Uemmini e Calantuemmini di Castrignanò (di Erika Giordano).
In una affollata serata presso l’Auditorium del Castello Normanno Svevo, qualche giorno prima delle festività natalizie, è stato presentato il volume Uemmini e Calantuemmini, ultima fatica di Emanuele Castrignanò.
Si tratta della pubblicazione di 75 componimenti che hanno la pretesa, e ci riescono magistralmente, di delineare uno spaccato di vita della nostra Mesagne attraverso uomini e personaggi di cultura e lignaggio diverso.
Emanuele Castrignanò, ormai, può definirsi l’ultimo cantore, ovviamente solo in rapporto al tempo, della nostra Mesagne e naturale erede di Basco pseudonimo di Francesco Bardicchia deceduto qualche decennio fa.
Questo testo segue i lavori di “Emozioni e ricordi, cussì m’hannu vinuti” del 2007, “Mesagne, la vita tra segni e parole” del 2009, “Natali, Caputannu e Bifania” del 2010, e “Fraciddi ti fanoi” del 2013. Come si vede una produzione eccezionale in cui la città è stata rivisitata attraverso le sue tradizioni popolari, le sue feste, i suoi aspetti peculiari legati alle stagioni, alla religiosità, alle molteplici attività.
Nell’ultima opera appare, invece, qualcosa di nuovo, quasi una satira del contingente, il ricercare l’aneddoto, l’occasione, la circostanza per far risaltare l’intelligenza popolare e la saggezza di una etnia. Si incontrano, leggendo le varie poesie, professionisti passati dalla cronaca alla storia come Mino Calò (Domenico Calò) e Tonn’Aresti lu spiziali (Oreste Antonucci farmacista), Ton Bibbi Cavaliere (Annibale Cavaliere), ma anche semplici ed umili artigiani come Fiurintinu Pignatelli (sarto), ‘Ntognu Pia (sacrestano), Bigliuncinu (fruttivendolo). E per ognuno di loro vi è una storia raccontata in versi con la chiosa che generalmente sottolinea la battuta, il rimbrotto, quel qualcosa di inaspettato che scatena l’ilarità. Molte delle poesie riportano aneddoti locali, piccole storielle di mesagnesi vissuti molti decenni fa che Emanuele ha raccolto interpellando amici che si interessano soprattutto di tradizioni popolari del nostro paese e così appaiono nel modo genuino e senza malizia anche le “ingiurie” ossia gli agnomi delle persone. Nel volume incontriamo surgicchi e jattuddi, llarcioni, barbanera e bigliuncinu personaggi che rappresentano nel collettivo locale la specificità, lo scorrere della vita tra personaggi curiosi, insoliti peculiari nella loro furbizia e nel modo di approcciare la vita.
Tra i lavori di Castrignanò forse questo rappresenta l’opera di una raggiunta maturità sia per i contenuti intrinseci delle composizioni, sia per il rispetto della metrica con l’utilizzo di un vernacolo appropriato, di costrutti ben definiti con l’utilizzo di un linguaggio appropriato. In definitiva Emanuele, a giusta ragione, pone le basi per continuare una tradizione, quella in versi, spontanea, genuina, che scava nel cuore e nell’anima della città e dei suoi abitanti.
Per questo, un grazie da parte nostra e l’augurio che Emanuele possa continuare a fissare la nostra città ricordandoci fatti, avvenimenti, personaggi che diversamente sarebbero destinati all’oblio.
Erika Giordano
21 febbraio 2015