Nel PD il vecchio gruppo dirigente va rottamato, spazio ai giovani (di Giuseppe Florio).

Inforca un bel paio di Lemtosh con lenti appena rosate, ma non riesce a nascondere il piglio: che è quello di chi vuole voltare pagina ad ogni costo. Nel senso, radicale, della rottamazione della vecchia classe dirigente e del proiettarsi, con temi e iniziativa politica, «nel 2020», come spiega in un rigido pomeriggio falciato da Gonzalo.

Mino Carriero, membro della segreteria regionale del Partito Democratico pugliese, tra i responsabili nazionali di LabDem, area riformista del PD ispirata dal presidente del gruppo parlamentare del PSE Gianni Pittella, non le manda certo a dire. Ce n'è per tutti in questa intervista che verte sulla sua verace passione, la politica intesa come partecipazione alla vita pubblica.

 

Lui e i pittelliani locali – sempre maggiori nel PD, ma molto più numerosi fuori dal partito – hanno voglia di fare e fare bene. E perciò intendono eliminare le incrostazioni del passato, remoto e recente: «Il mio giudizio sull'amministrazione Scoditti è quello dell'intera città, non positivo nel suo complesso, complice l'assenza della politica e dei partiti che l'hanno sostenuta. E' arrivato il momento di smantellare gli ostacoli, anzitutto nel PD, che non ha capito di far parte del più importante partito nazionale dal dopoguerra e si comporta come se fosse un'associazione locale senza ambizioni e prospettive. E' Renzi il nostro modello, la sua voglia di ammodernare l'Italia, l'energia che profonde coraggiosamente per ribaltare i tavoli. Invece a Mesagne si compiono scelte politiche singolari di alcuni storici dirigenti – come quella del sostegno a Dario Stefàno anziché ad un candidato del PD – sulla base del risentimento, siamo incastrati nell'odio viscerale ed antico ora contro il deputato Matarrelli, ora contro coloro che osano pensarla in maniera diversa, come me. Una gran parte del nostro gruppo dirigente non vuole capire che è l'ora di farsi decorosamente da parte per dare una mano alle più giovani generazioni».

Ma per far cosa? Il centrosinistra si è squagliato come neve al sole, mostrandosi in tutta la sua fragile nudità. «Per rifondarlo! Per partire dal centrosinistra stesso, popolato però di 40enni, imperniato sul PD che è indispensabile per la sua costituzione, ed allargarlo alle forze moderate, ai movimenti, alle associazioni che si sono distinte in questi anni, senza preclusioni: penso anche a coloro che hanno fatto opposizione come Progettiamo Mesagne».

L'autocandidatura di Pompeo Molfetta non è ostativa della ricostituzione del centrosinistra così inteso? «No, se Molfetta e Matarrelli colgono l'opportunità di aprire una fase nuova, si fermano e decidono di confrontarsi. Pompeo è persona degna e Toni un vecchio amico, non possiamo non parlarci, fuori dai denti, per il bene di questa grande città che merita di essere riempita di contenuti a cui finora nessuno ha pensato. Mi riferisco alla riforma della burocrazia comunale, a dotarsi di una struttura di europrogettazione, a dirigenti messi in condizione di decidere, alla fruibilità di contenitori significativi oggi desolatamente vuoti, alla disponibilità ad accogliere investitori, all'urgenza di abbassare le tasse ed erogare servizi più efficienti».

Quale l'identikit del candidato sindaco? «Dovrà possedere una energia esemplare, non essere stato compromesso con l'attività amministrativa degli ultimi anni, essere scevro da condizionamenti, magari potrà essere una donna. Certamente dovrà sceglierlo la città e non l'angusto spazio dei tesserati PD. LabDem non parteciperà alla selezione tra 60 iscritti al partito: noi dobbiamo parlare alla città intera, dobbiamo invogliare l'elettorato a partecipare. E certamente stiamo pensando ad una lista elettorale della nostra area: sempre dentro al partito, ma contaminata da quelle personalità che il PD proprio non riesce più ad attrarre».

 

Giuseppe Florio

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