Il limitone dei Greci di G. Antonucci (1)

Sollecitato da un amico che, reduce da una conferenza sul tema, mi diceva che i Longobardi si erano spinti molto più in profondità nel Salento e che occorrevano nuovi studi sul famoso Limitone dei Greci, sono andato a spulciare nelle carte, andando a rileggere quanto scrisse Giovanni Antonucci sul tema. Come inizio di un dibattito che spero proficuo, ripropongo lo scritto che il giudice mesagnese pubblicò nel 1933 sulle “Note critiche” di Japigia, a. IV, pp. 78-80.

Marcello Ignone

Il Limitone dei Greci

Non v’è scrittore di memorie salentine che non si sia occupato, direttamente o indirettamente, del così detto Limitone dei Greci, e della tradizione che ne chiarisce e ne ritrova le traccie in ruderi non pochi sparsi per le campagne(1).

 

Si dice e si ripete da tutti che, composta la lotta tra i Bizantini e i Longobardi di Benevento nei primi anni del sec. VIII, rimase assegnata a questi ultimi la parte settentrionale del Salento, secondo una linea che partendo dalla Torre di S.Stefano presso Otranto e passando a nord di Lecce e di S. Pietro Vernotico, attraversava poscia a sud i territori di Mesa- gne e di Oria e terminava nel golfo di Taranto; e si aggiunge da tutti che il delineato confine, per il quale rimanevano ai LOngobardi Taranto, Oria, Brindisi ed ai Greci Otranto, Lec- ce e Manduria, venne indicato da una muraglia avente alla base una larghezza di sette ed otto metri, ed un’altezza sul piano della campagna dai tre ai quattro metri (2).

In palese contrasto colla riferita e tradizionale demarcazione è una notizia che ricorre nella platea della Commenda di Maruggio del 1709. Tra i beni posseduti dalla detta Commenda trovasi elencato il feudo di Guascito, sito a nord di Mesagne e di Brindisi, a circa otto miglia da quest’ultima, ed il cui confine era segnato a scirocco da “una pietra quasi rotonda di basso, e di sopra con un segno di croce, sopra il limitone dei Greci” (3). Il rilevato contrasto non può trovare chiarimento in quest’osservazione del Brandileone: i confini tra i dominî dei Principi longobardi e quelli dei Signori di Bisanzio furono ognora instabili e incerti, perché città e terre passarono ripetutamente, con rapida vicenda, dai secondi ai primi, e da questi a quelli (4). Quando vero e pienamente vero tutto questo, non sarebbe stato certo possibile effettuare una costruzione richiedente tempo non poco e quindi una non breve stabilità di dominio.

Né aiuta a superare la contraddizione in esame l’ipotesi formulata dagli scrittori locali, che cioè il Limitone dei Greci, innalzato dai Bizantini, non va confuso col Paretone dei Greci di epoca preromana, costruito lungo l’istmo salentino, da oriente ad occidente, per separare la regione calabra da quella messapica (5). Anzi la suggerita distinzione è frutto di una confusione, alla quale, a mio giudizio, va attribuita la tradizionale, ma contrastata, demarcazione del Limitone bizantino. A nord di questo, tra Mesagne e Latiano, si vedono ancora i ruderi del muro di cinta di una antica statio, che corrisponde senza dubbio alla Scamnum dell’Itinerarium pictum del Peutinger (6); e tra Mesagne e Torre S. Susanna, sem- pre a nord del Limitone bizantino, si notavano non molti anni fa gli avanzi di un antico muro, che dovette costituire la cinta di una mansio messapica, dimostrata dal rinvenimen- to di una iscrizione edita dal Nogara (7). I detti ruderi, dai quali derivarono alle due contrade i nomi di Paretalto e di Muro, vennero identificati erroneamente coll’ipotizzato Paretone dei Greci; errore che dovette condurre ad attribuire al Limitone bizantino gli avanzi di muro urbane ritrovati nel tratto orientale della riferita demarcazione.

Quale la conseguenza degli esposti rilievi? Che la tradizione salentina non va accolta ad occhi chiusi, ma va esaminata attentamente in ordine ai luoghi ed in ordine agli eventi storici, ai quali il Limitone dei Greci è riferito; e va coll’aiuto del detto esame modificata, pre- cisata, corretta.

Nel febbraio del 1915 io e l’amico Cosimo De Giorgi visitammo gli avanzi del Limitone esistenti nella masseria Scaloti e insieme constatammo che la grande muraglia era ridotta alle più meschine proporzioni: pietre informi ammassate le une sulle altre per un’altezza di circa un metro, coperte di terra e di erbe selvatiche, di rovi di scille di asfodeli.

A tanta distanza di tempo ricordo benissimo che il muretto ad un certo punto subiva un’interruzione decisa e recisa, sena la minima traccia di continuità: originaria tale interruzione, o derivata da asportazione del materiale? Ipotesi l’una e l’altra ugualmente attendibili.

Rileggendo oggi il bozzetto che nell’occasione fu steso dal De Giorgi e poi pubblicato nella Rivista storica salentina (an. X, pag. 5 e segg.), mi torna chiaro alla memoria il sorriso di compiacenza che animò il volto dell’illustre amico quando io richiamai a proposito della tradizione salentina i perduranti toponimi di due masserie in territorio di Mesagne, la Ca marda e la Camardella, immediatamente a sud del Limitone, accennanti, secondo il Ra cioppi, ad accampamenti greco-bizantini. Il De Giorgi non tacque, e, osservata la carta dell’Istituto geografico militare che teneva stesa fra le mani, mi segnalò subito il toponimo Morgingappa (da Morgengabe) tradotto erroneamente in Malch’incappa, e che designa una masseria a nord del Limitone in territorio di Latiano; noncé l’altro Campi dei Longo bardi, oggi Campi distrutto, a nord di Mesagne, verso S. Vito.

Ma tanto io che il De Giorgi rimanemmo per la verità un po’ dubbiosi sulla precisa im portanza dei riscontrati rilievi toponomastici, e ci si domandò: come mai di tale muraglia non si rinviene cenno in alcuna fonte documentaria?

Al proposito io ho da avanzare un’ipotesi, che mi viene suggerita dalla tradizione in e same. Stando a questa, l’antica muraglia, appunto perché lasciava a sud la città di Mandu ria e dirigevasi verso il golfo di Taranto, doveva attraversare quel territorio sul quale nel

sec. XII prosperò il casale di Figline. Ora da un documento del 1194 ricavo il seguente inte ressante particolare. Guglielmo, il disgraziato figlio di re Tancredi, aveva donato una cum domina Sibilia illustrissima regina matre sua, al monastero di S. Maria di Brindisi terras laboratorias ad quinque paricla libere tenendas et sine servicio vel dacione aliqua, senza però designare il luogo in cui dette terre trovavansi. Tale determinazione venne compiuta nell’agosto del 1194 da Leone, catepanus curator Horie, il quale, d’accordo con diversi bo ni homines, assegnò all’abbadessa del monastero terras de quinque pariclis (detti ancor oggi paricchî, paia di buoi) in loco qui dicitur Mons Arene; le quali terre avevano questo confine ad occidente: ab occidente est magnus limes, sicut vadit ad viam Mandurini et transit ad terras Fellini (8). Il testo è chiaro ed induce ad identificare il magnus limes con un magnus paries, anzicchè con una grande pietra di confine; identificazione che è agevolata da un documento del 1172 e nel quale sono delimitati i possedimenti della chiesa di S. Pie- tro in Bevagna vicinissima a Figline: in esso difatti si accenna al paries che ascendit super montem de Harena(9)

Il magnus limes si riferisce a quello che fu detto il Limitone dei Greci? Trattasi di una ipotesi delineante un campo di indagine, che è di una indiscutibile importanza storiogiuridica.

Aldo Checchini, a proposito de I fondi militari romano-bizantini (10) si è studiato di dimostrare che nelle provincie greche dell’Italia meridionale persistette il sistema adottato dai primi tempi dell’Impero romano a difesa dei paesi di confine, ponendo fra l’altro in risalto che dove mancavano ripari naturali (fiumi, monti, clusurae), se ne costruivano di artificiali, indicati a preferenza con la parola limes(11)

La tradizione salentina, confortata da resti archeologici e forse anche da fonti documentarie, viene a suffragare le dotte induzioni svolte dal Checchini sotto la guida preziosissima dell’indimenticabile Nino Tamassia.

GIOVANNI ANTONUCCI



Note

(1) L. MAGGIULLI, Otranto, Lecce, 1893, p. 24. P. MARTI, Ruderi e monumenti nella penisola salentina, Lecce, 1932, p.177.

(2) A. PROFILO, Messapografia, II, Lecce, 1871, p. 7 segg.

(3) F. TANZI, L’Archivio di Stato in Lecce, 1902, p. 168 seg.

(4) F. BRANDILEONE, in «Archivio giuridico», vol 36, 1886, p. 67 seg. Colgo l’occasione per segnalare alcuni dati che interessano il tema. In un tempo non ben precisabile, delimitato da HIRSCH (p. 57) tra il 671 e il 687, e anticipato da HODGKIN (VI, 516) fra il 665 e il 675, il duca longobardo Romualdo prese l’offensiva contro l’imperatore di Bisanzio e congregata exercitus multitudine, Tarentum expugnavit et cepit, parique modo Brundisium et omnem illam, quae in circuitu est, latissimam regionem, suae dicioni subiugavit (P. DIACONO, VI, 1), portando così il confine del ducato di Benevento oltre l’istmo Brindisi-Taranto. Più tardi però, se non tutta (cfr. SCHIPA, in “Arch. stor. della Calabria”, I, 1912, p. 23), certo la parte orientale della penisola salentina cadde in dominio dei Longobardi di Benevento. Pur vero che Costantino Porfirogenito (De administrat. imper., c. 27) sostiene che Otranto e Gallipoli non vennero mai perdute da Bisanzio, ma vero pure che nell’alleanza abbozzata nel 757 fra il Regno dei Longobardi e l’Impero d’Oriente si trattò la restituzione d’Otranto a questo ultimo (Cod. Carol., ep. 15 e 17; F. P. PUGLIESE, Arechi, 1892, p. 27). La perduranza della dominazione longobarda in Taranto è attestata dal documento del maggio 809 pubblicato da Gallo nel «Bullet. Istit. Stor. Ital.», n. 45 (1929), p. 159.

(5) C. DE GIORGI, in “Rassegna Pugliese”, 1886, p. 333.
(6)E. DESJARDINS, La Table de Peutinger d’après l’original, Paris, 1863. 7 B. NOGARA, Iscrizioni etrusche e messapiche, Milano, 1894, p. 36.

(8) Il doc. fu pubblicato dal NIESE nelle «Quellen und Forschungen» dell’Istituto storico prussiano di Roma, X, 1907, p. 85.

(9) P. COCO, Il Santuario di S. Pietro in Bevagna, Taranto, 1915, p. 81 e 191 segg.
(10) Estratto dall’«Archivio giuridico», vol. 78, 1907.

(11) C fr. U. FORMENTINI, Scavi e ricerche sul limes bizantino nell’Appennino lunese-parmense, in «Arch. stor. prov. parm.», vol. 30, 1930, p. 39 segg. 

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