E Puglia sia. Due sillabe di luce in carne e ossa. Punto. Gli amici della poesia incontrano Lino Angiuli (G. Galeone).
Partire dalla propria terra di origine per mettere in versi o in prosa poetica il mondo,
rivoltarlo come un calzino, volgere lo sguardo verso le realtà umiliate e dimenticate, resistere all’omologazione dirompente, dare nuova linfa espressiva attraverso una lingua brillante, acrobatica, ironica.
Sembra essere questa la linea portante di OVVERO (Nino Aragno Editore) titolo non casuale e intrigante dell’ultima raccolta del poeta monopolitano Lino Angiuli, il poeta degli “incroci”, dal nome della rivista semestrale di letteratura da lui diretta da ormai un quindicennio. Ovvero, una congiunzione che in ogni sezione in cui è divisa il libro, indica una possibile doppia alternativa di intitolazione. Così si va da “Qui ovvero cinque ragioni per stare” a “Canzoniere del giorno ics ovvero ventiquattro ore tra ieri, oggi e qualche spezzone di domani”; da “Quattro per quattro ovvero sedici incroci tra lo spazio e il tempo” a “Cartoline ovvero dieci saluti dall’aldiqua”.
Una pubblicazione stimolante e quanto mai densa di cui si parlerà e si leggerà, in presenza dell’autore, sabato 13 febbraio a Mesagne, a partire dalle 17,30 nella sede di Cabiria-Cinescript in Piazza Orsini del Balzo, a cura dell’Associazione Amici della Poesia – Unozerouno. La serata è stata intitolata con un verso di Angiuli: “E Puglia sia. Due sillabe di luce in carne e ossa. Punto.”
Il lavoro di Angiuli che giunge a questa pubblicazione dopo numerose altre prove, appare mirato e meticoloso, una ricucitura di testi già apparsi e in parte rimodellati e poesie inedite, segno di una progettualità meditata e orientata, così da porre dei punti fermi in modo che la sua elaborazione sia ben compresa nelle linee di fondo.
Colpisce nelle opere dello scrittore pugliese l’invenzione linguistica, una scrittura in cui si coniuga tradizione e sperimentazione, “se ci penso certe idee da orchi possono essere orchidee i vecchi cercano penombra per stare all’ombra del pene e la mia stanza come un circo è una bella circostanza: non m’accorgo mai se le parole mi prendono in giro.” Ma Angiuli ha la capacità di offrire al lettore un flusso continuo di sensazioni tangibili, impastate con impressioni rivenienti dalla dimora mediterranea o dalle peculiarità dei paesi di provincia. Ne viene fuori una poesia e prosa poetica imprevedibile, dal ritmo coinvolgente, ma sempre ben sorvegliata, con un richiamo onnipresente al Sud, ma non il Sud da cartolina o delle degenerazioni malavitose di tanti film, bensì il Sud delle radici che si alimentano del passato, della nostra indimenticata civiltà contadina.
Eppure/sappiamo mettere una pietra affianco all’altra/sappiamo conversare col maestrale che/incazza il mare cambiandogli le idee/sappiamo come prendere per mano un oleastro/ e battezzarlo in nome del mediterraneo noi/. Con una cifra stilistica assai originale, ma che resta comunicabile e spaesante, Angiuli parte dal suo Qui: “E Puglia fu in carne e ossa/figlia d’un dio che sa il fatto suo/che riempie un bel barattolo d’azzurro/poi ce lo svuota sano sano dentro l’occhio/una goccia dopo l’altra/così possiamo dargli almeno un nome/agli orizzonti che a centinaia vengono/a trovarci in questo luogo senza porte”. Ma oltre a cantare il suo mondo contadino evitando però la deriva della terra sofferente, disperata e disperante, anzi nel poeta la campagna acquista una dimensione quasi salvifica, rassicurante, Angiuli sa anche prestare orecchie al dolore di altre latitudini: “tutto quello che ho da dire l’ho vissuto a partire da/ questa brandina di terra leccata dal mediterraneo/un mare di facce diverse che vennero e vengono a/ farci visita con la pancia vuota in cerca del maltolto/non bastano le mammelle di ficodindia ad allattare/questi parenti della mezzaluna che oggi bussano/alle porte del mare per prendere posto alla tavola su/cui smerciano rapine i mangiamangia del mondo…..”
Non mancano i toni surreali o di un realismo declinato in forme felicemente ironiche come nel “Canzoniere del giorno ics”, una sezione nella quale Angiuli scandisce le sue 24 ore con un numero crescente di righe da uno a 24, tante righe quanto l’ora corrispondente: “Alle cinque il giorno parla il dialetto della saracinesca la bicicletta di gino gira attorno al suo vecchio amore mentre un ciccillo sputa catarro nella casettaincanada in faccia alla morte siddharta canta apritelefinestre poi s’assetta e coglie un bell’acino di luce ad occhi chiusi.”
Nelle sue pubblicazioni, sempre aperte e ben disposte verso il lettore, Lino Angiuli si destreggia tra neologismi, accostamenti spiazzanti. divertissiment, irridendo ogni paludata e autocompiaciuta seriosità letteraria, con la consapevolezza di chi sa di avere qualcosa da dire, ma soprattutto di sapere come dirlo.
Giovanni Galeone