22 maggio 2023: 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni di Ermes De Mauro

Ci sono cause remote che si annidano e poi riemergono sempre e di cui bisogna tener conto se si vogliono giustificare,

o almeno comprendere, le notevoli e numerose devianze neuropsichiche del Manzoni.

Egli aveva appena 6 anni, quando fu messo dai genitori, già divisi e in procinto di separarsi legalmente, nel collegio dei Padri Somaschi a Merate, collegio decoroso, ma grigio e malinconico, in un borgo squallido, che non piacque mai ad Alessandro, come gli furono in odio i collegi successivi a tal punto da suggerirgli i versi:

" nè ti dirò com'io, nodrito

insozzo ovil di mercenario armento,

gli aridi bronchi fastidendo e il pasto

dell'insipida stoppia, il viso torsi

dalla fetente mangiatoia; e franco

m'addussi al sorso de l'ascrea ruvida fontana.

Come talor, discepolo di tale,

cui mi sarà vergogna esser maestro

mi volsi ai prischi sommi; e ne fui preso

di tanto amor, che mi parea vederli

veracemente, e ragionar con loro".

Nessuna meraviglia, quindi, se poi ci troviamo difronte ad un Manzoni seriamente malato, che diventa col passar degli anni sempre più nevrotico, un po' balbuziente, anche fisicamente instabile, incapace di camminare da solo e sempre bisognevole del sostegno del fedele figlio Pietro, che per tutta la vita fu la sua ombra costante.

Anche il comportamento con i figli e le figlie fu molto spesso, a dir poco, discusso, anaffettivo, specialmente con la piccola Matilde, l'ultima figlia, che, morente, scriveva al padre lunghe e appassionate lettere che non suscitarono in quel genitore alcun moto dell'animo.

Ma forse questo è il destino degli uomini grandi, la cui opera poi oscura i limiti e anche le loro colpe per riassurgere alla meritata gloria imperitura, grazie alla quale oggi li ricordiamo.

Il Manzoni, per altro, dopo il ritorno alla fede dei padri, fu sempre aggredito dal dubbio del soprannaturale, altrimenti alcuni versi dell'Adelchi, gli ultimi, non avrebbero ragione d'essere.  Adelchi muore, enunciando una visione della realtà radicalmente pessimistica. La Storia è per lui dominata dalla violenza e dall'ingiustizia; dalla vita terrena è scomparso il diritto, nè vi è spazio per imprese generose; perciò nel mondo " non resta che far torto o patirlo".

Sono parole terribili per un cattolico che scriverà

"La Pentecoste".

Il problema vero è che troppo spesso si dimentica che il Manzoni vuole essere uno storico e lo è; dice nella lettera a Monsieur Chauvet: " mano a mano che il pubblico vedrà più chiaro nella Storia, la amerà sempre di più, e sarà disposto a preferirla alle finzioni individuali..." e ancora: " così, ogni poeta che avrà rettamente compreso l'unità di azione, vedrà in ogni soggetto la misura di tempo e di luogo che gli è propria; e, dopo aver ricevuto dalla storia un'idea drammatica cercherà di renderla fedelmente, e potrà da allora in poi, farne risaltare l'effetto morale."

Sulla lucida razionalità dello storico, del poeta e dell'uomo Manzoni si eleva poi la voce della poesia, quella del coro che accompagna l'infelice regina Ermengarda a godere della luce del cielo dopo le sofferenze terrene o quella del diacono Martino, in cui impeto lirico, nitore di rappresentazione, intensità e motivazione lirica, lo fanno apparire il terzo coro dell'Adelchi. Ben 90 endecasillabi sciolti, vivi di accenti drammatici, che Luigi Russo ha definiti coro della solitudine religiosa della montagna che, pur nella stessa sua paurosa sterminatezza, parla della potenza e della presenza di Dio."

Secondo il Russo, di certo uno dei più sereni e profondi interpreti di tutta l'opera manzoniana, " I Promessi Sposi" sono la più alta opera di oratoria e di poesia. Questo giudizio, ovviamente, ha poco a che fare con la poetica del vero, perchè lo stesso autore rinnega il Romanzo, non nel senso che non l'abbia scritto lui, ma nel riconoscere che la rigorosa poetica del vero storico non poteva applicarsi ai Promessi Sposi o ad altre opere del genere.

Ed allora, senza negare la presenza della Storia, che è al fondamento di tutta l'opera manzoniana, con quel rigore logico e con lo scrupolo dello storico, che certamente non gli facevano difetto, l'autore ripiega sulla teoria che il romanzo storico si nutre di storia e di invenzione, e chiama romanzesche quelle vicende che non sono riconducibili alla ferrea logica della Storia, ma all' invenzione che il Manzoni inserisce nel tessuto del racconto. Cosi facendo potremmo dire che in qualche modo forse ci rimette la Storia, ma ci guadagna certamente la Poesia.

Concludendo, in giorni di così immane tragedia per le popolazioni fraterne dell'Emilia e della Romagna, sia di buon auspicio l'ultima strofe del secondo coro dell'Adelchi:

"...............................così

dalle squarciate nuvole

si svolge il sol cadente,

e, dietro il monte, imporpora

il trepido occidente:

al pio colono augurio

di più sereno dì."

 

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