“Accarezzare il male” di Anna Rita Pinto
È notizia di questi ultimi giorni che alla soprano russa Anna Netrebko è stato negato di esibirsi al Metropolitan di New York
così come alla Scala; così com’è noto che è stato annullato un corso di letteratura su Dostoesvkij all’Università Bicocca di Milano e che è stato chiesto al sindaco di Firenze di abbattere la statua dello scrittore, che si trova nel parco delle Cascine. In pratica è caccia alle streghe. Quindi, per coerenza, perché allora non scovare e strappare anche tutte le tele di Kandinskij o smettere di ascoltare le musiche di Tchaikovsky o quelle di Stravinskij oppure non vedere mai e poi mai, la “La corazzata Potëmkin” lo storico film di Ėjzenštejn, che non è “è una cagata pazzesca” come diceva Fantozzi, ma una fra le migliori pellicole del '900
Diciamo che oggi si sprecherebbero gli aggettivi per definire il NON senso della guerra, ma di sicuro è facile considerare stupido e soprattutto inutile, il voler cancellare la storia, l’arte e la letteratura di Autori e Paesi che hanno fortemente contribuito all’evoluzione di un processo culturale.
A tal proposito, lo ha detto anche l’attore, musicista e scrittore Moni Ovadia di origine ebraica sefardita, lui non ha mai smesso di ascoltare le musiche del tedesco Wagner, perché la cultura non ha frontiere, è apertura, arricchimento e con le guerre non ha niente a che fare. Il grande valore dell’arte lo avevano capito, addirittura, anche i nazisti che, durante la seconda guerra mondiale, hanno rubato migliaia di opere in tutta Europa, soprattutto quelle di proprietà di facoltose famiglie ebraiche.
Allora, nonostante noi ci rendiamo conto di quanto siamo impotenti e smarriti di fronte a tutto ciò che sta accadendo a un palmo dal nostro naso e assistiamo senza sapere cosa fare né da quale parte stare – perché in fondo lo abbiamo capito che questa guerra va oltre gli attori principali interpretati dagli aggrediti e dagli aggressori – commettiamo l’errore di compiere tante azioni stupide, quanto quelle di chi fa la guerra. Solo che noi non le facciamo con le armi, ma con le parole e con le azioni. Ed anche quelle hanno un peso.
Noi, che la guerra l’abbiamo letta sui libri o vista in televisione, perché è sempre stata la guerra degli altri, noi che abbiamo commemorato un’infinità di “giornate della memoria” e scritto ovunque “per non dimenticare”, anche noi abbiamo dimenticato tutto. Si ripetono le stesse dinamiche, la stessa propaganda, le stesse vittime di civili, gli stessi stupri, gli stessi profughi. L’ambizione e il delirio di onnipotenza di tutti i dittatori del mondo è lo stesso, in qualunque tempo e in qualunque posto geografico. Anche le vittime. Anche la stupidità. Come se mettere al bando la cultura russa servisse a indebolire gli aggressori e a favorire gli aggrediti. Al pari di quanto sarebbe sciocco non avere più sulle nostre tavole l’inalata russa.
Ecco, allora mi chiedo cosa penserebbe lui, proprio Dostoesvkij, se ora vedesse tutto questo. Forse, ancora una volta, si interrogherebbe sul significato della vita, sulla natura di Dio, sul libero arbitrio e sull'eterna lotta tra il bene e il male. E chissà se penserebbe ancora all’uomo come a un essere in continua evoluzione, capace di definirsi tale soltanto quando tende la mano a un suo simile. O se avrebbe ancora la convinzione che nella vita sono proprio le difficoltà che ci cambiano, ci rafforzano e che ci svelano chi siamo mettendo in dubbio le nostre certezze. Chissà se direbbe che il male e l’infelicità sono nell’animo di chi si rifiuta agli altri, stabilendo con il prossimo solo rapporti di comodo, di dominio, di concorrenza o di lotta. Di una cosa, però, ne sarebbe ancora certo: che l’uomo resta un mistero. Così come sono convinte due note scrittrici, Svatlana Aleksievic (Premio Nobel 2015) e Anna Achamatova, l’una ucraina e l’altra russa, che ritengono che in ognuno di noi, donne e uomini, vi sia un pezzo di storia attraverso il quale scriviamo noi stessi il libro dei nostri tempi.
Dunque, sicuramente la cultura non ci salverà da nessuna guerra ma forse, se gli uomini si alimentassero di cultura, così come di acqua, di pane e di armi, probabilmente verrebbero su migliori di come sono. Magari sarebbero capaci di cogliere la bellezza in ogni cosa e occuperebbero il tempo a gioire di ciò che hanno, più che a dannarsi per conquistare ciò che non hanno. Perché poi è una spirale, un vortice. Perché, diciamolo, poi non ci basta mai. E da lì ad entrare in conflitto con le persone che abbiamo accanto, col vicino di casa, col datore di lavoro, con un collega o con lo Stato confinante, è un attimo. E allora anche i sacrifici, il progresso, il benessere, l’evoluzione, questa benedetta evoluzione che invochiamo tanto, diventano solo parole. Vuote. Scarnificate. Senza senso. Presi come siamo a guardarci l’ombelico, a non accorgerci di chi abbiamo di fronte, a non riconoscere più le emozioni, gli odori, le persone.
E a proposito di persone, i buddisti dicono che bisogna pregare soprattutto per quelle che ci fanno male, quelle che sono infelici perché, se le persone fossero felici, di sicuro non avrebbero necessità di fare male a nessuno. Dunque mi verrebbe da pensare che semmai nella vita dovesse capitarci la sfortuna di amare qualche folle o qualche esaltato, allora dobbiamo fare solo una cosa prima di fuggire: regalargli un libro, fargli vedere un film, fargli ascoltare della buona musica e magari, anche, guardare insieme fuori dalla finestra gli alberi fiorire e i bambini giocare. Soprattutto, però, fare loro una carezza, nella speranza che possano ancora ricordare qual è il vero senso della vita.
Anna Rita Pinto
8.3.22