Settima puntata – Un quadretto mesagnese del 1923 di Domenico Urgesi
Sull’Avanti! dell’11 agosto 1923, una corrispondenza anonima ci offre un gustoso “quadretto di ambiente”.
Vedremo, a suo tempo, che le notizie presenti in questo articolo troveranno riscontro in un memoriale del 1945, firmato da un fascista, e in altri documenti; ma è bene chiarire subito che sono fonti ben distinte. Leggiamo:
“La situazione a Mesagne
Mesagne 10.
Trovandomi a Mesagne per affari ho avuto l’occasione di avvicinare un vecchio compagno, e per sapere qualche cosa, senza tanti preamboli gli domando:
— I fascisti che fanno?
— Sono in rumore fra di loro. Vi sono fascisti della prima e della nuova giornata. I primi che pretendono la privativa del patriottismo o che vantano di essersi, nei giorni della rivoluzione di ottobre, esposti contro l'orda bolscevica. I secondi che pretendono loro la privativa del patriottismo perché combattenti, o mercé l’appoggio di alcuni dirigenti la locale Cooperativa, un tempo rossa, vantano l'appoggio di una parte della massa. I vecchi fascisti rimproverano ai nuovi di essere dei fascisti rossi avendo inclusi nel Direttorio, del quale domenica scorsa sono state fatte le elezioni, due iscritti alla Cooperativa (leggi due socialisti, ma quando mai sono stati iscritti al Partito?), mentre ai vecchi fascisti è stato dato un solo posto mostrando così di averli tenuti in poca considerazione pei sacrifizii compiuti.
— Chi sono gli esponenti della nuova combinazione?
— Elementi conosciutissimi del paese per il loro arrivismo ed opportunismo. L’esponente principale, che ha sudato camicie per far varare quel mostriciattolo uscito domenica dalle urne, è l'avv. Felice Profilo, in fregola per la medaglietta, che, poverino, non poté nel 1921 tentarne la conquista quale candidato nella lista dell'on. Grassi, causa il tradimento di alcuni suoi fidati amici, che precedentemente aveva sostenuti nelle elezioni amministrative. Un altro esponente, ma di second’ordine, è l'avv. Pasimeni, presidente dei combattenti, ma che la guerra ha combattuto negli ampi uffici dei Tribunali di guerra, in cerca anche lui di un seggio sindacale sfuggitogli nella passata amministrazione, quando tentò di dare lo sgambetto al defunto avv. Giovanni Profilo (quindi Armando Ricci occhio al lupo) o di qualche posticino in Consiglio provinciale. Un terzo è certo Facecchia, contadino e, per giunta, analfabeta, presidente della locale Cooperativa, che ha imparato bene a fare il Fregoli credendo nella sua povera mente di essere così utile alla causa dei suoi compagni di lavoro. Un quarto è il dott. Rizzo. Ma scusate, chi è questo signore? Di dove è venuto? Nessuno a chi domandi ti sa dare notizie precise di così alto personaggio che ha assunto la direzione del fascismo locale. Si dice che è stato per il passato un esponente del Partito popolare. Noi mesagnesi portiamo sempre in trionfo i forestieri. Degli altri non ce ne occupiamo, sono delle figure che non hanno nessuna voce in capitolo come suol dirsi.
— E le condizioni del nostro Partito?
— Ottime sotto ogni aspetto. Abbiamo una forte Sezione composta di buoni elementi ed un gagliardo Circolo giovanile. Il sentimento socialista è sito nella massa, prova ne sono le sottoscrizioni pro «Avanti!» e pro «Gioventù», e la vendita dei francobolli pro-vittime politiche.
L’«Avanti!» è letto avidamente come pure «Gioventù» [si tratta del periodico «La gioventù socialista: organo della federazione nazionale giovanile socialista»], «Asino» e «Cuore». Sono i giornali che vengono in maggior numero di copie e vanno a ruba.
Insomma il socialismo non è morto, come si vuol far credere, nella nostra massa. Essa per amor di pace e di pane tutto subisce, ma nelle coscienze dei forti lavoratori è sempre viva la fiamma del nostro ideale.
Infatti, iscritti per forza al fascio, non hanno voluto infangare la loro coscienza e nelle elezioni del Direttorio fascista di domenica si sono astenuti in massa, mentre altri costretti a votare, non sapendo soffocare l’impulso della loro fede, hanno dato i loro voti ad un nostro compagno, che né colle minacce, né colle lusinghe, né col manganello, cedette per un sol momento alla nostra fede nel socialismo.
Ed a lui sono rivolti oggi i palpiti dei nostri contadini perché sotto la sua guida sperano – presto o tardi, ma avverrà – di innalzare quella rossa bandiera che altri, con un atto di incoscienza e di servilismo, ammainarono.
Siamo animati da una fede e vinceremo”. Interessante, no?
* * *
In questi giorni, abbiamo scoperto che Marchionna Vito era il bisnonno dell’avvocato Manuel Marchionna. Ne abbiamo parlato (in riunione c’erano anche Maria De Mauro, Libera Clemente e Fortunato Sconosciuto) con Vito Marchionna junior, nipote diretto del fuoruscito, il quale ci ha confermato che suo nonno era effettivamente fuggito a Parigi, ma poi era rientrato, e si era sposato con De Nitto Carmela. Vito junior ci ha raccontato che il nonno gli parlava di Di Vittorio, Semeraro, Terracini, Pintor. Ha poi avanzato l’ipotesi che l’altro fuoruscito, De Nitto Antonio, fosse imparentato con sua nonna Carmela.
Aggiungo, per quanto riguarda De Nitto Antonio, che forse era il De Nitto del quale parla Aldo Marangio nel libro curato da Damiano Franco e Enzo Poci sulla Unione Cooperativa dei Lavoratori, alle pagine 148-49. Ne sintetizzo alcuni brani. La scena si svolge la mattina del 27 luglio 1943, il luogo è piazza IV novembre, Mesagne.
Il possidente don Cosimo Biscosi «…passeggiava su e giù facendo bella mostra del distintivo fascista all’occhiello, con il frustino sotto l’ascella. Ad un certo punto gli si avvicinò Antonio De Nitto (Ntunucciu lu Chitanna) che di colpo gli intimò di togliersi il distintivo, l’altro fece il gesto di impugnare la frusta, ma Antonio, con la rapidità di una volpe, gli strappò il distintivo dall’occhiello e lo calpestò …». Apriti cielo!
Ad Antonio si unì il fratello Peppino ed altri. «…don Cosimo riparò nel Circolo dei signori [oggi pizzeria “lu sitili”] e – continua il Marangio – …in quel frangente si trovò a passare Nanu “lu sciancamacchi”… Egli soleva spostarsi da un luogo di lavoro all’altro portando sulle spalle una scala… I fratelli De Nitto, fattasi dare la scala, la issarono all’altezza dell’emblema del fascio, sul palazzo di fronte alla farmacia Antonucci, dove era la sede locale del PNF. Antonio, salito in cima alla scala, con un colpo d’ascia, mandò in frantumi il grande simbolo del fascio…».
Sembra di vedere una scena tante volte proiettata dall’Istituto Luce; e ci piace immaginare che, nel famoso filmato, in cima alla scala ci fosse quell’Antonio De Nitto che, 20 anni prima, era fuggito in Francia con Eugenio Santacesaria e Sante Semeraro. (continua)