Carmelo Colelli con un nuovo ricordo: lu trainieri.
Per questa strada passava mio padre.
Passava di notte perché era lunga e voleva arrivare di buon'ora.
Seduto di tre quarti sul sedile, il cappello sulla testa, al collo il fazzoletto a fantasia annodato, la giacca larga con le tasche piena di cose, in una mano il frustino nell’altra le redini, su di lui ancora la luna.
Traballava il traino lungo la strada sconnessa e piena di buche, sbattacchiavano le botti e le sponde, dondolava la lanterna appesa sotto al cassone, il rumore degli zoccoli di Mimino, il bel cavallo dal manto marroncino con una macchia bianca dalla fronte al muso, davano il ritmo.
Piano schiariva la notte, nasceva il giorno, il sole tra gli alberi lontano iniziava la sua salita, altri traini lungo la strada, alcuni pieni di donne imbacuccate nei loro fazzoletti, una voce, un saluto.
I ceppi colmi d’uva ben illuminati dal sole, le donne distribuite nei filari, gli uomini sulle rasole, sulla loro testa un particolare cuscino ottenuto da un vecchio paio di pantaloni riempito di paglia, serviva a poggiare i tini da trasporto, sullo stradone la bascula e i traini con le botti.
Nell’aria i canti e i racconti, vicino alla bascula le discussioni per le pesate, qualche bestemmia, qualche sfottò e qualche bevuta di vino.
Pian piano le botti si riempivano d’uva, il cavallo mangiava la sua biada dalla sacchetta, mio padre insieme agli altri trainieri attendevano che fossero colme.
Appena colme, si partiva, il sole alto nel cielo, mezzogiorno era passato da un po', Mimino affaticato, dal peso e dal sole, tirava il suo traino, mio padre in piedi vicino al sedile, in maniche di camicia, quella bella a quadri, il fazzoletto sempre al collo, le redini nelle mani, incitava Mimino e liberava nell’aria il suo canto.
Carmelo Colelli
30 Agosto 2020