“Quel sant’uomo di Valentino” di Anna Rita Pinto

Oggi parleremo di una cosa che può essere leggera tanto da farci volteggiare a un metro da terra oppure

tanto pesante da farci schiantare a un metro sotto terra: a San Valentino non possiamo che parlare d’Amore. Quello romantico, poetico, passionale, quello vero insomma. Oppure vero solo nei nostri ideali. Perché proprio la parola amore, forse, è quella che più spesso viene usata impropriamente e le diverse interpretazioni, lo sappiamo bene, causano non poche macerie affettive.

Ad ogni modo a cavalcare la parola Amore è un’iniziativa di questi giorni promossa dal Movimento imprese italiane, che ha proposto l’immissione dei “Love pass”: un adesivo che a partire dal 12 febbraio, in Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto, è stato affisso sulle vetrine dei commercianti che sono contro l’accesso con Green Pass e ai quali permetterà di essere riconosciuti proprio dagli avventori no pass. Chissà se questo gesto vuole lontanamente richiamare il significato del “Peace and Love”, simbolo rappresentativo della contestazione antimilitaristica degli anni sessanta e settanta. E a San Valentino si sa, tutto fa brodo e tutto fa brand.

Di San Valentino, però, il santo vero intendo, sappiamo molto poco. Negli antichi documenti si trova traccia di tre diversi San Valentino collegati al 14 febbraio, ma non è chiaro se siano tre persone distinte, oppure racconti differenti della vita della stessa persona. Un triangolo che, come direbbe Renato Zero, non abbiamo considerato. Certamente si sa che fu un sacerdote, forse un vescovo, che morì martire, decapitato dalle autorità romane nel III secolo, e che la sua festa fu istituita nel 469 da Papa Gelasio I. Si ipotizza inoltre anche che San Valentino divenne “San Valentino” soltanto perché la sua ricorrenza cadeva a metà febbraio, giorni in cui i romani pagani celebravano, in maniera piuttosto discinta -com’era loro solito fare-, i Lupercalia, una festa legata alla fertilità e all’amore. 

Ad ogni modo San Valentino venne poco considerato almeno fino al basso medioevo, quando l’autore dei I racconti di Canterbury scrisse di alcune leggende, probabilmente inventate da lui stesso, in cui San Valentino veniva associato a racconti che avevano a che fare con amanti o altri fatti amorosi, tanto da diventare il santo “dell’amor cortese” che, proprio in quegli anni, cominciava a diffondersi tra l’aristocrazia europea. A quel punto storie e leggende su San Valentino a favore degli amanti si sono moltiplicate. Nei paesi anglosassoni la stessa parola “Valentina” indica le lettere d’amore che gli innamorati si scambiano il 14 febbraio; la prima testimonianza dell’uso di questa espressione la troviamo però in una lettera scritta in francese, in cui il duca e poeta Carlo d’Orléans si rivolgeva alla moglie chiamandola appunto così. La tradizione è arrivata poi anche negli Stati Uniti e così un po’ ovunque. Nel corso dei secoli, però, la figura del misterioso santo è completamente sparita ed è rimasto tutto il resto.

Ora, osservando le tante persone che commemorano questa ricorrenza, mi chiedo quante siano quelle che festeggiano l’amore e quante la coppia? Perché coppia, a quanto pare, non è necessariamente sinonimo d’amore, anche se a tutti piacerebbe che fosse proprio così. Talvolta si sta con qualcuno e si ama qualcun altro e, altre volte ancora, è proprio grazie a qualcun altro che alcune coppie, ormai ridotte al nulla, si tengono in piedi. E spesso più son grossi i regali che ci si scambia e più son grandi i tradimenti. I misteri dell’amore. E chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Ovviamente in tutto questo mondo pieno di varianti e di variabili, non ci è dato sapere quale sia la logica in cui, quel sant’uomo di Valentino, abbia creduto per tenere vivo l’amore e unite le coppie. Di certo credo che anche lui, se vivesse il nostro tempo, avrebbe una bella gatta da pelare. Forse sarebbe il primo a sostenere la minaccia di Zuckerberg di chiudere Facebook e Instagram, sperando che, come forse diceva pure sua nonna, “chiusa una porta si apre un portone” e in questo caso, chissà, forse potrebbe essere quello dell’Amore vero”, quello di cui abbiamo perso le chiavi, quello di un tempo o almeno quello che ci piace credere che lo fosse, fatto di baci sospirati e di strade consumate a passare e a ripassare sotto casa dell’amata. Di gesti gentili insomma, di lettere spedite e di risposte a lungo attese. Non quello fatto di chat, magari pure per mezzo di Alexa, di password di protezione e di messaggi spesso dozzinali o volgari. Di Amori che forse potremmo dire illusori? Che non si toccano, non si odorano, non si vivono ma che spesso, troppo spesso, distruggono le coppie e ahimè anche l’amore.

Ecco, se proprio un buon San Valentino vogliamo augurare, penso che sarebbe bello se fosse proprio quello all’insegna di quell’amor gentile, fatto di cose piccole, come piccoli sassi da portare addosso, nelle tasche, affinché gli amati non si perdano nelle giornate di vento. E allora sì che il love pass sarebbe da estendere proprio a tutti, o almeno a tutti quelli che a quell’amore vogliono concedere l’accesso.

Anna Rita Pinto

14.02.2022

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