Fascismo e antifascismo – 8^ puntata – Gli squadristi di Mesagne nel 1922-24 (di Domenico Urgesi)
Come abbiamo accennato nella 5^ puntata di questa sintetica anticipazione della ricerca storica in corso, Santo Semeraro e De Nitto Antonio
erano stati vittime di tentato omicidio nel 1922 e di minacce a mano armata nel 1924. I reati non erano stati perseguiti, stante il regime fascista; ma, dopo più di un anno dalla caduta del fascismo, il procedimento fu avviato a seguito di denuncia presso l’Alto Commissariato per i crimini fascisti. Cosicché, nel dicembre 1944 furono imputati, abbiamo già scritto, 11 persone, accusate e imputate di far parte della “squadra della morte”. Il più eminente era senza dubbio Profilo Felice. Inquadriamolo brevemente.
-PROFILO Felice fu Antonio, nato a Mesagne il 13 settembre 1886, di professione avvocato. Costui (rileviamo da un memoriale autografo da noi consultato) era stato “segretario politico del fascio di Mesagne nei mesi di Ottobre-Dicembre 1923”; poi, dal gennaio 1924 era passato alla Federazione di Lecce e dal maggio 1924 ne era diventato segretario. Tenne questa carica fino al mese di Gennaio 1925. In quel periodo – non lo trascuriamo – il territorio brindisino faceva parte della provincia di Lecce. Nel 1926, come dichiara egli stesso, fu “assunto dalla confederazione degli agricoltori di Roma ed assegnato alla provincia di Lecce”. Nel 1934 entrò a far parte della Corporazione della chimica e, in rappresentanza di questa, nel 1939 fu nominato Consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Per chiarezza, la Camera dei Fasci (fatta di personaggi nominati da Mussolini) aveva sostituito la Camera dei Deputati (di natura elettiva). Nel frattempo il Profilo aveva ricevuto un importantissimo incarico presso il quotidiano «La Gazzetta del Mezzogiorno». In questo periodo (anni ’30) il segretario del PNF era il salentino Achille Starace (dal 1931 al 1939), legato al Profilo da stretti rapporti di comparaggio.
Ci soffermeremo su questo avvocato mesagnese più in là con la ricerca, ma intanto dobbiamo aggiungere che era uno dei figli del famosissimo storico Antonio Profilo, avvocato liberale. E non possiamo non notare che, utilizzando gli strumenti classici del notabilato, una forte base di massa aveva avuto Antonio Profilo, che fu Sindaco di Mesagne nell’ultimo decennio dell’Ottocento.
Il figlio Felice, pur con l’esplosione del movimento socialista a Mesagne e la crisi del notabilato, godeva anch’egli di una buona massa di manovra, come vediamo dall’elenco dei complici nel tentato omicidio ai danni di Sante Semeraro e De Nitto Antonio, i quali furono più fortunati di Peppino Di Vagno, assassinato un anno prima a Mola di Bari. Evidentemente, laddove il sistema clientelistico notabilare non riusciva ad ottenere l’abnegazione dei lavoratori e dei democratici, nel primo dopoguerra si pensò bene di utilizzare le maniere forti.
È noto che l’utilizzo dei mazzieri era comune già nel primo decennio del ‘900, quello giolittiano. Famosissima la definizione che Gaetano Salvemini attribuì a Giolitti nel 1910: ministro della malavita. Ma l’uso della violenza, da parte dei proprietari terrieri, non aveva nel 1910 i caratteri di un movimento politico, né quelli di uno strumento militare volto al predominio politico. Fu questo il salto di qualità, che fu compiuto dopo la Prima Guerra Mondiale.
Lo squadrismo fu anche un intreccio tra grandi fenomeni politico-sociali e le esperienze individuali degli ex-combattenti. Ma esso fu lo strumento primario per la presa del potere da parte di Mussolini; la violenza militaresca su braccianti, operai, sindacati, partiti democratici, servì al fascismo per legittimare la propria potenza di fronte alla forza pubblica. E fu lasciata indisturbata, nella maggior parte dei casi.
Una volta preso il potere, uno dei primi atti di Mussolini fu di far scarcerare i suoi accoliti. Per questo, V. E. III concesse l’Amnistia per i delitti compiuti “per un fine nazionale”, ossia in “difesa della patria”. È in questo quadro che si colloca la nascita e l’opera delle squadre fasciste anche a Mesagne, illuminata dai pochi documenti sopravvissuti fino a noi.
«REGIO DECRETO 22 dicembre 1922, n. 1641, che concede amnistia e indulto per reati comuni, militari e annonari. Art. 1: È concessa amnistia per tutti i reati preveduti nel Codice penale, nel Codice penale per l’esercito, nel Codice penale militare marittimo e nelle altre leggi, anche finanziarie, commessi in occasione o per causa di movimenti politici o determinati da movente politico, quando il fatto sia stato commesso per un fine nazionale, immediato o mediato.».
Nella relazione al Re, il Ministro della Giustizia del I Governo Mussolini motivava l’amnistia con la necessità di: «… coprire dell’oblio l’azione dell'individuo che, illegittima nella forma, sia animata da un fine coordinato e cospirante con le finalità statali; ma non può consentirsi che lo Stato abbia a conoscere e praticare clemenza di fronte a colui che agisce delinquendo per abbattere l'ordine costituito, gli organi statali e le norme fondamentali della convivenza sociale…». Oggi diremmo un’amnistia ad personam: per i fascisti sì, per gli antifascisti no.
E questa prima amnistia chiarisce, per chi pensa che V. E. III non sia stato connivente con Mussolini, quanto la monarchia sia stata responsabile dell’offesa allo Stato di diritto, fin dal principio. La successiva amnistia, di pari tenore, fu concessa il 31 luglio 1925 (Regio Decreto 1277) agli autori dell’uccisione di Matteotti. (continua)
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