Le indicazioni di Papa Francesco per la chiesa italiana ed europea: “il Vangelo, senza cercare altro” per un superamento dell’era costantiniana

Fortunato Sconosciuto con il Gruppo Manifesto4ottobre.

https://manifesto4ottobre.blog/2017/05/28/le-indicazioni-di-papa-francesco-per-la-chiesa-italiana-ed-europea-il-vangelo-senza-cercare-altro-per-un-superamento-dellera-costantiniana/

Nell’incontro del 30 aprile sorso con l’Azione Cattolica Italiana Papa Francesco, alla fine del suo discorso, ha invitato gli associati all’impegno politico: “… mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la maiuscola!”. Il giorno precedente, nel corso della conferenza stampa durante il volo di ritorno dall’Egitto, ad una giornalista francese che gli chiedeva di offrire elementi di discernimento agli elettori cattolici francesi, tentati dal voto populista, in occasione della immediata futura elezione del Presidente della Repubblica, il Papa ha risposto: “… parlando dei cattolici: qui in Egitto, in uno dei raduni … uno mi ha detto: ‘Perché non pensa alla politica alla grande’. ‘Cosa vuole dire?’. E mi ha detto come chiedendo aiuto: ‘Fare un partito per i cattolici’. Questo signore è buono, ma vive nel secolo scorso!”

Si tratta di due passaggi che si completano a vicenda e sembrano emergere come un’ennesima sintesi che traduce nell’immediatezza del quotidiano analisi e indicazioni pastorali, da una parte sviluppate nei documenti e nei discorsi ufficiali, e dall’altra consumate in scelte di vita attraverso incontri con popoli, gruppi e persone con i quali condivide la fatica di ogni giorno.

Del resto l’invito a “entrare” in politica il Papa lo ha rivolto agli stessi “Movimenti popolari”, organizzazioni che non hanno un’ispirazione religiosa o ideologica identitaria, presenti soprattutto nei Paesi e nei Continenti più poveri; movimenti che si muovono sul terreno sociale, e ai quali ha riconosciuto una ricchezza propria legata alla loro capacità di esprimere “una forma diversa, dinamica e vitale di partecipazione alla vita pubblica”. E, ad evitare equivoci, nel discorso a loro rivolto durante il 3° Incontro Mondiale nel novembre 2016, ha sottolineato che partecipare alla vita politica significa“entrare nelle grandi discussioni”, porsi “sul terreno delle grandi decisioni”, a partire da quelle che “mettono in discussione la politica economica”, che“alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste”. E così arrestare ed invertire quel processo di atrofizzazione della democrazia, determinato dal rifiuto di considerare e promuovere le condizioni perché i popoli siano protagonisti nelle loro “lotta quotidiana per la dignità”, e dal ripiego su interventi di politica sociale che “sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema”.

Dal giorno della sua elezione il Papa, in varie forme e modalità, ha posto all’attenzione della politica, degli Organismi e della Istituzioni, nazionali e internazionali, le condizioni di vita drammatiche e devastanti che soffocano nella miseria la maggior parte degli uomini e delle donne che abitano il pianeta. E le ha chiamate per nome, le ha visitate, le ha fatte proprie, in una vicinanza reale e liberante con persone, associazioni e popoli, quasi a dare concretezza a quel sogno di “nuovo umanesimo” a cui spesso ha fatto riferimento, lontano dalle astratte dichiarazioni di principio. E nello stesso tempo ha offerto una indicazione fondamentale che forse si può considerare di metodo e di contenuto nello stesso tempo: l’urgenza di cambiamenti strutturali di un sistema economico-finanziario che uccide l’uomo e la vita va accompagnato all’urgenza di cambiamenti di mentalità dentro un orizzonte di solidarietà, che vuol dire prima di tutto un modo di guardare l’uomo, un modo di stare al mondo, la capacità e la scelta di guadagnare un orizzonte comunitario e sempre nuovo.

Tali riferimenti all’esercizio del “Ministero petrino”, nel contesto più ampio dei suoi documenti e pronunciamenti, pone comunque una domanda: come concepisce e propone il Papa il rapporto tra Chiesa e politica?

Certamente non è difficile scorgere che l’analisi di tale rapporto trae alimento dalle acquisizioni del Concilio Vaticano II, da vissuti e ricerche che, anche se in modo poco appariscente, hanno attraversato gli ultimi due secoli di storia della Chiesa, come da tradizioni e testimoni presenti nel corso di due millenni. Nello stesso tempo però esso incrocia un nodo dominante nella storia dell’“Europa cristiana” e dell’“Italia cattolica”, che probabilmente andrebbe portato ad un livello di coscienza popolare diffusa nella sua essenzialità, mentre forse continua a scorrere come traccia nelle loro vene.

Si tratta di un rapporto e di un nodo a cui il Papa ha dedicato un passaggio, carico di forza anche evocativa, nel discorso tenuto in occasione del conferimento del premio “Carlo Magno” il 6 maggio 2016: “Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deva contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo. Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che siano toccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercare altro”.

“Senza cercare altro”: tre parole che sembrano un macigno che rotola da tanto lontano, e nello stesso tempo sembrano un soffio leggero che lo scioglie. Tre parole che suonano, lette alla luce di quelle precedenti, come la certificazione della fine dell’“Era costantiniana”, un’espressione e un concetto usati per indicare quel processo, iniziato con l’Imperatore Costantino e sviluppato con il Sacro Impero di origine carolingia, attraverso il quale si è costruito, con modalità certamente diverse nel corso dei secoli, quel legame simbiotico tra chiesa, istituzioni, politica, cultura e civiltà che ha caratterizzato la storia del continente. E all’interno di questo legame si è sedimentata una modalità dominante con cui la Chiesa e i cristiani considerano il loro contributo alla vita sociale e politica e alle Istituzioni pubbliche.

Le tre parole del Papa sembrano rispondere a quella traccia costantiniano-carolingia ancora diversamente presente e che si esprimerebbe nella ricerca, da parte della Chiesa, di essere incisiva nella costruzione di una Europa culturalmente cristiana, mentre il suo contributo necessario e specifico dovrebbe essere ripensato in un’altra direzione, che è pur presente e va irrobustita nelle sue radici evangeliche: farsi carico di un destino comune di dignità concreta, discernere il senso delle vicende della storia, interpretarne dinamismi e rigidità, denunciare profeticamente le nuove forme idolatriche del potere e dei suoi volti.

Una declinazione italiana originale dell’”Era costantiniana” è stata poi, a partire dalla metà dell’‘800 fino ai nostri giorni, la sistemazione concettuale neo-guelfa della cultura cattolica nel nostro Paese. Il neo-guelfismo, rispondendo ad alcune sfide politico-culturali dei primi decenni dell’‘800, ha proposto l’identità tra nazione italiana e cattolicesimo. Giustificato dal ruolo del papato si è sviluppato il mito dell’Italia naturalmente cattolica e del Primato morale e civile degli Italiani. La cultura cattolica come identità e forza nazionale del Paese ha mostrato tuttavia una sua duttilità ed è stata utilizzata come riferimento, anche se forse in qualche occasione in modo strumentale, dai diversi e spesso contrastanti orientamenti politico-culturali che sono maturati nel movimento cattolico. Né si deve dimenticare che la Conciliazione del 1929 e il regime concordatario corrispondente furono in genere letti e giustificati, non certo da tutti, – basti ricordare le aspre critiche condotte da Luigi Sturzo – come una verifica storica della bontà della concezione neoguelfa della nazione, tanto da far dire a padre Gemelli che nel ’29 “era stato ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio”. E dopo la fine dell’unità politica dei cattolici nella DC se ne può scorgere traccia anche nel “Progetto culturale cristianamente ispirato” che la Conferenza Episcopale Italiana ha proposto e coltivato tra gli ultimi anni del ‘900 e il primo decennio degli anni 2000, là dove sembra data per scontata l’esistenza di una cultura cattolica, declinata rigorosamente al singolare e con una finalità decisamente identitaria, tale da poter esercitare la sua influenza sociale in uno spazio pubblico di confronto con altre identità culturali.

Il Papa, nel discorso rivolto alla Chiesa italiana a Firenze nel novembre del 2015 ha chiesto di fatto di rivedere questa impostazione neoguelfa, per taluni aspetti ancora presente come modo di concepire, da parte per lo meno di alcune espressioni del cattolicesimo, la propria identità e il proprio servizio alla Chiesa e alla società. Dopo aver chiesto a tutta la Chiesa italiana di puntare “all’essenziale” – l’annuncio della Buona Novella – ha voluto esplicitare il contributo delle culture alla realizzazione di un nuovo umanesimo: “La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media … La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti”. Concetto che ha di recente ripetuto nel discorso consegnato ai Vescovi italiani il 22 maggio: “… mescoliamoci alla città degli uomini, collaboriamo per l’incontro con le diverse ricchezze culturali”, perché “anche il miglior lievito da solo rimane immangiabile …; ci è chiesta audacia per evitare di abituarci a situazioni che tanto sono radicate da sembrare normali o insormontabili. La profezia non esige strappi, ma scelte coraggiose che sono proprie di una vera comunità ecclesiale”.

Un umile e profondo lavoro di ripensamento di mentalità e atteggiamenti è richiesto dentro queste parole e questo invito: un ripensamento diffuso e coinvolgente non affidabile a operazioni di vertice. E’ ancora e sempre più tempo di operai, dalla qualifica formativo-testimoniante permanente che non possono e non vogliono stare accomodati su nessuna certezza assoluta o acquisita una volta per sempre.

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