Che fine ha fatto la Biblioteca Comunale di Mesagne!? (di Domenico Urgesi) –seconda puntata–
Devo anzitutto scusarmi con le molte persone che mi hanno telefonato, scritto, ecc., per rimproverarmi di qualche dimenticanza e ricordarmi di qualche piccola donazione;
ad esempio i documenti e le foto donate da Enzo Poci; le foto e documenti donati dalla famiglia Fasano. Prego tutti i lettori di ricordarmi le dimenticanze, oppure di partecipare alla discussione.
Nella prima puntata, avevamo rilevato che il futuro della Biblioteca di Mesagne è stato pensato… come “community library”; già, una espressione ampollosa, (coniata a livello della Giunta Regionale pugliese) per dire “biblioteca della comunità”. E questa sì che è una bella espressione; perché presuppone un’idea di “comunità”; e quindi una visione della realtà sociale, e del modo in cui essa si sta muovendo e articolando; oppure (e anche) della direzione verso cui la si vuol dirigere. Per immaginare il futuro, è necessario anzitutto, analizzare il presente; dopodiché, si pensano le politiche adatte ad orientare il movimento della società: sembra così ovvio!
Eppure, il progetto di “community library” non sembra affondare le radici nella realtà mesagnese, né dal punto di vista del’analisi, né da quello della prospettiva. Come se la “comunità” fosse un concetto assoluto, e non avesse bisogno di alcuna definizione; come se fosse un concetto primitivo, come il punto, la retta e il piano in geometria. Si sottovaluta il fatto che le “comunità” sono modi ben diversi e variegati in cui si organizza la vita dell’individuo; e che, specialmente nella fase storica attuale, l’individuale prevale sul sociale; e in una maniera vertiginosa. Comunità è un concetto complesso, è plurale, non singolare; indica le varie forme in cui si realizza la vita sociale, va affrontato con molta attenzione…
Sia chiaro! L’espressione “community library” non è stata coniata dall’Amm.ne Comunale; è stata inventata a Bari, con spirito fortemente innovativo, forse troppo; e sottovalutando la multiformità delle esperienze culturali regionali; e sottovalutando l’analisi di queste variegate comunità. Forse ci si aspettava, ottimisticamente, che poi ci avrebbero pensato le Amministrazioni locali? Avrebbe dovuto pensarci l’Amm.ne di Mesagne a tradurre in mesagnese il progetto? Temo di sì.
La storia della Biblioteca di Mesagne ci insegna che le visioni, le direzioni, fin dal 1867, quando fu fondata, si sono diversificate, ma sempre con quell’obiettivo: orientare la vita culturale della comunità mesagnese. Nei primi anni dell’Unità, lo scopo prevalente era quello di condurre la popolazione a sentirsi parte della nazione nascente. La biblioteca comunale era uno degli agenti di formazione culturale; si rivolgeva alle classi già letterate, per farne veicolo di diffusione verso le masse illetterate. Arrivata la prima guerra mondiale, essa divenne uno strumento di propaganda nazionalistica; e questa funzione fu moltiplicata durante il fascismo. Questo ruolo di “accessorio” alla formazione scolastica continuò, con alterne vicende e scarsa convinzione, nel secondo dopoguerra.
Fu solo una trentina di anni fa, che l’ Amministrazione comunale affrontò decisamente il tema, sia dal lato organizzativo, che da quello propulsivo. Si affermò, sia pur lentamente, una “visione” della realtà sociale, delle arretratezze che bisognava affrontare, della limitatezza provinciale di alcuni aspetti della realtà culturale mesagnese. Alla modernizzazione “centrista” subentrò quella “di sinistra” (semplifichiamo, ovviamente). E furono realizzate quelle cose che sommariamente ho ricordato (la volta scorsa). Furono gli anni del recupero della migliore identità mesagnese; si parlava ad ogni pié sospinto della mesagnesità, e qualcuno ricorderà l’espressione “rinascimento mesagnese”.
Devo aggiungere che, nel campo culturale, si approfittò dello storico intreccio fra Biblioteca e Museo archeologico, per rilanciare un insieme di attività che traevano sinergia dai due Istituti. Attorno alla biblioteca e al museo si creò una “comunità” di lettori e di appassionati dell’antica storia di Mesagne. L’attività non si limitò alla funzione istituzionale, nella quale alcuni avrebbero voluto circoscriverla. Si proiettò nel vasto panorama delle associazioni; delle scuole e delle università. Si posero le basi per una rete di contatti, di legami, che sfociò nella rete scolastica territoriale, che aveva sede nella biblioteca. Mi sembra improbo, oggi, ricordare tutte le iniziative che vennero messe in atto, coinvolgendo migliaia di studenti, e di cittadini, fra cui i loro genitori. La biblioteca, ed il museo, erano delle fucine in continuo fermento. I ritrovamenti delle tombe di via Malvindi, e poi di via Castello, costituirono un’ occasione di valorizzazione dei beni archeologici e storici della città, che usciva dal più nero periodo della malavita organizzata.
Mi piace ricordare che a Mesagne, nel cinema Ariston, si svolse la prima iniziativa corale sul tema della shoah, il 27 gennaio 2001, sin dal primo anno della sua istituzione, con la partecipazione della superstite Elisa Springer e di centinaia di studenti. E poi si continuò con tutte le ricorrenze storiche fondamentali: il 50° ed il 60° della Costituzione, il 50° e 60° della Resistenza; e il 2 Giugno; e il 4 Novembre. Senza timore di esagerazione, fu uno dei primi esperimenti di sviluppo culturale di massa nella Regione Puglia. Memorabile fu, in quegli stessi anni, un’estate mesagnese incentrata sulla valorizzazione del barocco, sia dal punto di vista artistico-architettonico, che da quello medico e musicale, perfino da quello gastronomico. L’intero centro storico fu mobilitato per l’occasione. E nacque la nuova identità mesagnese. Fino a pochi anni prima, sui treni, quando si faceva conoscenza con gli altri passeggeri, alla domanda “di dove sei?”, spesso il mesagnese rispondeva “di Brindisi”. Ora si rispondeva “di Mesagne!”. Ecco: questo fu (ed è) il frutto migliore di quella stagione!
Non lo sto ricordando per nostalgia, ma per significare il senso di comunità che si era instaurato; e tutto ciò a seguito di un’idea portante di “comunità”. Non sto facendo il bilancio complessivo di quella stagione; non è possibile in poche righe. Ma, se si vuol sintetizzare in una sola parola il significato più profondo, dal punto di vista socio-antropologico, dei 15 anni a cavallo tra vecchio e nuovo secolo, fu quello di ritrovare e ri-creare un senso di comunità. È anche vero che non fu tutto lineare, ci furono lentezze, attriti, freni, dovuti alla non piena consapevolezza di quello che si stava facendo; mentre alcuni si opposero con piena consapevolezza. E poi, ci fu un appiattimento sul puro livello amministrativo, trascurando il confronto e l’osmosi con coloro che erano i più poveri e svantaggiati dal punto di vista economico e culturale, e perciò facile preda dei nuovi modelli di vita. [per inciso, è un discorso che, a mio avviso, vale anche a livello nazionale]. Tuttavia, le Amministrazioni successive hanno raddrizzato la rotta?
E torniamo quindi all’oggi: qual è l’idea portante della cosidetta “community library”? Espressione ampollosa, alla moda, che mette più l’accento sul significante (le parole) anziché sul significato (le cose), come tante altre parole ed espressioni americanizzanti come, ad esempio, laptop invece di “portatile”, smart invece di “intelligente”, team invece di “squadra”, short list, front-office. E giù giù fino all’inverosimile “ok” diventato di uso comune in tutte le classi e ceti: il pistolero John Wayne non avrebbe forse mai potuto immaginare la forza invasiva dei suoi film sul Far West. Ecco, se una invasione c’è stata negli ultimi 50 anni, dopo lo sviluppo economico degli anni ’60, è proprio questa: la colonizzazione dei nostri cervelli con espressioni che fanno riferimento ad uno stile di vita ultra-individualista che si chiamava, anche qui ampollosamente, “american way of life”.
Il nostro cervello è stato man mano svuotato; al posto delle parole italiane, e delle immagini che esse richiamavano, sono state inserite parole inglesi, fuori contesto. Il nostro immaginario è stato manipolato al punto che al posto delle nostre tradizioni gastronomiche ne sono state imposte delle nuove; catene di nuovi negozi hanno soppiantato il vecchio e caro “panino”, all’insegna del nuovismo; tutto il resto è stato declassato ad “arretrato”. Il turbo-capitalismo ha accentuato la velocità, la competitività, il super-individualismo, l’egoismo, spostando l’asse sulla competizione, piuttosto che sulla solidarietà e collaborazione. Che impatto ha avuto tutto questo sulle comunità? I risultati sono sotto gli occhi di tutti: ci pervade un senso di onnipotenza, viviamo in una specie di anarchia, dove ognuno si sente misura del bene e del male; si moltiplicano gli episodi di violenza familiare, le bande giovanili sbandate, gli omicidi per un misero parcheggio. Di fronte a tutto questo, non c’è bisogno di creare un nuovo senso di comunità?
Ho cercato di capire se questa esigenza è presente nel progetto di nuova biblioteca. Ho consultato, nel sito del Comune, l’archivio informatico delle Delibere e degli Atti pubblici, ma ho trovato soltanto alcuni atti che erano già noti dall’anno scorso; due Delibere, che vi invito a leggere: la n.210 e la n.221 del 2017; poi magari le commenteremo in seguito. Ma sono soltanto delibere amministrative, scritte (come dovuto) nel bel linguaggio tecnico-burocratico. A quale “visione” corrispondono? E come saranno attuate? Come dicevamo la volta scorsa…, da quasi un anno ogni idea, visione, direzione, è scomparsa dai radar.
Ad onor del vero, un anno fa fu svolta un’indagine nell’ambito dell’iniziativa “La biblioteca che vorrei”. È istruttivo ricordarne i risultati (sono consultabili sul sito del Comune):
-per uno studente “serve più tempo e spazi per studiare”. C’erano; che fine hanno fatto?
-una studentessa immagina “incontri, approfondimenti tenuti da studiosi per poter ampliare le nostre conoscenze…”. Si facevano; perché non si fanno più?
-un altro vorrebbe “che la Biblioteca tornasse a proporre una serie di studi sulla cultura mesagnese…”; un’altra invoca “Più eventi x ogni fascia d’età…”.
-altri lamentano la carenza del personale; altri vorrebbero “trovare i codici commentati aggiornati con la giurisprudenza…”. C’erano, che fine hanno fatto?
-altri vorrebbero trovare più quotidiani. Anche questi c’erano. Che fine hanno fatto?
Se la Community Library sarà quello che chiedono gli utenti, allora sarà certamente una buona cosa; ma sarà solamente un ritorno al passato. C’era bisogno di distruggere, per poi ricostruire?
Ma c’è da dire un’altra cosa: da questi desiderata dei cittadini utenti, è poi emersa una definizione di Biblioteca, in linea con una visione della nostra “comunità”? Al momento attuale, esistono soltanto le citate due Delibere; a meno che esistano altri documenti…, ma finora non sono stati resi pubblici. Pertanto, mi attengo a ciò che è pubblico, le due Delibere; ne riparliamo la prossima volta. Nel frattempo, leggetele. (2-continua)
Domenico Urgesi