realizzare una fabbrica attiva, con un centinaio di addetti. In Italia, invece, ci vogliono sette anni ed un’ottantina di autorizzazioni”.

Altro piccolo esempio, secondo una ricerca svolta da Confartigianato, è l’iter per aprire una gelateria: occorrono ben 73 adempimenti, con 26 Enti diversi e con un costo di 13 mila euro. Come uscire da questa situazione assurda?

Durante la prima fase di lockdown ho messo in moto un veloce benchmarking, verificando come sono regolamentati gli iter autorizzativi nei Paesi nostri competitors, convinto che la grave situazione determinata dalla pandemia da Coronavirus poteva costituire per un grimaldello per scardinare la burocrazia con i suoi “lacci e lacciuoli”. Sulla base di queste considerazioni ho effettuato - con la collaborazione degli Uffici dell’ICE di USA, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna - una veloce indagine sulle normative esistenti presso questi Paesi.

Al di là di alcune differenze nei tempi e nelle modalità, quanto emerge in estrema sintesi da questa rapida ed empirica indagine è che presso i nostri competitors gli iter autorizzativi sono snelli, rapidi ed in grado di assicurare all’investitore tempi certi. Quasi ovunque viene accentrato in un’Agenzia nazionale il ruolo di interfaccia con l’investitore, fornendo tutta l’assistenza possibile non solo quanto ad informazioni circa agevolazioni e cofinanziamenti, ma anche a supporto per la logistica ed infine per le autorizzazioni, spesso decise e coordinate dalla stessa Agenzia. La certezza dei tempi è garantita da meccanismi di silenzio-assenzo di due/tre mesi, lontani mille miglia dalle nostre tortuosità bizantine.

Alla luce del rapido quadro di riferimento di quanto avviene in questi Paesi, pensando ai nostri iter autorizzativi viene in mente la famosa frase del campione di ciclismo Gino Bartali: “L’è tutto sbagliato … l’è tutto da rifare.”

Ho già avuto modo di evidenziare che purtroppo addentrarsi nella nostra giungla dei percorsi autorizzativi, intervenendo a colpi di machete per ridurla e semplificarla, è un esercizio illusorio. La cosa più semplice è di aggirare la giungla, copiando il meglio delle esperienze altrui, per cercare di colmare un gap, che rappresenta una palla al piede alle nostre prospettive di sviluppo. Inutile sottacere che i nostri iter autorizzativi sono così ramificati, anche per giustificare l’esistenza di tanti vari uffici ed Enti, in merito ai quali non è stata mai fatta un’analisi seria di costi/benefici. Con il paradosso di scaricare doppiamente sull’utenza questi costi, nel senso che le aziende, oltre all’eccessivo carico fiscale (anche per mantenere questa pletora di enti ed autorità di ogni genere e specie), sopportano i costi di tante, troppe lentezze burocratiche, che spesso a loro volta per i loro tempi lunghi e, soprattutto, indeterminati scoraggiano la voglia di fare investimenti. Peraltro ulteriori perdite di tempo ed aggravio di costi comportano i numerosi contenziosi in sede giudiziaria innescati dalle tante incertezze interpretative derivanti da tali norme.

Ad esempio, di recente è arrivato a sentenza del Consiglio di Stato un contenzioso tra Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale e ben 20 tra Enti ed Associazioni per una banale recinzione per motivi di sicurezza di una determinata area portuale a Brindisi. Assurdo. La riforma degli iter autorizzativi per gli investimenti richiederebbe anche un drastico intervento in alcuni comparti della pubblica amministrazione. Non possiamo continuare ad avere cittadini e lavoratori di serie A, intoccabili con lo stipendio variabile indipendente, e cittadini e lavoratori di serie B, che vivono sulla propria pelle per le incertezze e le incognite del mercato e della concorrenza. Basterebbe quanto meno inserire anche nel pubblico impiego tutti gli ammortizzatori sociali (con particolare riferimento alla cassa integrazione), parificando la relativa normativa tra comparto pubblico e privato. Questa proposta è già stata avanzata da esponenti di Confindustria e sarebbe anche giusta dal punto di vista sociale.

Certo, per attuarla – unitamente a quella degli iter autorizzativi – occorrono determinazione e coraggio. Ora si tratta di vedere se c’è nel mondo della politica una vera forza innovativa e riformatrice (nei fatti, non nelle parole).

Senza scelte veramente drastiche, - ed è ora il momento giusto per adottarle – purtroppo il nostro Paese non uscirà mai a una situazione – aggravata dalla pandemia – di lento ed inesorabile declino.

Auguriamoci che proceda in tale direzione il nuovo Governo.

Angelo Guarini

Direttore Confindustria Brindisi

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