19 Novembre - Ti la fera ccattamu l’atru!
Una vecchia frase che si è sempre detta molte volte per tutto l’anno.
Ogni qual volta si rompeva qualcosa, ma in particolare un pezzo di chincaglieria per tutta la casa si diceva: “Ti la fera ccattamu l’atru”. Ed era una esclamazione, che specificava in termini semplici l’importanza di questo avvenimento annuale, la terza domenica di Novembre, non prima, comunque del 14 e non oltre il 27 del mese. Ed in quel giorno, anzi in quei giorni vi era un’atmosfera insolita per tutta la città. Sì perché la fiera non era limitata alla sola domenica ma durava tre giorni e non era proprio la “fera ti lu cappottu” ma anche “ti lu cappottu”, perchè oltre all’abbigliamento si vendevano, scarpe, utensili per la campagna, le scale di legno addossate al vecchio muro del Castello, ed ovviamente il “tutto per la cucina”, di allora, piatti, bicchieri, pignati, mmilicchi, e menzi, ed ancora, furnacetti, patelli, furzori!
Io la fera la ricordo nel centro di Mesagne. E da bambino ho visto espandersi la fera nelle zone limitrofe come Porta Grande ed ancora dopo in Via Stazione. Nel centro storico era tutto un pullulare di bancarelle e di piccoli locali affittati per l’occasione dove gli ambulanti mettevano le loro mercanzie. Così alcuni “buchi” e non potevano essere chiamati diversamente con la porta alla napoletana (quelle porte che aprendosi potevano essere utilizzate per esporre la merce) prendevano vita. Pochissimi metri quadri di calpestio, privi di servizi dove si acquistavano oggetti di scarso valore.
In Piazza IV Novembre l’epicentro della fiera, davanti il sagrato della Chiesa Madre, e poi ancora alla Chiazza vecchia ed in seguito alla Chiazza cuperta. Ed alcune figure caratteristiche come Bianchetto (tale il cognome non l’agnome) nel piccolissimo locale di Via Albricci cu li pupazzi ti Natali, ed al centro della piazza una bancarella con un signore sempre presente munito di grembiule bianco ed un cappello tipo fez che vendeva a mo’ di speziale l’Hameluk della salute, una caramella alla menta di non definibile provenienza ma propagandata come elisir di lunga vita, una caramella arrivata fino a noi, in modo non molto chiaro dagli antichi Faraoni. Il costo ovviamente “proibitivo” ... pochisisme lire, alla portata anche dei bambini!
E davanti alla porta Grande nei pressi del negozio di alimentari che oggi è della vedova e della figlia ti la bonanama ti Carminucciu, in due tini in legno grandi e ripieni di pupiddi ti Avetrana, piccole vope soffritte e marinate con pane e zafferano, si vendeva la famosa Scapeci.
La mattina della domenica era tutto un via-vai di zingari, da sempre abili commercianti di animali, cavalli e pecore. E riappariva in tale contesto il gergo, il dialetto, la cosiddetta parlata zincaresca. Il valore del denaro in termini diversi, to’ sturmi per la mille lire, panch per la frazione metà come cinquecento, carmuluccio per il milione, ed i compari che si chiamavo caggiò! Un commercio, pittoresco fatto tra persone che appartenevano per pochissime ore ad un determinato gruppo, come foglie di un carciofo, appunto la cosca! Prima nanzi alli Tumminicani, di fronte alla scomparsa Vecchia Torre dei Preti, da dove un tempo iniziavano le processioni, poi verso uno spiazzo un po’ più grande, all’Era ti lu Carmunu ed accanto al commercio, in alcune circostanze al baratto degli animali qualche venditore di utensili per contadini, ‘na rasula, nu sirracchhiu, nu sciatucu, nu margiali!
Era questa la fera ti li ttantaculi? Un nome che con un vocabolo pieno di sintesi dava il senso all’appuntamento. Una confusione incredibile, che al calar della sera, al lume di qualche fioca luce ad acetilene, il famoso carburiu, era ancora presente allu Sitili; una confusione che offriva la possibilità di ttantari (toccare), ovviamente con molta recitata indifferenza e con forte perbenismo, qualche fondoschiena di una malcapitata (ma non più di tanto) ragazza, non importa se ubertoso o meno secondo lo stereotipo maschilista del tempo. Una attività antesignana della mano morta praticata qualche decennio addietro nei luoghi affollati, cinema in particolare (leggasi a ddo’ lu tiragnaru) e quindi trasferita nella festa più rinomata per Mesagne ti la Matonna ti lugliu (Madonna del Carmine). Negli anni sessanta, infatti era più rinomata la festa che non la fera ti li ttantaculi.
Ma quella era tradizione e storia, esenzioni di gabelle, permessi straordinari che è andato via via scemando nel tempo. Ora è necessario garantire l’ordine, il traffico e per quanto riguarda gli acquisti, la fera è diventata più un mercato della domenica che l’evento che si aspettava ogni anno con forte attesa. Ora la fera è diventata veramente la fera ti lu cappottu (così dicono i manifesti municipali) relegata alla “Seta”.
E lli ttantaculi, ormai una trasgressione che non ha più senso, perché ora l’offerta è diversa: una vita dinamica oltre ogni dire con Internet e magari ... qualche calendario acquistato un tempo a ddo Nella Francioso o ddo’ Pietru Rahu, ora da Angela Ciribì!
Si respira qualcosa di diverso solo la mattina della domenica, qualche anno fa alle spalle del campo sportivo, nello spiazzo che nel 1974 non fu possibile inserirlo nel piano di fabbricazione della città, oggi, invece al rione Grutti.
Ci sono ancora gli zingari con i loro cappellacci a falde larghe e con il bastone in mano, quasi a significare il simbolo del comando. Ed ancora il loro linguaggio, la precitata zincaresca. Pochi giorni fa ho riascoltato una contrattazione per un cavallo e l’offerta di tre carmulucci. Ho cercato di capire il valore dell’attuale carmulucciu. Solamente 1.000,00 Euro. Anche gli zingari hanno adeguato il loro cambio e ... bisogna dire ora che lu carmulucciu vale due milioni. Il cambio è alla pari consentendo la valutazione di un €uro alle attuali mille lire.
Non lo ascolteremo da nessuno ma biascichiamolo: O tempora, o mores!
La terza domenica del mese, quest’anno il 19 Novembre 2017
P.S. Era stata chiesta la ripubblicazione di questo articolo da mlte persone. La redazione ha chiesto all'autore la ripubblicazione in modo tale che tutti ne potessero usufruire di una rilettura.