Storia locale: le calcare e Mesagne (Viluccio Montanaro)
Le calcare non sono altro che delle fornaci che servono a cuocere la pietra viva per trasformarla in calce viva
ed erano collocate in posti ricchi di pietra viva e di macchie, per avere legna a portata di mano; venivano, di preferenza, addossate ad un pendio per evitare la costruzione del terrapieno di sostegno perimetrale ed avevano un diametro di circa 7-10 metri ed un'altezza di 2-3 metri.
Il fondo, aveva un'apertura frontale per poter mettere legna e gestire il fuoco.
Bisognava riscaldare il forno in modo graduale; se il fuoco era troppo vivo le pietre si rompevano e facevano crollare tutta la carica di pietre; inoltre le pietre si indurivano in modo tale che difficilmente si trasformavano in calce; invece, all'inizio, le pietre dovevano sudare e quindi perdere l'umidità molto lentamente. Quindi si procedeva ad un graduale ma continuo aumento della temperatura, senza interruzioni. Era preferibile che la carica della fornace fosse di una sola specie di pietra e della stessa cava. Quando per forza di cose bisognava completare la carica con altre pietre non doveva essere mischiata ma osservare alcune precauzioni: le pietre più dure e più grosse venivano messe al centro le più piccole venivano messe lungo la circonferenza; con fuoco vivo e continuo, occorrevano da sei ad otto giorni per trasformare le pietre in calce.
Per fare la carica, si disponevano le pietre all'interno dell'anello in modo da creare un falso trullo al di sotto del quale si caricava il fuoco; sulla cupola del falso trullo, si aggiustavano le altre pietre lasciando lo spazio necessario a far passare le fiamme ed il fumo, fino ad arrivare e superare le pareti del forno, realizzando sulla cima un cono ricoperto poi con uno strato di terreno argilloso, intervallato da fori di fuoriuscita per i fumi. Come in tutti i mestieri, la conduzione della calcara era assegnata a gente esperta che si tramandava, nelle varie generazioni il sapere (i periodi giusti dell'accensione, la conduzione della fiamma, la durata della cottura), i cosiddetti CAUCINARI.
Dopo aver acceso il forno lo si lasciava scaldare, continuando ad alimentarlo con legna, per circa 6-8 giorni, al ritmo di 10 kg ogni 3 minuti.
Terminata la cottura, le pietre si lasciavano raffreddare prima di essere estratte dalla calcara e trasportate nei cantieri di lavorazione.
Quello che si otteneva erano pietre di calce viva (detta calce vergine) che poteva essere trasformata in polvere oppure in calce spenta, mettendole in grande vasche e aggiungendo acqua.
Appena la calce viva veniva a contatto con l'acqua ,una violenta reazione chimica sprigionava tanto calore da far bollire l'acqua e le pietre fondendosi diventavano gelatinose. Quest'operazione era molto pericolosa, perché gli schizzi procuravano ustioni alle braccia se non addirittura cecità se erano colpiti agli occhi.
Quando l'acqua immessa raggiungeva la quantità giusta, l'impasto si presentava come una crema lattiginosa che lasciata raffreddare si trasformava in una massa pastosa, quasi spalmabile.
Quest'ultima era la calce spenta, quella che si utilizza per imbiancare le pareti.
Tutta questa complessa e lunga operazione non era una magia, ma una semplicissima reazione chimica; infatti, raggiunta la temperatura di 800 °C - 1000 °C, la roccia calcarea (carbonato di calcio) perde anidride carbonica trasformandosi in calce viva (ossido di calcio).
A Mesagne, ricordo che c'era una calcara; precisamente alla ex cava addossata all'attuale strada che porta a Serranova (naturalmente allora era una strada sterrata).
Viluccio Montanaro