Neo-borbonici e liberali nell’era di twitter–4a puntata (Domenico Urgesi)

Uso e abuso della storia (4)

Abbiamo visto che il 4 luglio scorso, il Cons. Reg. Pugliese, con una discussione-lampo (6 minuti e 12 sec.) ha approvato, senza adeguata istruttoria e senza motivare lo scopo e le finalità, una mozione che impegna le finanze della Regione Puglia a spendere soldi e utilizzare risorse per ricordare le vittime filo-borboniche dell’Unità d’Italia. In questo modo, la Regione Puglia si è attribuito il merito di aver privilegiato l’opinione di un gruppo di connazionali neo-borbonici, trascurando gli studi e le ricerche di una lunga serie di storici (blasonati e non blasonati), e trascurando perfino la tradizione culturale e monumentale di molti Municipi e Città, tra cui Altamura (la “leonessa di Puglia”), Martina Franca, Gioia del colle, ecc.; trascurando soprattutto le molte migliaia di martiri pugliesi che furono vittime del dispotismo borbonico.

Si potrebbe aggiungere che la mozione sia stata improvvida per almeno 8 motivi:

1-Oscura tutto il dibattito sull’Unità d’Italia avviatosi sin dai tempi di Dante Alighieri;

2-Oscura i caratteri propri della partecipazione pugliese alla guerra civile italiana nell’Ottocento;

3-Oscura le colpe dei Borboni; e non chiama in causa quelle dei Savoia;

4-Amplifica il sentimento anti-nazionale e anti-solidaristico di questo momento storico; in favore di una confusa contrapposizione del Sud contro il Nord;

5-Conferisce uno status di “perseguitato” al movimento neo-borbonico; e quindi anche a quello leghista;

6-Propone tematiche (pur corrette e legittime) in maniera confusa e divisiva; pregiudicando un serio dibattito culturale;

7-Solletica un “orgoglio meridionale” che si va consolidando in maniera impropria, con il motto “Terroni” sulla propria bandiera;

8-Si rende strumento di un disegno il cui scopo ultimo è la disgregazione del tessuto che tiene insieme l’Italia, la rottura per la rottura.

Ora, in un Paese come l’Italia, dove ogni città, se potesse, si ergerebbe a repubblica indipendente, non mi sembra un risultato encomiabile.

Vediamo, da una rapida scorsa su internet, che analoghe mozioni sono state presentate nei Cons. Reg. di Abruzzo, Campania, Calabria, Sicilia, e in alcune città, quali Gioiosa Ionica (RC). Con minimo comun denominatore il 13 febbraio e come ispiratore Pino Aprile.

Appare quindi evidente che tutto questo fa parte di un disegno che travalica la Puglia; c’è forse una strategia culturale dei 5s?

Come ho già scritto nella puntata precedente, ho fatto una ricerca sul sito di Beppe Grillo, il portavoce, la cassa di risonanza,  ma non c’è niente. Una volta i partiti approvavano dei documenti, in cui descrivevano e argomentavano le loro linee politiche-programmatiche e ancora alcuni lo fanno. Questo vuol dire che la linea politico-culturale dei 5s è stata discussa in un ristretto gruppo, ed è a conoscenza solo di quel gruppo. È ciò accettabile in un sistema democratico? Domanda retorica, che ha una sola risposta possibile: si tratta di un programma clandestino. È la stessa cosa di cui i 5s accusavano il Parlamento; perciò Grillo prometteva – opportunamente – che avrebbe “aperto il Parlamento come una scatoletta di tonno”.  Se i 5s vincono le elezioni, avremo una politica culturale clandestina, una politica economica clandestina? Ora, per saperlo bisognerebbe “aprire il 5s come una scatoletta di tonno”. C’è un solo problema: probabilmente non ci troveresti niente; e già questo sarebbe un passo avanti.

Ma la cosa è ancora più seria. Al di là del disegno (nascosto, confuso, illusorio, ma… attrattivo) del M5S e dei suoi alleati neo-borbonici; e, al di là del metodo e del merito della decisione-twitter presa dal Cons. Reg. Pugliese, la vicenda porta alla ribalta i principi basilari della convivenza civile e sociale: 1-la formazione del volere pubblico e 2-l’uso culturale del potere politico. 

Il caso della mozione pugliese evidenzia anzitutto la superficialità con la quale, in genere, il sistema politico tratta le questioni culturali: degne di un’attenzione minima, quel minimo consistente nel non cancellarle del tutto. L’altra faccia della medaglia è che “la cultura deve essere produttiva”, e quindi: si rivolge l’attenzione ai beni culturali e turistici, e dello spettacolo, con lo scopo di far cassa. Che le attività culturali abbiano uno scopo di crescita civile e sociale, di consolidamento della democrazia, è ormai passato in secondo piano.

Non sembri azzardato l’accostamento: ma se una regione favorisce l’ideologia neo-borbonica (come qualsiasi altra ideologia), siamo di fronte alla riedizione (in formato regionale) dello stato di parte, partigiano. Così nascono i totalitarismi. Vi sembra possibile?

Agli storici professionisti/blasonati direi – provocatoriamente – di cogliere questa occasione per spiegare, approfondire, discutere le gravi ragioni che portarono alla caduta dei Borboni, per vedere l’unificazione d’Italia non in maniera celebrativa come si fa nei centenari, ma in maniera critica, insegnando a tutti, giovani e meno giovani, che cosa significa fare storia. Questo li porterebbe, certo, fuori dalle aule universitarie, fuori dal ristretto ambito dei loro specifici studi; ma se non lo faranno, i loro studi diventeranno inutili, cancellati da un decreto sindacale, o regionale, o ministeriale, ecc. O, peggio ancora, da un tweet ben assestato.

Mi rendo conto, tuttavia, della valenza conflittuale che acquisterà la data del 13 febbraio, della vis polemica che la farà da padrona. E allora, direi che sarebbe meglio se le più alte istituzioni della Regione Puglia decidessero di istituire la “Giornata della cultura storica”, un giorno o una occasione di più giorni, in cui gli esperti si mettano democraticamente in discussione, ad esempio con avvenimenti tipo “Processo a Garibaldi” oppure “Processo all’Unità d’Italia”, oppure “Processo a Togliatti”, e così via dicendo. Ricordo con soddisfazione eventi simili già realizzati a Mesagne nei tempi che furono… (con le scuole, con le associazioni, con singoli cittadini).

E si potrebbe anche utilizzare internet, youtube, l’arte, il cinema; ma con attenzione, con giudizio...

Allora, cosa proporre? Il 10 maggio, come giorno dei martiri pugliesi dell’Unità d’Italia? Fu il giorno della resistenza di Altamura alle bande del card. Ruffo! Potrebbe essere l’occasione per far conoscere la “leonessa di Puglia”, no? Tuttavia, ciò potrebbe suscitare uno spirito di contrapposizione che impedirebbe il confronto sereno e pacato, argomentato e documentato sugli avvenimenti. Allora no, bisognerebbe forse trovare un’altra data…

Sembra urgente, però, pensare all’istituzione di una “Giornata della cultura storica” oppure “Giornata della memoria regionale”. [sulla differenza tra storia e memoria ci soffermeremo in seguito]

Ogni Comune potrebbe così sbizzarrirsi nelle più disparate iniziative per divulgare ed approfondire le proprie vicende storiche; per evitare la dispersione in mille rivoli, la Regione potrebbe svolgere il compito di raccordo fra le iniziative, imprimendo una direttrice tematica, e di coordinamento tra i settori più legati alla valenza storica  regionale, vale a dire i beni culturali, paesaggistici e turistici. Se si vuol veramente attivare il turismo tutto l’anno (idea cara all’Assessora Capone - e come si può dissentire?), allora proviamo a mettere in campo tutte le risorse per incrementare la conoscenza storica dei nostri beni materiali e immateriali! Ma con un piccolo accorgimento…

La scritta a caratteri cubitali sul frontone del portale d’ingresso alla Biblioteca Classense di Ravenna recita: In studium, non in spectaculum. Ora, se tutto questo è vero in generale, lo è ancor più nel campo della cultura storica, che è il campo della narrazione delle vicende costitutive del vivere sociale. Questa narrazione, come mettono in evidenza le scienze storiche, è stata sempre inficiata da letture ideologiche, di parte. L’obiettività è una conquista continua, faticosa, lenta perché la storia non è “ciò che è avvenuto”, ma “ciò che è raccontato” ed è continuamente messa in pericolo dalle opinioni estemporanee, non suffragate dal metodo. Tutto dipende da che cosa si privilegia in un dato evento; e da come è raccontato.

Oggi, su tutto campeggia l’ideologia dello spettacolo. Che vivessimo nell’era dello spettacolo non lo sto scoprendo io; un grande filosofo (Guy Debord) lo aveva denunciato 50 anni fa, nel 1967. Altri lo seguirono, ma in quegli stessi anni anche Pier Paolo Pasolini aveva cominciato a metterci in guardia dal prevalere dell’immagine sulla realtà. Essi non potevano prevedere che tutta una società sarebbe poi stata eretta sullo spettacolo. Non potevano prevedere l’ascesa di Berlusconi; e poi di Renzi; non potevano prevedere che in USA avrebbe vinto un anchor-man di fox-tv come Trump; non potevano prevedere l’evaporazione dei partiti e la nascita di non-partiti, come il M5S.

Non ci si rende conto forse abbastanza che, senza un’adeguata prevenzione dall’ideologia-spettacolo, i mass media e i nuovi media stanno riducendo la cultura in generale, ma specialmente quella storica, in un ambito irrilevante. Ma si pensi al prestigio che riscuotevano Benedetto Croce, e Gaetano Salvemini; e, negli anni più vicini a noi, il socialista Francesco De Martino o il cattolico Gabriele De Rosa; o il comunista Emilio Sereni (e potrei continuare con molti altri nomi).  Vogliamo domandarci perché oggi i grandi intellettuali (che pure abbiamo) non hanno quel prestigio? Io penso che molto dipenda dal prevalere della cultura-spettacolo: tutto deve essere spettacolarizzato. La politica vive sull’applauso del pubblico, immediato, visibile; e lo si ottiene con gli artifici più subdoli della retorica, arte nobile dell’argomentare, ma anche arte del raggirare. Il plauso dello spettacolo fa leva più sul secondo che sul primo aspetto; raramente, i due aspetti vanno di pari passo; ancor più raramente ci si astiene dal secondo. E quando ciò avviene, allora siamo di fronte ad un’opera d’arte; cosa riservata a pochi eletti. Nella stragrande maggioranza dei casi, la riflessione seria non può essere spettacolo; privilegiare lo spettacolo significa condannare all’oblìo la riflessione, la maturazione delle convinzioni, la conoscenza.

All’inizio di questa chiacchierata, ho citato il medievista Giuseppe Sergi; ora vorrei evidenziare anche un intervento di Tommaso Detti, famoso storico dell’età contemporanea, a proposito del fare storia nell’era di internet. Nel saggio “Lo storico come figura sociale”, egli scrive:

“…In realtà non va mai dimenticato che la stessa funzione politica della storia è sempre stata un tratto costitutivo dell'impresa storiografica. Da Erodoto in poi per più di 2.000 anni c'è stata una sostanziale identità fra storia e uso pubblico del passato: lo storico regolava la memoria e l'oblio, selezionando ciò che era degno di ricordo in funzione dell'identità collettiva della sua comunità. Premesso che questa caratteristica della storia non è mai venuta del tutto meno, Gallerano [altro storico contemporaneo] ha attribuito le peculiarità della fase più recente a una svolta verificatasi nel corso del XX secolo con lo sviluppo dei mass media, che hanno infranto il sostanziale monopolio dell'uso pubblico del passato detenuto sino ad allora dagli storici.

Nella gran parte dei casi gli storici hanno reagito alla perdita del proprio ruolo tradizionale con un atteggiamento di denuncia delle frequenti semplificazioni e distorsioni di un uso pubblico che non controllano più, accentuando la vocazione scientifica della disciplina, ma rischiando di abdicare alla propria responsabilità sociale – e in ogni caso con ben poco successo. La già scarsa efficacia della loro opera in questo campo è stata infine ulteriormente limitata dal fatto che frattanto è mutata la funzione sociale del passato. […]

Se giudichiamo di scarsa qualità ciò che è liberamente accessibile in rete, allora abbiamo la responsabilità di rendere disponibili online fonti di informazione migliori. Si potrebbe obiettare che anche costruendo siti web divulgativi raggiungeremmo soltanto una parte minoritaria del pubblico, la più acculturata, ma rispetto ai nostri 27 lettori [di manzoniana memoria] non sarebbe cosa da poco”.

Ecco la sfida che gli storici debbono affrontare subito: è questa.

Domenico Urgesi     

(Presidente della Società Storica di Terra d’Otranto

Consigliere regionale della Società di Storia Patria per la Puglia)

4-continua

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