“Fantasie a luci rosse” di Anna Rita Pinto
Tra le tante importanti notizie che da febbraio ci parlano della guerra, molte altre sono giustamente passate sottotono,
come quella della dipartita, all'età di 94 anni, di un noto imprenditore italiano, ovvero Luigi De Pedys. Non un imprenditore qualunque, benché sia stato proprietario e gestore di un piccolo impero di sale cinematografiche e distributore e co-produttore di film come «Lo chiamavano Trinità» con Terence Hill e Bud Spencer, «Il federale» con Ugo Tognazzi e «Ecce bombo» di Nanni Moretti, ma colui che per primo accese le "luci rosse" del cinema italiano cambiando la storia del costume di questo Paese.
Così, il 15 novembre del ’77, De Pedys trasformò il cinema Majestic di Milano a Porta Venezia, fino ad allora destinato alla programmazione di film per bambini, nella prima sala d'Italia dedicata ai soli titoli "hard". Il Majestic era riconoscibile per la presenza di un lampeggiante rosso dei pompieri, idea che l’imprenditore ebbe quando, nel giorno del congedo del figlio che svolgeva il servizio militare nei vigili del fuoco, scoprì un'autopompa distrutta dopo un incidente e chiese al comandante di poterla prendere per installarla fuori dal cinema.
Il primo titolo proiettato fu «I pornogiochi delle femmine svedesi», seguito da «Lingua d'argento», e poi ogni giorno un titolo nuovo con incassi da capogiro che andarono dalle 26mila lire al giorno, che si incassavano per la proiezione dei film per i più piccoli, fino a 4 milioni per i film hard. Inutile dire che le sale "a luci rosse" esplosero nel giro di poco tempo. Era il tempo in cui il pubblico maschile, numerosissimo, accorreva a vedere capolavori del genere come «Historie d'O» di Just Jaeckin, «L'impero dei sensi» di Nagisa Oshima, «All'onorevole piacciono le donne» di Lucio Fulci, «La signora gioca bene a scopa» di Giuliano Carmineo, «Malizia» di Salvatore Samperi e «Gola profonda» di Gerard Damiano e molti altri. Poi, verso la metà degli anni '90, questa tendenza andò scemando con l'avvento delle videocassette e di internet.
Tuttavia De Pedys non si è mai definito un pornografo e all'esterno della sala non affiggeva locandine hard ma semplicemente un avviso: «immagini non adatte a un pubblico sensibile» e già dopo 4 mesi aveva mollato: «è stata una provocazione - affermò – io voglio dedicarmi solo al vero cinema» e così tornò a gestire le sue molte sale sempre con grande successo.
Ma che cos’è esattamente la pornografia e come nasce? Semplificando potremmo semplicemente dire che è la trasformazione per immagini delle fantasie erotiche di molti, dalle più comuni alle più trasgressive, soprattutto quelle che non si dicono, e per questo raccolgono da sempre il consenso di molti uomini. A tal proposito viene da citare uno stralcio del dialogo diventato cult della commedia «Terapia e pallottole» con Robert De Niro nei panni di Paul Vitti, un noto boss mafioso che decide di entrare in analisi. In una delle varie sedute il dott. Sobel (Billy Cristal) decide di affrontare la questione della relazione extraconiugale dell’uomo e gli chiede: “ha dei problemi con sua moglie?”, “no” risponde lui, “e allora perché ha un’amante?” ribatte il medico, “perché con lei faccio cose che non posso fare con mia moglie”- “e perché non può farle con sua moglie?” - “ma che, sei matto? quella è la bocca che bacia i miei figli tutte le sere”, gli risponde il boss. Dunque la pornografia ha il mero compito di rappresentare scene e situazioni eroticamente eccitanti, senza altro pretende che l'eccitazione in sé, o almeno quelle che, a dirla come la direbbe il boss Paul Vitti, non si potrebbero vivere all’interno del focolare domestico.
Sebbene si sia molto dibattuto sul confine tra arte, erotismo e pornografia, le raffigurazioni di situazioni erotiche o scene di sesso ha origini molto antiche: molte, infatti, le troviamo già fin dall’era paleolitica, così come nell'epoca romana, a Pompei, troveremo nei lupanari, ovvero le case chiuse di allora, pareti piene di rappresentazioni pornografiche in perfetto stato di conservazione. La raffigurazione per le strade degli organi sessuali femminili significava che erano vie frequentate da prostitute, mentre le raffigurazioni degli organi maschili eretti, soprattutto per le vie di Roma, erano un simbolo portafortuna, da cui poi è derivato il nostro cornino di corallo. Si può approfondire l’argomento visitando una particolare sezione del Museo archeologico Nazionale di Napoli (vietata ai minori di quattordici anni non accompagnati) che contiene tutto quello che di pornografico è stato trovato negli scavi archeologici di Pompei: statue, affreschi, suppellettili e anche giocattoli erotici, che ci fanno supporre che all'epoca questo tipo di pratiche fossero già comunemente diffuse.
Poi, intorno agli anni ’50, la pornografia si è evoluta. Negli Stati Uniti hanno iniziato a pubblicare alcune riviste specializzate per soli uomini, come ad esempio «Playboy» e «Uomo moderno» che hanno ritratto donne famose completamente nude fino a dare spazio, negli anni novanta, anche ad articoli e immagini riguardanti l'amore lesbico, l’omosessualità, il sesso di gruppo e il feticismo sessuale. Segno che la visione e l’interpretazione stessa del sesso muta relativamente al cambiamento sociale.
Questo vale ovviamente anche per la censura, cosa molto legata all’epoca, al Paese e alle mutazioni dei costumi. In pratica ciò che un tempo poteva essere considerato scandaloso e censurabile oggi, quasi certamente, non lo sarebbe. Basti pensare al «Decamerone» di Boccaccio che fu inserito nell’indice dei libri proibiti dalla Chiesa cattolica, o «l’Amante di Lady Chatterley», che nel 1928 fu considerato osceno e offensivo al comune senso del pudore. O ancora a film come «Ultimo tango a Parigi» che più che essere un film pornografico o erotico e soprattutto drammatico.
Per gli appassionati del genere, si segnala che la casa di produzione Lobsters ha selezionato 16 piccoli film porno, provenienti da collezioni private e ora raccolti in Dvd, che a inizio secolo venivano diffusi nelle case di tolleranza. Si tratta di film muti con cartelloni di commento, benché di dialoghi, allora come adesso, non ve ne siamo poi molti. Il quotidiano francese Libération ne pubblica due di questi sedici e li presenta come delle vere e proprie chicche a testimonianza del debutto della pornografia del XXesimo secolo. I titoli lasciano poco all’immaginazione: «Soeur Vaseline» - storia di una monaca molto boccacesca e di un ménage à trois tra la religiosa, un contadino e il frate conventuale - e «Chez le docteur» un grande classico del triangolo dottore-paziente-infermiera.
Ma in tutto questo qual è la posizione delle femministe? Diciamo che si dividono su due fronti: quello che considera la pornografia un aspetto positivo e cruciale della rivoluzione sessuale e che ha portato alla liberazione della donna e quello che considera la prospettiva "liberazionista" della pornografia puramente illusoria, affermando invece che la visione della donna viene così danneggiata e imprigionata in un pensiero sessista che la riduce a oggetto fino a trasmetterne un'immagine degradata della stessa.
Ovviamente questo è un tema su cui è difficile che qualcuno esponga palesemente il suo pensiero, soprattutto le donne, ma l’impennata dei siti web dedicati all’argomento, ampiamenti frequentati da uomini e donne, dovrebbero darci il polso della situazione, soprattutto considerando che sempre più spesso vengono diagnosticate “dipendenze da pornografia”. Un allarme sociale quasi quanto quello della ludopatia.
Anna Rita Pinto
30.03.2022