Brindisi e l'inutile attesa di una borghesia che non c'è (Vittorio Bruno Stamerra)
A spingere di lato il mio accidioso distacco dalle disastrose vicende della nostra città, è stato un intrigante titolo in prima pagina sul “Corriere del Mezzogiorno” di giovedì 19 ottobre a firma di Michele De Feudis,
che recitava: “Perché va riscoperta la borghesia barese”. Il commento dell’autore partiva dalla notizia della recente morte dell’avvocato ed editore barese Paolo Laterza, per “risaltare” quanta “operosità, dinamismo, visione, stile, attenzione per il bene comune” ci fosse nel ruolo storicamente svolto a Bari dalla sua “migliore borghesia”. Ed ancora: “Intellettuali, accademici, imprenditori concordano che questa anima potrebbe dare una marcia in più per affrontare le sfide della modernizzazione”.
Noi, che a Brindisi non sappiamo più a che santo votarci per uscire dalla marginalità, e che di borghesia (figuriamoci poi se “migliore”) forse non ne abbiamo mai avuta, a quale categoria sociale dobbiamo chiedere aiuto, non per “affrontare le sfide della modernizzazione”, che sarebbe come sognare di far giocare il Brindisi in Coppa dei Campioni, ma solo e semplicemente per arrestare la corsa verso il basso che da qualche decennio la nostra città sta facendo?
Certo ogni giorno a Brindisi sorgono comitati, associazioni, gruppi più o meno spontanei che si pongono l’obbiettivo di costruire una nuova classe dirigente che riesca a cancellare quella che da trent’anni non solo colleziona insuccessi, ma anche traumatici fallimenti. Anche Brindisi è in Italia e il fenomeno del “civismo”, come risposta alla crisi dei partiti tradizionali, è una esperienza che noi abbiamo già fatto da almeno una ventina d’anni e che ha partorito sinora insignificanti, se non addirittura pericolosi, topolini.
Lo dimostrano le decine di liste che ad ogni elezione amministrativa sono sorte in sostegno a questo o quel candidato sindaco, e che poi si sono rivelate altrettante insidiose cambiali da pagare, con tutte le conseguenze di instabilità che la città è stata costretta a subire. Questa forma di “civismo”, che tanto è piaciuto e sembra piacere ancora a Michele Emiliano che addirittura ne intende fare una “nazionale” in sostegno del suo partito alle prossime elezioni politiche, è solo una fabbrica di voti (spesso occasioni di autentico accattonaggio) ma non forma nessuna solida e competente classe politica, quella di cui il Paese, in questo caso la nostra città, ha urgente e disperato bisogno.
Brindisi una borghesia degna di questo nome a cui rivolgersi per chiedere aiuto non ce l’ha e forse non l’ha mai avuta, e su questo sarebbe interessante se i nostri storici locali, così attivi su altri fronti, ce ne raccontassero le ragioni. Per cercarla forse occorrerebbe andare ai primi decenni del secolo scorso, quando forse si costruì la Brindisi migliore, quella dei grandi traffici portuali e mercantili, che produceva ed esportava vino e meloni in tutta Europa, che aveva anche una propria compagnia di navigazione e ospitava oltre una decina di consolati dei paesi stranieri più importanti al mondo, dalla Russia agli Usa.
Non era un caso se proprio a Brindisi sorsero le prime leghe dei lavoratori, i cui dirigenti per l’esperienza vennero chiamati in tutta la Puglia ed anche nella dirigenza nazionale dei sindacati, e fu brindisino il primo deputato eletto nel Salento dai socialisti. Segni tangibili di fermenti economici e sociali di grande interesse. Quello che è accaduto dopo ce lo dice la storia e prescinde da noi, che non siamo l’ombelico del mondo, ma chiedersi che fine ha fatto lo spirito di appartenenza che caratterizzò i comportamenti dei nostri bisnonni, non solo è doveroso ma anche necessario.
Cosa è accaduto in questi anni che ci ha fatto disperdere il valore dell’andare oltre gli interessi dell’appartenenza, o della propria fazione, quando in gioco c’è quel famoso “bene comune” che rappresenta la ragione fondamentale dello stare insieme di una comunità? Solo la crisi economica, i riverberi amari di una certa globalizzazione, la crisi dei partiti e della politica, le profonde trasformazioni sociali? Forse e anche tutto ciò. Brindisi non è in Alaska, ed in proporzione subisce i disagi che tutta la nostra società, in Italia ma anche altrove, sta vivendo in questi anni sta vivendo. Da noi però in maniera particolarmente dura.
Non è stato sempre così, anche in periodi meno lontani di quelli dei nostri bisnonni, basta andare indietro di qualche decennio, per non parlare poi di quei magnifici Anni Settanta (dei quali mi riservo in futuro di scrivere qualcosa di più organico), quando Brindisi infilava un primato dopo l’altro, dall’economia ai trasporti (aerei e marittimi), alla sanità e persino al calcio. Non si tratta di nostalgia, che pure sarebbe legittima, ma soltanto di qualcosa, per le condizioni in cui versa la città, in mancanza di borghesie più o meno “migliori” a cui appellarsi, e nel proliferare di miracolosi modelli nuovi ed alternativi che puzzano tanto di già visto, di santoni o sciamani di varia natura, che forse è giunto il momento di riscoprire.