Nessuno vuole la biblioteca di Beppe Patrono (di Giuseppe Florio).
Poi nessuno tra gli amministratori se ne dolga – magari lamentando l'avversità della stampa e dell'opinione pubblica – se si insiste a battere sul dolentissimo tasto della cultura a Mesagne in questi ultimi anni. Gli episodi di segno negativo sono molti e molti episodi, messi in fila, restituiscono una prassi. Un caso sembra più eclatante di altri, quello della rinuncia di fatto al patrimonio librario di Giuseppe Patrono (1918-2006), normalista di ispirazione liberalsocialista, intellettuale vivido e partigiano, figura ad ogni modo eclettica e di eccezionale livello nell'alveo della democrazia repubblicana.
A consuntivo della ricca vicenda esistenziale di Patrono erano restati due fondi: un archivio documentale, contenente ampia corrispondenza con i più alti esponenti dell'intellighenzia nazionale quali Gaetano Salvemini, Ferruccio Parri, Ernesto Rossi, Guido Calogero, Tommaso Fiore; e uno librario, preziosissimo, di quasi 14mila volumi. Nel 2013 il primo è stato destinato, attraverso una convenzione di comodato gratuito, a Conversano presso la rinomata Fondazione Di Vagno. Ed il secondo? La vedova di Patrono, la professoressa Maria Carmela Stridi, manifestando un appassionato attaccamento a Mesagne ed intendendo assecondare la volontà del coniuge, nel 2011 avanzò la proposta ai rappresentanti comunali di donare il patrimonio di libri del marito.
In premessa di un gesto tanto generoso, pretese poche e legittime clausole: chiese cioè di mantenere la proprietà del fondo fino alla sua morte, di non smembrare in alcun caso la collezione e che i libri fossero catalogati, informatizzati e resi fruibili, per gli studiosi e per le più giovani generazioni, attraverso la rete. Molto entusiasmo ed altrettanto attivismo dimostrò, all'epoca, la consigliera comunale delegata alla Biblioteca Mariella Vinci, poi dimessasi dall'assise perché amareggiata dall'andazzo dell'amministrazione.
Alla proposta della signora Stridi fecero seguito, 3 mesi dopo, una delibera della giunta comunale con cui si dava mandato agli uffici di stipulare la convenzione e una contestuale bozza dell'atto preliminare. Sempre nello stesso anno, una ulteriore e garbata lettera della vedova lamentava: «Sono spiacente di constatare che, malgrado il vivissimo interesse dimostratomi in diverse occasioni da Codesta Amministrazione, a tutt'oggi io non abbia ancora ricevuto alcun riscontro formale in relazione alla mia missiva del 01 agosto scorso, nella quale venivano specificate le condizioni irrinunciabili da me poste ai fini della formalizzazione della donazione in oggetto, sia i tempi, tre mesi, per avere una risposta certa. Per senso di correttezza e trasparenza, pur non essendovi in alcun modo obbligata e ribadendo, comunque, la mia totale discrezionalità nella decisione, sollecito Codesta Amministrazione a farmi pervenire in tempi strettissimi e senza ulteriori indugi, le sue intenzioni nel merito e nella sostanza della questione».
La vedova Patrono, è quasi inutile precisarlo, non ha mai ricevuto né una soluzione sostanziale alla proposta di donazione, né almeno una risposta formale che comunicasse: «Siamo dolenti di non poter venire incontro alle sue (banalissime) clausole. Le migliaia di libri di una figura storicamente importante come suo marito non ci interessano, così decidiamo di non decidere. Abbiamo a cuore altri progetti, come quello della Casa della Cultura, locali di un tribunale in disuso approntati come contenitore. Quanto ai contenuti, ci penserà qualcun altro».
Giuseppe Florio