…e il notaio Goffredo da Nocera venne a Mesagne per l’Arcangelo Michele (di Domenico Urgesi)

Nella Chiesa del Carmine, a Mesagne, ci sono i resti di una iscrizione latina databile al 1305.

Essa si trova nella parte superiore dell’altare di S. Giuseppe, in parte ai piedi e alle spalle del cherubino/putto, in parte coperta dai decori barocchi. Alla sua destra, alla distanza di circa 60 cm, è sopravvissuta la testa dipinta di un “drago”, trafitta da una lancia.

In questo scorcio di dipinto appare, dunque, evidente il riferimento al culto di San Michele Arcangelo, a cui la chiesa era dedicata fino al 1521, quando fu affidata ai religiosi Carmelitani. Nella parte inferiore della pala d’altare, invece, si vedono i resti molto tenui di un dipinto più recente, raffigurante una Madonna con Bambino.

Nella cripta sottostante, su di una parete quasi in asse, sopravvivono i resti molto deteriorati di un dipinto in cui si vede un altro “drago”, con la testa trafitta da lancia e la parte inferiore, con le zampe dotate di artigli. La scarsità delle fonti documentali e la carenza della letteratura storica, in merito al culto dell’Arcangelo Michele in Mesagne, non ci aiuta a descrivere compiutamente queste preziosissime testimonianze.

L’iscrizione, o meglio ciò che ne rimane, potrebbe aiutarci a capire meglio le vicissitudini di questo edificio religioso, nonché il contesto di fede in cui esso è vissuto. Gli antichi cultori delle memorie cittadine (tra cui Epifanio Ferdinando, attraverso Ortensio De Leo) ce ne hanno tramandato un testo costituito da 14 righe, risultato illeggibile e incomprensibile per secoli. Verso la fine dell’anno 2016 appena trascorso, con le nuove tecnologie e con meticolosi rilievi ravvicinati, eseguiti dal sottoscritto e da Giuseppe Radaelli, con l’aiuto di Antonio Denitto e di Franco Delvecchio, sotto il vigile sguardo di padre Enrico Ronzini, abbiamo acquisito una nuova e più precisa trascrizione della parte tuttora visibile dell’epigrafe.

Si tratta di pochi righi, nei quali sopravvivono poche parole, perché la scritta è stata danneggiata nel tempo, specie durante i lavori eseguiti per realizzare la macchina d’altare barocca.

I rilievi eseguiti consentono di sciogliere i seguenti righi, partendo dal 7° al 14°:

R7: – – P(RE)CIB(US) DE– – – – – R

R8: – – GOPESIS • ORO

R9: – – –V P[L?]–(E?)(X?)

R10: NU                                  S–(O?)

R11: SEPTR(U)[M] [F]LORIGERUM

R12: LUMEN DE L(U?)–IHE VE      

R13: RUM MISSUM S(AN)C(T)ORUM ME

R14: DUCAS AD ALT[A?] P(O)[L][O]RUM

È da sottolineare che i primi 5 righi sono completamente coperti dal cherubino, mentre il 6° è quasi del tutto scrostato.

La corrispondenza dei righi visibili con la trascrizione tramandataci dal De Leo è abbastanza significativa. Quindi, sulla base di questi nuovi rilievi, si può ragionevolmente trasferire l’interpretazione delle lettere esistenti alla trascrizione tramandataci dal De Leo; e così abbiamo il seguente risultato finale (seppur provvisorio e parziale):

R1: ANNO D(OMI)NI MCCCV

R2: ME(N)SE IANU(I) IND HOC

R3: [P?]US – – – – NOTAR(IUS) GOFFRI(DUS)

R4: GRIM(– – – –) DE NUCERIA D(OMI)NO [oppure ANNO?]

R5: [IIII?] NS IUS[TICIA]RIAT – RE

R6: [[USNERENOR]?]     CUM

R7: P(RE)CIB(US) DE(SIS)       – – R

R8: – –GOPESIS • ORO

R9: [GENV]P[L?]–(E?)(X?)O   [PARMIS]

R10: C        ERE [][S](O)

R11: S[C?]EPTR(UM?)   [F]LORIGERUM

R12: LUMEN DE L[U]–IHE VE

R13: RUM MISSUM S(AN)C(T)ORUM ME

R14: DUCAS AD ALT[A] P(O)L[O]RUM

Ma che cosa vuol dire, questa scritta? Per quello che si può ragionevolmente interpretare, nel centro della scritta c’è una sequenza di formule religiose che si concludono con una invocazione, o una preghiera, fatta da qualcuno che chiede di essere condotto all’alto dei cieli (me ducas ad alta polorum). Al rigo5 si può ragionevolmente intravvedere la parola “giustizierato”, a cui segue l’espressione “con preghiere” (“cum precibus”); si può anche ipotizzare l’omaggio della deposizione di uno scettro florigero, ossia il simbolo del potere angioino. Queste parole suggeriscono una lettura molto suggestiva, ma bisognosa di ulteriori riscontri sia dal punto di vista documentale che da quello del contesto epigrafico

E chi è l’autore di questa preghiera?

Lo dicono i primi righi: si tratta del Notaio Goffredo (Grimoaldo?) da Nocera, nel 1305 venuto a Mesagne non si sa per quale scopo.

E a chi si rivolge, il notaio Nocerino? I righi mancanti non ci permettono di saperlo con estrema sicurezza; ma sembra che Notar Goffredo si rivolga a San Michele Arcangelo perché interceda presso il Signore Iddio (“lumen de lumine, ossia “luce dalla luce”).

Altro, al momento attuale, non si può ragionevolmente sostenere.

Quel ch’è certo è che la scritta si trova alla stessa altezza del drago, quindi ai piedi dell’Arcangelo Michele. L’immagine dell’uccisione del drago è presente anche nella cripta sottostante, per cui, si può pensare che, nel 1305, dove oggi è una chiesa dedicata alla Vergine del Carmelo, vi fosse una costruzione (un santuario?) dedicata al culto dell’Arcangelo Michele.

Sappiamo, da altre fonti, che la Via Appia passava proprio nelle vicinanze di questo santuario; sappiamo pure che nello spiazzo antistante la chiesetta, si svolgevano da tempo immemorabile piccoli commerci, poi assurti al rango di fiere in epoca sveva.

Possiamo quindi immaginare che nei primi anni del ‘300, anni di grande sviluppo economico e demografico (almeno per tutta la metà di quel secolo) ci fosse un bel traffico di viaggiatori e commercianti in quel tratto di strada posto sulla via Appia, a pochi chilometri dal porto di Brindisi, punto d’imbarco per il Medio Oriente. E non si può escludere che la sacra presenza di un tempio dedicato all’Arcangelo Michele esercitasse un forte richiamo. Ipotesi avvalorata dal fatto che nella lunetta posta sul portale occidentale della chiesa, siano evidenti i resti di un affresco indicante (ancora una volta) l’Arcangelo Michele (qui come pesatore delle anime).

Altri luoghi di culto dedicati a questo Arcangelo sono disseminati nel territorio brindisino, come in quello leccese e tarantino. Questa diffusione del culto micaelico è stata poi soppiantata da altri culti; ma per secoli è stato prevalente: Michele era un santo caro sia ai Longobardi che ai Bizantini; e non dimentichiamo che questo territorio fu dominato ora dagli uni ora dagli altri.

Domenico Urgesi (Presidente Società Storica di Terra d'Otranto)

 

Nota Bene: per ulteriori approfondimenti sul tema, si suggerisce di consultare la Rassegna Storica del Mezzogiorno, n.1/2016

http://www.sullarottadelsole.it/cultura-salentina/85-rassegna-storica-del-mezzogiorno-n1-2016.html

 

 

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