7 marzo 1991: albanesi a Brindisi (di Antonio Quagliarella)

Era il 7 marzo 1991, un giovedì qualunque quando a Brindisi, 90mila abitanti, arrivarono venticinquemila albanesi

in meno di ventiquattr’ore. Un esodo: donne, uomini e bambini chiedevano un pezzo di pane e libertà, stremati da decenni di regime comunista guidato da Enver Hoxha e Ramiz Alia. La città rispose con le proprie forze.

Mi ero affacciato come sempre dopo cena per fumare una sigaretta e guardare le luci di quello splendido porto. Abitavo al quinto piano di Palazzo Crudomonte (ministero dell’educazione ai tempi del Re in questa città), La visuale arrivava al Forte a Mare. Potevano essere le 22 quando notai una scia lunghissima di piccole luci che avanzavano come un animale ferito e senza più forze. Incredulo cercai di vedere meglio attraverso una nebbiolina solita e comincia a vedere barche di tutte le misure possibili con un contorno all’interno di ognuna di mille teste. Si avviavano verso l’ultima parte del porto interno all’altezza della fabbrica Montecatini che era esattamente di fronte alla fine del corso principale. Non so come cominciarono ad attraccare e a scaricare il carico di uomini, donne e bambini (la quasi totalità senza genitori). Cominciarono le telefonate (solo da e per numeri fissi), gli amici mi consideravano una   vedetta. Trasmettevo quello che avevo negli occhi, nessun commento, sgomento e basta. Organizzammo una riunione straordinaria del Rotary per il primo mattino successivo. Nessuno sapeva cosa stesse succedendo e cosa si potesse fare. A mano a mano che quella massa umana scendeva a terra occupava un piccolo spazio sulla banchina, in attesa. Indimenticabile il fetore che arrivava da lì, il flusso non si fermava e non c’era più posto, erano diecimila, quindicimila, venticinquemila. Non erano contenibili e si dispersero in città. Ormai era l’alba, sembravano fantasmi che cercavano rifugio ovunque. Frattanto i primi che uscivano da casa si affrettavano a comperare mimose da portare all’amata e l’incontro con quei disperati fu una scena felliniana: persone ben vestite e sbarbata offrivano mimose che furono prese come atto di “benvenuto”. Finalmente dalla parte della banchina di attracco arrivò acqua, latte e pane. Tutto più per merito di privati che altro. In Prefettura il dr. Barrel aveva organizzato un centro di crisi e c’erano amministratori, militari di tutte le armi presenti, Croce Rossa e Istituzioni come Rotary e Llons. Io in quanto tesoriere del club Rotary aveva mandato di spendere otto milioni che era tutta la cassa. Cosa comprare? I club erano solo di maschi e se non fosse stato per le mogli non avremmo mai pensato di comperare assorbenti, salviette, pannolini per i piccoli, vaschette per lavarsi e sapone, tanto sapone. Io avevo comperato due stecche di MS pensando da fumatore a cosa potesse desiderare un albanese. Ma al secondo che mi chiedeva di fumare e che guardava perplesso le MS, mi rispose: ”No Marlboro?”. Forse fu allora  che capii che c’era qualcosa di strano.(aq)

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