Il commento del prof. Ermes De Mauro per la dichiarazione del Ministro Sangiuliano: Dante è di destra.

“Non riesco a spiegarmi come ad un ministro della Repubblica, per giunta della cultura, possa essere  venuto in mente di pronunziare una corbelleria così planetaria.

 

Innanzitutto ai tempi di Dante le due categorie di destra e di sinistra non esistevano, per cui il ministro, esperto dantista, avrà forse confuso una posizione ideologica con un semplice aggettivo spesso presente nel Poema:

"poi ch'a la man destra si fu volto" ( inf. IX, 132);

"Chiron si volse in su la destra poppa" ( inf. XII, 97);

"I'mi volsi a man destra, e puosi mente" ( pg. I, 22)

"a destra mano d'i nostri successor" ( pd. 27, 46).

Essere di destra, invece, significa possedere e proteggere situazioni privilegiate, che non guardano ai bisogni della povera gente e, se governanti, ancora meno, ( historia docet ) tutelano gli interessi delle classi meno abbienti dell'umanità sofferente, degli indigenti, favorendo gli evasori, i corrotti che continuano a crescere e ad essere sempre più  intoccabili.

Dante non ha voluto seguire " la compagnia malvagia e scempia" di quel gruppo di fuoriusciti che furono costretti a riconoscere colpe non commesse, pur di rientrare in Firenze; Dante affrontò l'esilio non dorato come quello di Cicerone, ma sofferto, costretto come fu a chiedere il pane alle varie corti:

" tu lascerai ogni cosa diletta

  più caramente; e questo è quello strale

  che l'arco de lo essilio pria saetta.

  Tu proverai sì come sa di sale

  lo pane altrui, e come è duro calle

  lo scendere e 'l salir per l'altrui scale."

  ( pd canto XVII - vv. 55/60)

Ed è lo stesso Dante, che, da francescano conventuale volle essere sepolto col saio.

Non c'è poesia più alta, nè contenuto più nobile dei versi dell'XII del Paradiso, in cui Dante esalta la povertà, prima sposa di Cristo e poi di San Francesco.

Alla fine del canto VI del Paradiso, dietro al volto di Romeo di Villanova, umile servitore, calunniato e poi cacciato dal suo padrone, spunta il volto di Dante exsul immeritus.

Il Poeta, paladino della giustizia, durante il suo priorato, non favorì le classi ricche, ma diede un esempio luminoso di difesa delle classi sociali diseredate, e non esitò a mandare in esilio il suo migliore amico, in ossequio ad un principio di rigorosa ed indefettibile legalità.

Affrontò coraggiosamente anche l'alterigia del ghibellino Farinata dopo tanto spargimento di sangue guelfo nella battaglia di Montaperti.

Nel suo " itinerarium mentis ad deum" incontrò personaggi umili, talora amici, con commovente cordialità: Ciacco, cui chiede notizie di Firenze; Belacqua, il pigro che si rifiuta di intraprendere la via della purificazione. L'Alighieri non ha paura dei papi corrotti, per cui saluta con gioia l'elezione al soglio di Pietro l'elezione di Celestino V, l'eremita, che avrebbe dovuto riportare la Chiesa alla purezza evangelica e che dopo breve tempo abdicò, cedendo alle lusinghe di Bonifacio VIII:

" che fece per viltade il gran rifiuto"

  Inf. III, v.60

Questi era nemico acerrimo di Dante che lo pone naturalmente nell'Inferno, perchè prometteva il Paradiso in cambio delle indulgenze "in articulo mortis", lautamente remunerate.

Questi è Dante, e può essere il SOMMO POETA

considerato un uomo di destra? Di quella destra che impone balzelli insostenibili e che ha umiliato e fiaccato un grande popolo dal 28 ottobre 1922 al 25 luglio 1943  generando una feroce dittatura. Se il Fascismo non fosse una cosa seria, rideremmo delle parole del ministro, al quale consiglierei di far propria, invece di pontificare, la seguente riflessione del sornione e saggio Manzoni:

 "Pesar le parole, dirne poche, che a star zitti non si  sbaglia mai. "

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