Niccu Furcedda, il prezioso manoscritto della Biblioteca di Mesagne, oggetto di studio di Tommaso Urgese sarà presentato, a Brindisi, il 19 ottobre dal prof. Marcello Aprile.
Alcune notizia sul manoscritto.
Si sono ritrovati i soci della Società di Storia patria sezione di Brindisi nella Sala Conferenze della Casa del Turista di Brindisi giovedì sera (5 ottobre) dove si è svolto un seminario introduttivo sul lavoro di ricerca svolto dal professor Tommaso Urgese su: “Il dialetto del XVIII secolo di Nniccu Furcedda, opera salentina del francavillese Girolamo Bax”.
Il volume sarà presentato tra pochi giorni, nell’ambito della manifestazione letteraria “In-Chiostri” il 19 prossimo ottobre con una relazione del professore Marcello Aprile, studioso di linguistica dell’Università di Lecce.
Nel seminario introduttivo dell’opera teatrale in tre atti “Nniccu Furcedda”, che il francavillese Gerolamo Bax scrisse agli inizi del 1700, sono intervenuti Domenico Urgesi, presidente della Società Storica di Terra d’Otranto e Giacomo Carito, presidente della sezione brindisina della Società di Storia patria per la Puglia.
Breve l’introduzione di Giacomo Carito che si è soffermato sulla questione del dialetto, in particolare quello di Niccu Furcedda, che a suo dire il Bax scrisse guardando a Napoli e non a Lecce sostenendo che un certo tipo di cultura è stata sempre assente da Lecce.
Molto più articolata la relazione di Domenico Urgese che viene riassunta in calce per maggiore completezza: “Nniccu Furcedda è una farsa dialettale databile attorno al 1730. La scrisse Girolamo Bax, un medico francavillese che aveva studiato e soggiornato a Napoli.
È scritta in versi di 11 sillabe, con rima al mezzo, nel dialetto di Francavilla Fontana del XVIII secolo. Tali versi rientrano nella tipologia detta “gliommeri”, in voga a Napoli sin dai tempi dell’età aragonese (1450 circa) e poi consolidata da Jacopo Sannazaro.
La Biblioteca di Mesagne possiede l’unico esemplare manoscritto e completo della farsa; una copia in frammenti esiste anche presso la Biblioteca “Ambrosiana” di Milano. Un altro esemplare era stato pubblicato da Pietro Palumbo nel 1870; ma quella copia è andata dispersa.
L’esemplare di Mesagne è stato studiato e pubblicato per la prima volta da Ciro Santoro nel 1985.
Poi lo ha approfondito Mario Marti, rettore dell’Università di Lecce, a partire dal 1986, quando ne ha evidenziato il legame stilistico con la poesia dialettale napoletana. Egli lo ha pubblicato interamente nel 1994, dandone la versione critica più approfondita e completa. Marti ha tolto quest’opera dall’ambito strettamente dialettale francavillese, per collocarlo in un ambito di levatura più vasta, quello della letteratura dialettale e teatrale del Regno di Napoli pre-borbonico.
Nel 2003, Donato Valli ha sostanzialmente confermato e più ampiamente circostanziato il giudizio di Marti.
Nel 2017, Tommaso Urgese ne ha dato una nuova versione, approfondendone l’esame glottologico e linguistico; ne ha evidenziato i legami con vari dialetti salentini dell’alto e medio Salento.
In appendice possiamo ricostruire la storia del manoscritto Niccu Furcedda, autentico patrimonio della biblioteca mesagnese.
Nel 1970, vi erano molti volumi, i pochi che si erano salvati di quella che era un tempo la bibloteca “Ugo Granafei”, nei locali dove oggi è dislocato l’Ufficio elettorale. Si trattava di un fondo che l’Amministrazione Comunale aveva ereditato senza un consuntivo, una catalogazione, in definitiva un fondo accatastato alla rinfusa con alcuni libri in scaffali obsoleti ed altri riposti in cartone. La provenienza non è stata mai accertata tramite documenti probanti e forse proveniva il tutto dalla struttura, un centro di lettura popolare, gestita dal prof. Fastidio in Via Albricci.
Qualcuno aveva avuto incarico con delibera comunale di fare un consuntivo dello stato in cui versava questo patrimonio librario. Furono salvate 26 edizioni del ‘500, oltre una trentina di seicentine, numerose pergamene ed un manoscritto che fu trovato in uno scatolo, in modo del tutto involontario e nel rovistare uno tra i tanti scatoli sparsi nella stanza.
Quel qualcuno aveva sentito parlare della commedia di “Niccu Furcedda” da un professore di Scuola Media Ennio Incalza di Francavilla, correva l’anno 1955 e cosi, dopo averlo accuratamente spolverato e “manutenzionato” lo ripose in due cinquecentine che erano su uno dei pochi ripiani di una libreria.
Fu contattato il compianto prof. Ciro Santoro, docente dell’Università di Bari in glottologia, dialettologia e civiltà messapica e gli fu segnalato il manoscritto. Venne a Mesagne si fotografò il tutto, con una macchina tipo “Ferrania” in casa di quel qualcuno dove c’era un laboratorio fotografico con stativo e ingranditore Durst per la stampa in bianco e nero delle foto. All’epoca c’erano fotocopie solo su carta termica e poche macchine fotografiche. Nel gennaio 1972 fu incaricato Alessandro Distante a cui fu segnalato il prezioso manoscritto che successivamente fu consultato da altri studiosi, in particolare dal prof. Marti.
La prima comunicazione di questo ritrovamento fu data da Santoro nel 1975. Dopo alcuni anni si parlò con una nuova pubblicazione del “Niccu Furcedda” di Mesagne, l’unico testo originale, atteso che quello del Palumbo è andato disperso ed un’altra copia si trova a Milano. Un documento di inestimabile valore, punto di riferimento del teatro dialettale salentino.
E fra pochi giorni ne sentiremo parlare. La società di Storia Patria farà un comunicato stampa per invitare studiosi ed appassionati nel salone dell’ex casa del turista a Brindisi, diventata ora sede della Società stessa. Forse sarebbe opportuno che una presentazione fosse fatta anche a Mesagne.