1951: quando la scuola iniziava il 1 Ottobre (di Giuseppe Giordano)
Con la legge n. 517 del 4 agosto del 1977 l’anno scolastico doveva cominciare tra il 10 e 20 settembre
mentre la fine era prevista tra il 10 e il 30 giugno. Il primo ottobre 274° giorno nel calendario gregoriano (275° negli anni bisestili) veniva relegato nei ricordi di passate generazioni. E così fu fatto.
Nel 1951 la scuola cominciava proprio il 1° ottobre; frequentavo la seconda elementare con il prof. Alfredo Fortuna, presso l’unico plesso “Giosuè Carducci”; ero “anticipatario” per aver frequentato la prima elementare da privatista, al pari di moltissimi scolari dell’epoca dalle signorine Candido allu buriu vecchiu.
Quanti ricordi legati a quegli anni: una classe che indossava come divisa un grembiule blu (bianco per le femminuccie) con colletto bianco e fiocco azzurro; una borsa di cartone a tracolla e per il resto …
In quel primo anno di scuola pubblica alcune cose a distanza di 70 anni sono rimaste nella memoria: un bambino veniva a scuola i primi giorni senza le scarpe e ci pensò il Patronato scolastico a rimediarne un paio, ovviamente usato; le classi erano composte da 30 unità con banchi biposto, con il ripiano che, alcune volte era rigido altre volte si alzava per riporre la cartella e forniti di due calamai di inchiostro che il bidello lu nunnu Chicchinu, ogni mattina riempiva con un recipiente di rame che generalmente veniva usata in casa come oliera. Direttore un certo prof. Presicce, austero nel portamento, con pizzetto, spauracchio di tutti gli scolari!
La campanella suonava alle 8.30 per l’entrata e per l’uscita alle 12.30; non era elettrica, si trattava di un campanaccio abbastanza spesso vuoto all’interno senza lu pillu che veniva suonato cu nu chiavinu ti purtoni!
Le aule erano, ovviamente, senza riscaldamento. Non c’erano termosifoni, ma per la verità neanche a casa, c’era riscaldamento del genere o stufe elettriche o a gas. Il riscaldamento a scuola? Eravamo quasi tutti imbacuccati, con scuffiotti (così li chiamavamo) di lana e per le prime ore ci si riscaldava a piccoli gruppetti, con qualche borsa di acqua calda (venduta in esclusiva a ‘ddo lu Muzzu in piazza Sant’Anna dei Greci) preparata da qualche madre che ne aveva la disponibilità, messa in una custodia di lana per far durare un po’ di più il calore.
La scuola era molto distante da casa per me che abitavo allu mindulitu (via Aymonetto Sangiorgio) ma ancor di più per coloro che abitavano verso lu spitali, la chiesa ti Luritu e alla ‘Mpalata (dove oggi sorge la scuola elementare Giovanni XXIII). Non c’erano auto private, poche le biciclette ed a scuola si andava a piedi a gruppi. Bisognava fare attenzione alli traini e possibilmente percorrere la Via ti Corratu (attuale via Edmondo De Amicis), molto più sicura della via ti lu Carmunu o della via ti Latianu.
Ma quasi tutti andavamo dalla via di Latianu perché ogni mattina immancabilmente dovevamo fermarci a ddo’ Ginnaru a comprare ‘na gingomma (costo 5 lire), da masticare fino all’entrata nelle aule per poi buttarle perché rigorosamente vietate.
Una seconda fermata la si faceva a ddo’ mestra Nina Buccella, una cartoleria piccola, quasi di fronte all’attuale farmacia Recupero-Nocera sempre ti la via ti Latianu con qualche quaderno ed alcuni pennini ricercati perché scrivevano fini fini che venivano chiamati a capu ti morti, cu lu tisciutu, cu lu bucu mmienzu, ecc. … (costo 5 lire con l’asticciola 10 lire) e custoditi in apposite cassettine; i quaderni sottili 4 doppi fogli, 16 pagine con righe adeguate alle classi, (costo 10 lire) ed il quaderno in bellacopia che veniva custodito in un armadio dal maestro con copertina nera e bordi laterali delle pagine color rosso carminio. In quell’anno mio nonno che lavorava sui Wagons-Lits mi regalò una penna “Biro”, comprata a Parigi, una novità inverosimile. I compagni di classe rimasero tutti affascinati da questa penna che non macchiava e non si intingeva nell’inchiostro. Il mio maestro la vide, me la sequestrò disse alla classe che era una diavoleria che rovinava la calligrafia delle persone e me ne tornai a casa con dieci manolate sulle mani.
I libri, invece, erano per tutti e cinque gli anni sempre due, il sussidiario con le varie materie come matematica, storia, geografia ed il libro di lettura che era il più usato perché non c’era giorno senza lettura (la mattina a scuola e il pomeriggio a casa come compito).
E poi l’arrivo a scuola, mediamente un quarto d’ora prima con sosta nel cortile non asfaltato (quello che ancora c’è di fronte alla scula Media Materdona) ma con una copertura di terriccio stabilizzatu quasi sempre pieno di pozzanghere.
Ed in questo quarto d’ora si faceva di tutto: si scambiavano li ficurini (di calciatori, di indiani, invenzioni e scoperte, mondo sub); e si giocava cu li ficurini allu scaffu, a sottapareti e a battimurra e si giocava anche cu li quattrusordi che all’epoca erano monete numerose che circolavano tra i ragazzi (1 quattrusordi, 2 uettusordi, 3 tuticisordi, 4siticisordi, … 5 ‘na lira) e che potevano essere scambiate con moneta reale: ‘na quattrusordi valeva 1 lira.
Erano momenti di socializzazione tra ragazzi, di diversificazione e di appartenenza in funzione, alcune volte del rione di provenienza che neanche i maestri riuscivano a scardinare nonostante le maniere dure dei maestri con ceffoni a non finire, tirate di orecchie alcune volte dolorose e punizioni dietro la lavagna ed in ginocchio. Avevamo tutti i capelli tagliati o a muloni (rasati a zero) o all’Imperatore (corti corti con un impercettibile ciuffo davanti) per evitare le tirate degli stessi capelli da parte dei maestri
Le aule rigorosamente per maschietti e femminuccie e le miste neanche nella fantasia; c’era un solo maestro/a e per le scuole maschili; il maestro aveva sempre una bacchetta di faggio per distribuire manolate (colpi di bacchetta sulle mani) durante la giornata.
Ma una cosa è rimasta impressa a molti miei coetanei: la famosa refezione che a fine lezione distribuiva un panino (la classica menza pagnotta mesagnese) a scolari che provenivano da famiglie indigenti.
Tempi duri per frequentare le scuole elementari. A distanza di 70 anni ancora ricordo i nomi ed i volti dei compagni di classe: …Aquilino, Bellanova, Cutrì, Murri, Caramia, Giorgino, Santoro, Mastro …
E settembre era ancora vacanza fino al 1977, ed i ragazzi che frequentavano il Liceo andavano a pisari uva, quel lavoro che veniva fatto in campagna prima che l’uva fosse caricata sui camion per essere trasportata al Nord, per racimolare qualche soldo utile per comprare i libri di testo.
Non so a cosa è servito anticipare a settembre l’apertura delle scuola, almeno per il Sud con temperature ancora calde. Forse sarebbe il caso di ripristinare la data del primo ottobre, giorno di San Remigio e ricominciare a chiamare i bambini della prima elementare i remigini così come lo si faceva un tempo.
Giuseppe Giordano
(pubblicato su "Memorie" ottobre 2020 n. 10)
Immagine Scuola Elementare Giosuè Carducci collezione Cosimo Pasimeni.