Torna il topo di biblioteca con il Codex Calixtinus.
«Dove eravamo rimasti?». Se lo sono chiesto fior di giornalisti, maestri insigni, quando hanno ripreso cammini traumaticamente interrotti.
Può chiederlo anche un “Topo di biblioteca”, riaprendo il suo blog interrotto qualche giorno dopo il 20 ottobre 2011? «Dove eravamo rimasti», senza scomodare eroismi di autori, lo dice anche l’uomo della strada, o una nonna davanti al focolare, riprendendo una conversazione interrotta. Riprendendo a scrivere di libri, dunque, a quell’uomo comune ci si vuole paragonare, magari pensando anche ad una vecchina, che sferruzzava, spezzava il filo di lana all’occorrenza ed era pronta a riannodarlo a ciò che restava del gomitolo.
Se quindi sembra lecito chiedere dove era stato interrotto il discorso, sembra opportuno riprenderlo proprio da quel punto e poi, se una brutta notizia aveva turbato il “topo di biblioteca” che un po’ alberga in ciascuno, una bella notizia deve necessariamente fare da apripista, soprattutto perché l’oggetto è sempre lo stesso: il Codex Calixtinus.
«Codex Calixtinus: il furto del secolo?» è stato l’ultimo intervento del Topo di biblioteca il 20 ottobre 2011, appunto, quando si parlò di quanto era accaduto il 7 luglio precedente ed ora si riparte, considerando che quel prezioso documento è stato ritrovato il 4 luglio dell’anno successivo. «Cela a tout l’air d’un miracle», ha scritto uno dei più noti giornalisti francesi, Sandrine Morel, su “Le Monde”. Già, un miracolo. Peraltro determinatosi con l’arresto di quattro persone, un elettricista (che aveva lavorato per 25 anni nella Cattedrale di Santiago de Compostela ed era stato licenziato qualche tempo prima), sua moglie, il figlio e la fidanzata.
«La polizia sospettava da tempo sulla famiglia, tanto che nelle ultime perquisizioni aveva trovato in una delle abitazioni monete ed antichità provenienti dalla Cattedrale oltre che un milione di euro», hanno riferito le cronache di quei giorni ed il Codice, infatti, fu ritrovato in un garage du Milladoiro, distante 5 chilometri appena dalla città della Galizia. Non solo, abbiamo letto che furono trovati anche altri oggetti e manoscritti, tra i quali – ce lo ha detto proprio Morel - «un précieux livre d’heures»: un libro d’ore.
Ed il Topo, invece, cos’ha fatto un questi due anni e cinque mesi? Ha pensato bene di prendere in mano la prima edizione italiana integrale del Liber Santi Jacobi – Codex calixtinus (sec. XII), pubblicato dalle edizioni Compostellane: oltre 600 pagine, datate 2008, che, con traduzione di Vincenza Maria Bernardi, godono della presentazione di Paolo Caucci von Saucken.
Sarà stato certamente determinante l’animo lieto col quale si è letto questo libro per il ritrovamento del Codice, in ogni caso, attraverso quelle pagine, stando seduti in poltrona, non solo si è fatto un itinerario geografico paragonabile al Cammino, ma soprattutto un lungo viaggio con la mente verso orizzonti ben più ampi. E si va indietro nel tempo, fino alla metà del XII secolo, quando sulla cattedra compostellana siede un vescovo intraprendente; Gelmírez. Si va alle origini di questo codice «risposta ufficiale ed istituzionale», dice Caucci von Saucken, al desiderio di tanti pellegrini «di conoscere tutto ciò che riguarda il culto, la presenza a Compostella del corpo di San Giacomo, i suoi principali miracoli, le strade per giungere al suo santo sepolcro, i legami con Carlo Magno e i suoi paladini di cui hanno sentito parlare durante il percorso…»; si va ai miniatori anglo-normanni, che impreziosirono le pagine con bellissime immagini.
Si va soprattutto ad Aimerico Picaud (sembra il nome del protagonista di un romanzo storico ambientato nel Medioevo) che – sono parole di Caucci von Saucken - «raccoglie, seleziona, coordina e integra, per espresso incarico della curia compostellana, i testi che maggiormente sono utili a tale scopo». Cura redazionale, diremmo oggi? Molto di più. A ben pensare. Aimerico Picaud, nel suo “piccolo” (ma quanto piccolo?), fece ciò che tra il 1125 ed il 114° fece il monaco Graziano per le leggi della Chiesa, elaborando «un regesto canonico, ossia una raccolta sistematica di diritto…conosciuto cvon il nome di Decreto». Quella «Concordia discordantium canonum» - che «l’uno e l’altro foro/ aiutò si che piace in paradiso», secondo Dante (Par., X, 104-105) – rese immortale l’autore, ma anche Aimerico si è rivelato uomo da farsi ricordare nei secoli, tanto è vero che, seppure con “tagli” e separazioni alla sua opera fino al 1996, questa ha resistito all’ingiuria del tempo ed all’oblìo.
«Il Liber Sancti Jacobi fin dall’inizio è stata una fonte ineludibile per il pellegrinaggio compostellano e una pietra angolare per gli studi e per la sua comprensione», ha scritto ancora Caucci von Saucken, ricordano come «già nel 1172, Arnaldo de Monte, monaco di Ripoll, lo copiò per il suo monastero, stabilendo così anche la data ante quem della redazione».
A questo punto, tuttavia, è davvero gratificante per la mente “tuffarsi” nel Codex e se non a tutti possono interessare i testi liturgici del Libro primo, tutti si soffermeranno, invece, sui «Ventidue miracoli di san Giacomo» e resteranno allibiti a leggere la narrazione del «pellegrino caduto in mare, che l’apostolo condusse in salvo reggendogli per tre giorni la testa» o la breve cronaca del «cavaliere che l’apostolo guarì dalla sua malattia con il contatto della conchiglia». Ed ecco quindi il terzo e quarto libro con la «traslazione del corpo di san Giacomo» e «La storia di Turpino».
Scorrono gli occhi sulle righe del libro e scorre nella mente un film dei paladini: si vede Carlo Magno, «la battaglia di Roncisvalle», il «Martirio di Orlando e degli altri combattenti»… E poi ecco «la morte di Carlo Magno», «il miracolo che Dio si degnò di compiere per Orlando nella città di Grenoble», «la morte di Turpino e il ritrovamento del suo corpo».
Ma il tuffo finale è riservato alla lettura del Libro quinto, «La guida del pellegrino», che letto in italiano ha il gusto della vicinanza dell’evento garantito da una lingua corrente. E dire che proprio il Libro quarto, per un paio di secoli e fino al 1966 appunto, fu epurato perché ritenuto poco affidabile come fonte storica.
A libro chiuso, il Topo di biblioteca tira davvero un sospiro di sollievo, non solo perché tra il Cammino di Santiago e i fatti di Roncisvalle l’ha scampata bella, ma perché pensa al tesoro ritrovato. E corre a tirar dagli scaffali un bel libro giallo. Ecco, pensa, i giallisti dovrebbero rivedere le loro posizioni in nome di San Giacomo apostolo e, se fu sir Artur Conan Doyle a raccontare ne «Le memorie di Sherlock Holmes» (1893) che il maggiordomo fu colpevole di tradimento e furto, qui bisognerà trovare una degna penna che, invece di esclamare «The butler did it!», dicesse piuttosto che il colpevole è sempre uno di famiglia, magari… l’elettricista.
Angelo Sconosciuto