Natale in casa De Mauro

Quando abbiamo iniziato la raccolta del Natale per Raccontare Mesagne abbiamo ricordato il presepe

che il prof. Cassio ogni anno allestiva in casa sua. È venuta spontanea, quindi, l’idea di coinvolgere Il carissimo amico Ermes per farci descrivere quella magia, che puntualmente si rinnovava ogni Natale.

Quando è stato consegnato dall'amico Ermes il contributo, è apparsa una piccola emozione in qualcuno perché era proprio uno di quei ragazzini che accompagnava Papa ‘Ntunucciu insieme a Musciaredda, storico sacrestano della chiesa Madre.

Avevamo detto ad Ermes che avremmo pubblicato il tutto in un piccolo volumetto  per lasciare una traccia tangibile per gli anni a venire ma, poi abbiamo voluto fare una sorpresa all’amico pubblicandolo su una testata cartacea locale domenica scorsa.

Giovanni Galeone lo stesso giorno lo ha pubblicato su un social e successivamente condiviso su altri spazi.

Per il prossimo anno si vedrà di concretizzare la pubblicazione. Intanto per chi non ha letto ancora  il ricordo del presepe di casa De Mauro lo riportiamo a seguire.

 

di ERMES DE MAURO

«È rrivatu papa ‘Ntunucciu, è rrivatu papa ‘Ntunucciu»: era questo il grido gioioso di noi ragazzi, tanti, tantissimi, quando dalla finestra della stanza della nonna vedevamo spuntare dopo lunga attesa, fuori l’arco di Porta grande, il buono e pio arciprete don Antonio Epicoco(per i mesagnesi papa ‘Ntunucciu). Seguito da uno stuolo di ragazzi, veniva a benedire il presepe di casa De Mauro; sulla veste talare indossava già la cotta liturgica bianca, che, svolazzando al vento decembrino, contrastava con il cielo plumbeo e minaccioso del tempo invernale; di fianco l’immancabile Musciariedda, accompagnatore assiduo dell’arciprete.

Era la vigilia di Natale, abitavamo in piazza Vittorio Emanuele II (piazza Porta grande) e puntualmente ogni anno si rinnovava il rito della natività con la benedizione del grande presepe, che mio padre allestiva da solo, iniziando a lavorare nelle ore libere, fin dal quattro di ottobre, con certosina pazienza, sorretta da una fede incrollabile.

Il momento più solenne e festoso della cerimonia era costituito dalla processione, che percorreva le stanze, tutte illuminate, della casa fino alla grotta della natività. Tra le mani teneva il bambinello il fanciullo più piccolo d’età, accompagnato da mio padre e dall’arciprete. Seguivamo tutti noi, adulti e ragazzi con una candelina accesa ed una fiammella, mentre nell’aria un coro unanime si univa alla voce di papa ‘Ntunucciu, che intonava la tradizionale pastorale

“Tu scendi dalle stelle”, che seguiva la benedizione con le preghiere di rito, mentre Gesù Bambino veniva posto nella mangiatoia tra la Vergine Maria e S. Giuseppe.

Era un tripudio generale: papà, visibilmente commosso, salutava gli ospiti, le persone del vicinato, felice di ricevere tanta gente, anche non conosciuta, mentre la nonna in cucina si preoccupava di offrire agli ospiti in maniera semplice e pura un bicchiere di vino e dolci tradizionali fatti in casa per la ricorrenza del Natale.

Cominciava intanto la visita accurata e minuziosa del presepe, che richiedeva davvero tanta attenzione, con le innumerevoli ed immancabili fotografie, mentre papà con l’aiuto di qualche ragazzo più grandicello predisponeva l’occorrente per il gioco della tombola e del mercante in fiera.

Non è mio costume peccare di presunzione, ma anche la falsa modestia è deprecabile, per cui non esiterò a dire che il presepe di casa nostra era un autentico capolavoro, ogni anno diverso da quello precedente, sempre più arricchito ed originale.

Dalla volta della stanza scendevano gli angeli, come dall’Empireo, a glorificare la nascita del redentore. Dai casolari, illuminati dalla fioca luce di una lucerna, partivano i pastori, piccoli in alto e via via sempre più grandi di mano in mano che si avvicinavano alla grotta di Betlemme con i doni per il Signore.

Stradine, viottoli, tratturi, sentieri s’inerpica vano per le rupi e tutti portavano alla grotta della natività: era impressionante la fedeltà al

paesaggio naturale; le nevi parevano sciogliersi e formare ora cascate copiose, ora rigagnoli che via via diventavano piccoli torrenti e ruscelli che in pianura formavano laghetti. A rendere il paesaggio mirabilmente vero e naturale contribuiva il gioco delle luci, che illuminavano gli sfondi, e divenivano fioche a seconda del tempo e grazie alle centinaia di lucciole. Quando poi il presepe era tutto illuminato, lo spettacolo che si offriva all’occhio del visitatore era di incomparabile bellezza, ed allora sì che emergevano i pregi dei particolari.

I pastori, più di mille, erano di varia statura in relazione al posto che occupavano in tutto il presepe ed erano più grandi mano a mano che giungevano alla grotta. Sulla roccia s’inerpicavano centinaia di pecorelle di tutte le dimensioni, e qualche aquila dalle cime delle montagne col suo cipiglio osservava minacciosa il paesaggio.

I pupi, come mio padre chiamava i pastori, erano tutti di pregevole fattura, per lo più di scuola napoletana e leccese: l’espressione dei

volti era eloquente, ora giuliva o mesta; il portamento, le movenze esprimevano l’eccellente maestria dei loro artefici: Capozza, Guacci, Mazzeo ed altri; occorrevano, insomma, ore intere per ammirare quel presepe, cui ogni anno la commissione addetta assegnava il primo premio tra tutti i presepi della provincia.

Mio padre si cimentò nell’ultima fatica alla veneranda età di 91 anni, e sicuramente quell’ultimo presepe è per noi tutti il ricordo più bello

che ci ha lasciato oltre il suo grande amore, la profonda cultura umanistica, l’esempio imperituro di una esistenza onesta.

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